Storia di mia vita, spiazzante esordio letterario per lo scrittore-vagabondo Janek Gorczyca

Recentemente portato sugli scaffali da Sellerio, “Storia di mia vita” è uno dei casi editoriali dell’anno. Il racconto intimo e spietato di un homeless polacco, scritto con un italiano crudissimo e travolgente

L’esperienza di incontrare una persona senza fissa dimora mentre ci spostiamo per le strade di una città italiana è talmente comune che ormai ha smesso di essere rilevante. Sono lì, dormono su un pezzo di cartone o su una panchina, lavano i vestiti a una fontanella, si rannicchiano sulle grate davanti a un negozio. Fingiamo di non vederli, ogni tanto riserviamo loro un po’ di attenzione, ma il più delle volte evitiamo di farlo pulendoci la coscienza con la storiella che “così non li aiuti, ma li incoraggi a restare in quella situazione”. Quello che non facciamo mai è concedere a queste persone un’identità, un vissuto precedente, emozioni e sentimenti che ad altri garantiamo senza pensarci un attimo. I senza fissa dimora sono anche senza narrazione. O almeno lo erano fino a poche settimane fa, fino all’uscita per Sellerio di Storia di mia vita, opera di Janek Gorczyca, un uomo di nazionalità polacca che vive a Roma senza fissa dimora da 25 anni. Torneremo dopo sul titolo e sul fatto che contiene un errore evidente, ma prima è importante dare una classificazione a questo libro.

Storia di mia vita. Il memoire di Janek Gorczyca

Storia di mia vita certamente non è un romanzo. Non è nemmeno un reportage giornalistico, anche se parla di cose vere. Gorczyca non è il protagonista di una storia narrata da fuori da un reporter, né tantomeno reporter è egli stesso. Forse la definizione più efficace è quella di memoire, cioè un libro che raccoglie un frammento autobiografico dell’autore e ne fa storia da raccontare. Anche questa è in parte una definizione stridente, perché il memoire è per sua natura un genere borghese, che prende una storia personale per farne materia letteraria e di valore universale. Il valore universale non manca certo a Storia di mia vita. Gli manca però tutto il resto: l’appartenenza borghese, la volontà dichiarata di fare letteratura, il desiderio di universalizzare una storia personale.

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Janek Gorczyca, “Storia di mia vita”. Sellerio Editore 2024

Storia di mia vita. La vita senza fissa dimora raccontata senza filtri

L’autore ci racconta la sua storia in vari scaglioni, comincia in medias res partendo dal suo arrivo a Roma e dall’inizio della sua vita “per strada”, come la definisce lui stesso. Un’esperienza fatta di lavori occasionali, di abitazioni arrangiate a casa di amici, o dentro edifici abbandonati. Un’esperienza dove si notano due tendenze parallele e opposte: la necessità di creare una comunità e l’impossibilità di condividere davvero la vita con altre persone. Sono difficili i rapporti con gli altri nella sua situazione, ma lo sono anche quelli con le comunità di aiuto con le quali a un certo punto la distanza sembra incolmabile. Come dice alla fine di uno dei primi capitoli: “per me due panini a settimana e domande cretine tipo ‘come stai’ sono un’umiliazione”.
L’autore snocciola le vicende quasi con indifferenza. Da alcune esce bene, da altre male, ma non cela niente: l’orgoglio della propria forza fisica e della capacità come organizzatore si accompagnano con lo stesso registro alle storie di violenza nei confronti della propria compagna, ai tentativi di suicidio, ai furti e agli scontri. Tutto fa parte della “storia di mia vita”.

Storia di mia vita. Il racconto crudo di una vita ai margini

Andiamo infine al titolo e alla lingua di questo libro. Janek Gorczyca non è una persona di madrelingua italiana, ma ha scritto il libro in italiano con tutte le idiosincrasie che può avere una persona quando parla una lingua straniera imparata senza manuali ed esercizi. È dunque un italiano talvolta stentato, a partire dal titolo, ma non per questo poco espressivo. Costretto all’operazione per niente facile di scrivere in una lingua diversa dalla propria, Gorczyca fa un grande lavoro di riduzione. Ci sono pochissimi aggettivi, pochi avverbi, frasi semplici a volte tagliate con l’accetta, personaggi che entrano nella storia senza chiedere il permesso e che si impongono all’immaginazione di chi legge senza rispettare le regole che conoscono a menadito i diplomati delle scuole di scrittura.

Storia di mia vita. Una riflessione sul libro di Janek Gorczyca

Non è un libro “bello” nel senso convenzionale del termine. La sua è una lingua ruvida, lontanissima dalla ricerca meticolosa della parola giusta, dal gusto per gli attributi descrittivi e dal misurino da gioielliere con cui calibrare ripetizioni e allitterazioni. A Janek Gorczyca – scoperto da Christian Raimo che è anche editor del libro – interessa raccontare la propria storia, non gli importa piacere, non ha un pubblico a cui ammiccare, ed è un grande pregio.
Allo stesso tempo, siamo lontani anche dallo specchio riflesso dei polemisti di professione, di quelli e quelle che si beano del fatto di non piacere, che godono nell’essere scomodi e politicamente scorretti. Leggere Storia di mia vita è come passare la mano su un mobile di legno non levigato che è così per necessità, non per moda o capriccio.
Quello che rende spesso molto noiosa l’autofiction è il compiacimento narcisistico di chi scrive, a volte anche goffamente mascherato. In questo libro non ce n’è nemmeno un grammo. C’è invece la fatica di chi scrive, che a volte diventa la fatica di chi legge, ma è ripagata dall’autenticità della narrazione e dal racconto di storie e persone che altrimenti non farebbero parte del nostro immaginario. Non è bello leggere queste storie, ma forse è giusto. Forse la pensa così anche l’autore, che del resto chiude dicendo: “qui voglio finire mio racconto, perché ho sofferto troppo”.

Salvatore Greco

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