Quattro anni senza Ferlinghetti, il poeta che aveva previsto tutto. Intervista a Mauro Aprile Zanetti 

La storia del poeta della Beat Generation, che ha raccontato l’infanzia a quasi 102 anni, campione dei diritti civili, raccontata dal suo più stretto collaboratore che lo ha affiancato negli ultimi sette anni. Mentre a Firenze si prepara il Ferlinghetti Day

Moriva a San Francisco il 22 febbraio 2021 Lawrence Ferlinghetti, lasciando al mondo come proprio testamento un libro illuminato e illuminante come Little Boy. Poeta, attivista, editore e anche artista visivo, aveva quasi 102 anni, eppure era riuscito a guardare e guardarsi dentro fino all’infanzia, con la consueta freschezza e lucidità. Firenze celebra il maestro della Beat Generation il 24 marzo alle 10.30 a Palazzo Medici Riccardi, con un reading – performance aperto al pubblico del suo ultimo collaboratore stretto, che lo ha affiancato negli ultimi sette anni e anche nella stesura del suo ultimo, mitologico testo, l’autore e filmmaker Mauro Aprile Zanetti. Lo abbiamo intervistato. 

Intervista a Mauro Aprile Zanetti

Sono trascorsi quattro anni dalla scomparsa di Lawrence Ferlinghetti (22 febbraio 2021). Quale è stato il suo ruolo nella letteratura americana? 
Ferlinghetti ha piantato alcune pietre miliari con la sua poesia, la sua editoria e anche con il suo impegno sociale, ridefinendo il cammino non solo della letteratura angloamericana della seconda metà del Novecento, ma della letteratura tout court visto che la sua opera è stata tradotta in oltre una dozzina di lingue. 

In che modo? 
Ha contribuito, ad esempio, come pochissimi altri a creare ed espandere il movimento della controcultura americana in tutti gli angoli del mondo. La pubblicazione del suo primo volume di poesie, Pictures of the Gone World (1955), che ‘il bardo di North Beach’ scrisse in breve tempo appena arrivato a San Francisco all’alba degli Anni Cinquanta, sancì il suo doppio esordio: e come poeta, e come editore. Lanciando la ‘Pocket Poets Series’ (i tascabili) — che il suo co-founder di City Lights Booksellers and Publishers, Peter D. Martin, aveva ideato come ‘core’ della linea editoriale di City Lights — Ferlinghetti di fatto aggiungeva al “literary meeting place,” la libreria (1953), anche una casa editrice rivoluzionaria per modalità creative e distributive.  

Con quali obiettivi? 
La missione era spargere poesia, nutrita della voce del dissenso, per l’appunto di controcultura e di consapevolezza sociale e politica a più persone possibili. Allen Ginsberg aveva battezzato quel tipo di poeti raccolti attorno a City Lights, Beat Generation: ‘beati e battuti’, vale a dire ‘maledetti’ e ‘illuminati’. “Un’invenzione puramente di Allen Ginsberg” — come diceva Ferlinghetti.  

Nel 1956 Ferlinghetti pubblica Howl and other poems, salutando Ginsberg come il nuovo grande poeta del secolo. L’edizione verrà ostracizzata, finendo al centro del celeberrimo processo per oscenità. Un anno dopo Ferlinghetti divenne il simbolo della lotta per la libertà di espressione, vincendo con il supporto dell’American Civil Liberties Union (Aclu), il processo che segnò un punto di svolta nella storia del diritto anglo-americano: la libertà di espressione e di parola avevano trovato il loro campione, il miglior precedente. Nel 1958 Ferlinghetti pubblica la sua prima raccolta di poesie con l’editore indipendente newyorkese, New Directions, che sarà il suo editore per tutta la vita: ‘A Coney Island of the Mind’. Uno dei bestseller più importante della poesia del ‘900, che supera presto un milione di copie.  

Mauro Aprile Zanetti e Lawrence Ferlinghetti  courtesy MAZCulture.
Mauro Aprile Zanetti e Lawrence Ferlinghetti courtesy MAZCulture.

Quale invece è l’eredità che ci ha lasciato? 
Ogni volta che i giornalisti chiedevano a Lawrence come avrebbe voluto essere ricordato, lui rispondeva secco e un po’ stizzito: ‘non voglio essere ricordato. Perché dovrei?’ La sua risposta era certamente un misto di scaramanzia: gli dava fastidio tutta quella idolatria; non aveva preso nemmeno bene che la biblioteca pubblica di North Beach, a pochi isolati da casa sua, avesse esposto un suo busto di bronzo. E forse la sua era anche una sorta di disincanto e amarezza dinanzi ai risultati socioculturali e politici che gli Stati Uniti, partendo da San Francisco e la California, avevano raggiunto dal dopoguerra agli Anni Venti del XXI secolo. Lawrence non era ottimista sulle sorti dell’umanità nel pianeta terra; era anche molto scettico della società come corpus civile e politico. Non aveva visto abbastanza per essere un visionario? Vedeva un declino inarrestabile guidato dal mostro dei mostri, il consumismo nell’epoca dell’esponenzialità tecnologica e del socialmediume.  

