La nostra nuova rubrica dedicata alla poesia contemporanea comincia con un romanziere che tenta nuove vie. L’esordio in versi di Vanni Santoni (nato a Montevarchi nel 1978, candidato al Premio Strega nel 2017 con La stanza profonda e premio Viareggio selezione della giuria con La verità su tutto nel 2022) convince già. Il suo Altre stanze (Le Lettere, marzo 2023), raccolta di poesie dal sentore neoavanguardista e sperimentale, è candidato infatti a concorsi importanti quali lo Strega Poesia e il premio Paolo Prestigiacomo. Non male, per uno dei nomi di spicco della prosa italiana. Abbiamo provato a fargli alcune domande su questo suo cambio di rotta, che tuttavia sembrerebbe soltanto momentaneo. Con qualche apertura a progetti futuri.
Intervista a Vanni Santoni
Vanni, Altre stanze è stato proposto per il Premio Strega Poesia ed è in finale al premio di poesia Paolo Prestigiacomo. Quali sono le tue considerazioni e speranze riguardo a queste competizioni?
Altre stanze è il mio esordio in poesia e anche se in futuro potrebbe avere dei seguiti (il progetto integrale è di 999 “stanze”, laddove il volume edito da Le Lettere include le prime 198) resto un romanziere prestato alla poesia: per me è già un onore anche solo esser presentato.
L’immaginario onirico e psichedelico è un elemento che torna spesso nella tua produzione letteraria, e che sembra essere chiave di volta anche di questo testo. Che rapporto hai con l’onirico e che funzione ha – se ce l’ha – per te?
Una premessa necessaria è distinguere sogno e visione. Si tratta di fenomeni differenti, sia nei contenuti che nella struttura. Le visioni, psichedeliche e mistiche (le quali possono essere viste come un sottoinsieme “acuto” di quelle psichedeliche), rispondono a una certa grammatica, molto più concatenata rispetto a quella dei sogni, che lavorano soprattutto per giustapposizione. Inoltre, le visioni arrivano da dimensioni molto profonde (forse financo dalla coscienza collettiva o dalla “memoria genetica”); i sogni, nella maggior parte dei casi, arrivano dalla parte più superficiale del subconscio, quella legata al nostro vissuto. Una buona definizione poetica dei sogni la fornì Rabindranath Tagore: “In the drowsy dark cave of the mind dreams build their nest with fragments dropped from day’s caravan” (Nell’assopita caverna della mente, i sogni fanno il nido con frammenti caduti dalla carovana del giorno). Chi cercasse invece una buona raffigurazione letteraria (ancorché in prosa) della visione e delle sue strutture, può trovarla nella trilogia Abbacinante dello scrittore romeno Mircea Cărtărescu.
Nanni Balestrini parlava spesso del lettore come di un individuo da sollecitare e rendere scomodo. Cosa ti auguri per chi si ritrova in mano “Altre stanze” e in quale postura fisica e mentale ti piace figurartelo?
Vedo che è considerato un libro assai inusuale, e questo è senz’altro positivo, anche considerando il suo elevato tasso di intertestualità. Molte “stanze” sono mash-up di citazioni da altri poeti, e dunque non risultare risaputi è essenziale: il senso deve cambiare, mostrarsi versatile, come ci hanno insegnato l’Eliot della Terra desolata, il Pound dei Cantos o anche la Campo di Passo d’addio. Ciò detto, io non penso mai ai lettori quando scrivo. Mi interessa molto leggere le loro opinioni dopo, ma non ci penso mai durante, e tantomeno prima. Ne risulterebbe un condizionamento. Se scrivo, è perché in qualche modo devo farlo. Tutto qua. Se questo è vero per i romanzi, lo diventa ancora di più per le poesie, che arrivano da una “presa” molto più “diretta” col profondo.
Gilda Policastro, nel suo saggio L’ultima poesia (Mimesis), afferma che la crisi conclamata dell’industria culturale può aprire, tra l’altro, nuovi spazi alle declinazioni meno omologate e seriali della poesia, che si contrapporrebbero a una lirica più tradizionalmente soggettiva. Sei d’accordo? Quanto ti riconosci in questa posizione di resistenza e rottura?
Come detto, non sono che un romanziere prestato alla poesia, al massimo un poeta esordiente, quindi non mi permetto di dar giudizi sulla scena poetica. L’affermazione mi pare condivisibile, e forse pure ampliabile: in fondo la poesia – fatti salvi alcuni casi di “poeti pop” per lo più grotteschi – rappresenta oggi una fetta di mercato editoriale così minuscola, e destinata a un pubblico così avveduto, da restar libera da qualunque condizionamento in chiave commerciale.
Le stanze sono 198. Qual è quella che ami di più?
Dipende dai momenti, e poi l’autore in genere è pessimo nel valutare il proprio lavoro… Però la 148 mi pare venuta bene. Anche la 189 non mi par male. Forse però quella a cui voglio più bene è la 187. Vale comunque la pena dire che, per quanto “autonome”, molte stanze, incluse queste che ho citato, hanno un senso differente se lette nel quadro dell’intero libro.
Maria Oppo
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