“Ai due abitanti del Paradiso fu data l’opportunità di scegliere: felicità senza libertà o libertà senza felicità; tertium non datur. E loro, asini, scelsero la libertà: e dunque? Si capisce: poi hanno rimpianto le catene per secoli”. Brillano in tutta la loro straordinaria attualità queste tre, lapidarie righe scritte da Evgenij Ivanovič Zamjatin (1884, Lebedjan’ – Parigi, 1937) nell’opera letteraria Noi, pubblicata esattamente un secolo fa. Ancora poco noto al grande pubblico, questo breve ma fondamentale testo è il primo romanzo pienamente distopico del XX Secolo, l’iniziatore de facto di un genere che dalla Fattoria degli animali a Hunger Games e Divergent è finito per diventare uno dei più amati dai lettori contemporanei.
Noi, la prima distopia mai scritta
Padre di 1984 e Il nuovo mondo, Noi (in russo Мы), è il diario personale di un uomo del terzo millennio, l’alfanumero D-503. Uomini e donne non hanno più nome, nello Stato Unico, non serve. Ogni superficie del piccolo agglomerato urbano – unico residuo della “Guerra dei Duecento Anni” – è in vetro trasparente, ogni momento della giornata incasellato nella Tavola delle Ore. Ordinati severamente dal grande Benefattore, i cittadini dello Stato Unico vivono come una grande macchina, che respira, canta e pianifica i rapporti sessuali all’unisono: la più conosciuta delle poesie è l’Orario dei Treni.
Noi, lo Stato Unico e la rottura del paradigma
Il perfetto involucro inizia però a creparsi quando il nostro protagonista, ingegnere capo dell’astronave Integrale che colonizzerà lo “spazio incivile”, incontra I-330, una donna che rifiuta di essere incasellata. È dopotutto un numero irrazionale, la radice di -1. Le emozioni di D-503 diventano sempre più forti e incontrollabili, e lui sente crescere in sé una parte animale che si pensava morta da secoli. Il lettore assiste, ipnotizzato e impotente, al disfarsi di ogni cosa, e alla rinascita, come di fenice dalle ceneri, delle emozioni. C’è chi si scopre geloso, chi egoista, chi vuole un figlio per sé, senza doverlo regalare alla comunità. “Ma la colpa non è vostra”, rassicura la gazzetta ufficiale, mentre lo Stato cerca di riprendere il controllo sulla popolazione allo sbando: “Siete afflitti da una malattia il cui nome è: fantasia! Una febbre che vi spinge a correre sempre oltre, sebbene questo “oltre” inizi là dove termina la felicità”. Così viene annunciata agli alfanumeri l’introduzione di un rimedio definitivo che riporterà l’ordine nel mondo più razionale che esisterà mai. Il finale, che non spoileriamo, è tanto straordinario quanto straziante.
Il capolavoro di Evgenij Zamjatin
Frutto di una doppia esperienza di totalitarismo e automazione – la Rivoluzione russa e il periodo di lavoro nei cantieri navali sul fiume britannico Tyne –, Noi fu il primo romanzo mai messo al bando dal Glavlit, l’ente sovietico per la censura, e il suo autore fu più volte incarcerato: solo su intercessione di Maksim Gor’kij gli fu concesso di emigrare a Parigi. Pubblicato in inglese nel 1924, il suo capolavoro – che mostra influenze matematiche e letterarie, in primis di Dostoevskji – vide la prima edizione russa giungere in Occidente solamente nel 1988, quando venne pubblicato insieme a 1984 di Orwell. Che sarebbe diventato assai più famoso di quello che è a tutti gli effetti il suo predecessore, e il suo ispiratore.
Giulia Giaume
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