Spiegaci meglio… 
Considerava non a torto Pier Paolo Pasolini il più grande poeta del Novecento. Questa sua posizione critica non risparmiava l’individuo a partire da sé stesso che, alla soglia dei cento anni, mi ripeteva sempre con un certo sarcasmo: “non è che invecchiando si diventi necessariamente più saggi; ci si rincoglionisce anche tanto.” Va da sé che la sua eredità resta ed è per sempre la poesia, punto. Altamente lirica, disperata e rigenerativa, e per questo sempre civilmente politica. Apparentemente così piana e semplice — come ammoniva uno dei suoi più grandi ammiratori, Francis Ford Coppola — finché non ti stende con un pugno di ferro al tappeto. Il papà di Ferlinghetti — il destino nel nome! — veniva da Brescia, regno del ferro e delle cave di marmi, e dei metalli da miniera. È la rinascita della meraviglia (‘rebirth of wonder’) la linea dell’eredità ferlinghettiana che celebriamo al Ferlinghetty Day. 

Il Ferlinghetti Day a Firenze

Cosa accadrà a Firenze? 
Si svolgerà a Palazzo Medici-Riccardi, la casa del Magnifico, facendo cantare la poesia armata di tenerezza: da un Lorenzo (il Magnifico delle Laude) a un altro Lorenzo (Lawrence Ferlinghetti della poesia come arte che insorge, e risorge).  
Lawrence Ferlinghetti ha sostanziato la scrittura di una forma nuova, inventando la “quarta persona del singolare.” Mentre finge di dare voce a sé stesso, Ferlinghetti sta piuttosto ricreando la voce della città, della società, della storia e del popolo dell’avvenire. “A Coney Island of the Mind” è un emblema di questa “quarta persona”: un’osservazione del mondo che è al contempo personale e collettiva, ironica e epica. È il “Je est un autre” del poeta ubriaco che insultava l’universo, per dirla con Arthur Rimbaud. 

La tua esperienza professionale, Mauro, è veramente avventurosa. Dall’Italia ti trasferisci a San Francisco e lì vivi più vite… A fianco di Ferlinghetti, poi, lavori per sette anni, gli ultimi del poeta. Come si svolgeva la vostra collaborazione? 
Sono nato a Scicli nel Val di Noto, Sicilia sudorientale. Mi sono nutrito di quella fucina metalinguistica e meta-esistenziale, multiculturale e plurimillenaria propria dell’epicentro della Magna Grecia fino a quando ho “passato l’acqua” (il taglio del cordone ombelicale con il passaggio dello stretto di Messina) a 19 anni per andare a sviluppare i miei studi universitari nel ‘continente.’ Prima a Pisa (la mia alma mater con la più antica tradizione di storia e critica del cinema e video arte in Italia: da Ragghianti a Cuccu e Lischi, passando per Chiarini), poi Milano e Roma, facendo apprendistato durissimo nel cinema, continuando a studiare video, letterature, arte ed estetica con un impianto filosofico imperniato sull’opera di Gilles Deleuze e Felix Guattari—la mia costellazione filosofico-ricreativa, insieme agli studi di letteratura e antropologia teatrale rispettivamente di Elias Canetti e di Fernando Mastropasqua. 

Poi ti trasferisci negli Stati Uniti… 
23 anni fa, esausto di tutte queste radici culturali europee (la mia è anche la formazione di un francesista) e uno spazio al merito creativo ridotto quasi al nulla e non adatto alla determinazione del mio respiro, ho attraversato la grande acqua dell’Atlantico, cominciando a frequentare New York (il mio incubatore di upbringing americano) per dieci anni. Il sedicente ‘continente nuovo’ mi ha dato molto più spazio e presentato onde più grandi e paurose per via dell’oceano: The sky’s the limit — si dice in America. È a New York che ho potuto pubblicare il mio libro interdisciplinare La Natura Morta de La Dolce Vita — Un misterioso Morandi nella rete dello sguardo di Fellini, rivelando per la prima volta dopo mezzo secolo dall’uscita del film la centralità della pittura di nature morte di Morandi nel cuore de ‘La Dolce Vita’ di Fellini. Sì, Morandi nel ventre di Fellini: il silenzio nel clamore della disumanità di Via Veneto e dei suoi paparazzi, la vanità della fiera della vanità.  

Little boy Cover
Little boy Cover

L’incontro tra Ferlinghetti e Mauro Aprile Zanetti

Poi 13 anni fa, vai a San Francisco e incontri per caso Ferlinghetti… 
È stata una scintilla a prima vista, tanto scambio di poesia e racconti, e libri. Mi ha inviato a frequentare casa sua prima per un’intervista che mi rilasciò per La Stampa di Torino allora diretta da Mario Calabrese. Via via iniziò la collaborazione per curare le sue e-mail, il rapporto con la stampa, fare editing, curare mostre della sua pittura, tradurre dal francese all’inglese, all’italiano. Ogni Natale, Lawrence veniva a casa mia, e trascorrevamo una sera di magia insieme con i miei due bambini e mia moglie tra cucina siciliana, lettura di poesie e risate. Così fino al giorno in cui è morto, 22 febbraio 2021 a quasi 102 anni. Due anni prima avevamo completato il suo testamento letterario, Little Boy — la sua biografia in forma di flusso di coscienza che attraversava un secolo di memorie sull’altalena precaria della vita, tra gli abbandoni (nato orfano) e le adozioni dell’adolescenza, i grandi teatri di guerra da giovane adulto (D-Day e Nagasaki), l’alta formazione grazie al G.I. Bill prima alla Columbia e poi alla Sorbona, fino alla scoperta di ‘the last frontier,’ San Francisco. Tutto il resto a partire dai primissimi Anni Cinquanta, passando per la Beat Generation, è storia. 

Come è nato ad esempio il progetto di  Little Boy, il suo ultimo libro? Ferlinghetti era allora quasi centenario, eppure Little Boy, testo autobiografico, “immaginario”, con uno sguardo all’infanzia è diventato immediatamente un caso letterario e due anni dopo il suo “saluto.” 
Lawrence ci lavorava da anni. Uno di quei libri nel cassetto-ventre dello scrittore, forse il più sognato e pertanto impastato proprio di un puro flusso di coscienza scritto tutto alla ‘quarta persona del singolare’ dopo una dozzina di pagine che fingono di raccontarti una autobiografia nel modo più piano e ordinario, per afferrare il lettore e poi lanciarlo sui marosi oceanici di una parola vortice. Lawrence ci aveva lavorato a lungo, cucendo e scucendo la trama del suo ulissismo esistenziale. Da un paragrafo all’altro — il precipizio di uno spazio bianco, quello che ci separa dalla follia — ecco di fatto liberarsi in un precipitato l’io planetario del secolo breve in delirio che, mentre racconta della distruzione certosina e sistematica della casa in cui gli umani vivono (il pianeta terra), passeggia alternando salti pindarici dentro la materia e la memoria letteraria del secolo breve, tra intertestualità continentali ed epocali. Di qua e di là i resti e i frammenti di un ‘pasto nudo’ della poesia novecentesca si intrecciano in un patchwork che si fa aforisma e lampo oscuro.  

Come si sono svolti i lavori? 
Abbiamo dedicato il 2018 a finire gli ultimi passaggi, a leggere e rileggere — la vista di Lawrence si spegneva ogni giorno di più per via di un glaucoma, bisognava fare presto. Tutti i giorni dopo il lavoro, passavo a trovarlo. Negli ultimi mesi dello scatto finale nell’estate 2018, lavoravamo più a pieno regime anche nei weekend per finalizzare “reading e proof-reading” in collaborazione con il team editoriale di Double Day (Penguin Group) da New York — ironia del destino, ora il più grande editore al mondo si era assicurato i diritti di pubblicazione di Ferlinghetti grazie alla maestria del leggendario agente letterario Sterling Lord, che aveva scoperto On the Road di Jack Kerouac. Ho riletto a voce alta molte volte, seduto ai piedi del letto di Lawrence, intere parti del libro per raccogliere le ultime decisioni di Ferlinghetti, che, come uno scultore, ripeteva spesso: “leave it out,” toglilo — l’arte del levare. Ricordo ancora l’immensa emozione di Ferlinghetti, little boy- eterno bambino, quando ricevemmo la galley copy, la copia lavoro avanzata, e la sfogliò. “Non so come ringraziarti, Mauro, senza di te non sarebbe stato possibile. Questo libro non esisterebbe. Grazie.” Per questa ragione incluse Mauro Aprile Zanetti e Sterling Lord tra gli unici riconoscimenti del libro finale della sua vita. Lo ricorderò per sempre per la sua massima sulla ricetta per una vita che tenta la felicità: “mangia bene, ridi spesso, ama molto.” 

Santa Nastro 

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. Dal 2015 è Responsabile della Comunicazione di…

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