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La mostra mette a confronto artisti appartenenti alla stessa generazione, quella che ha dovuto fare da ponte tra i baby-boomers e i Millennials, con una vita divisa tra un’infanzia analogica e l’età adulta digitale.
Comunicato stampa
Federica Schiavo Gallery è lieta di presentare 02.74.75.76 una mostra che vede coinvolti gli artisti Salvatore Arancio, Svenja Deininger, Jay Heikes, Ishmael Randall Weeks, Andrea Sala e Patrick Tuttofuoco.
La mostra mette a confronto artisti appartenenti alla stessa generazione, quella che ha dovuto fare da ponte tra i baby-boomers e i Millennials, con una vita divisa tra un’infanzia analogica e l’età adulta digitale. L’esperienza di questo passaggio influenza il modo di leggere il presente anche attraverso un nostalgico ma fiero ricordo di un mondo che non tornerà mai più. È la generazione dei bambini che giocavano all’aperto, che creavano da soli i propri giochi appena prima dell’avvento dei videogames, che scrivevano cartoline. Per incontrare gli amici dovevano alzare il ricevitore e comporre il numero di casa rendendo inevitabilmente partecipe la famiglia del proprio privato. Ma è anche la stessa generazione che è stata entusiasta protagonista della rapida diffusione di internet e del digitale.
La pratica artistica di Salvatore Arancio (Catania, 1974) esplora la nostra (limitata) comprensione del mondo. Utilizzando un’ampia gamma di riferimenti, incluse le illustrazioni vittoriane e i classici del cinema di fantascienza, le sue sculture, i collage e i video producono un’iconografia da favola che riflette un personale approccio speculativo alla realtà. Il suo è un universo dove gli esseri umani sono assenti perché estinti o addirittura mai esistiti, fatto di paesaggi mitologici popolati da elementi biomorfici animati da una serie di manipolazioni che spesso trasformano i colori. La gioiosa, geologica, alchemica, onirica e narcotica indagine sulle immagini, le forme e i simboli condotta da Arancio può essere letta come il commento dell’autore sul generalizzato senso di incertezza che caratterizza la nostra condizione contemporanea e che mette in evidenza sia lo sconvolgimento delle solide interpretazioni del passato sia la difficoltà a immaginare il futuro che verrà.
Sospese in un terreno ibrido tra astratto e figurativo, le opere di Svenja Deininger (Vienna, 1974) combinano tra loro elementi di un pensiero visivo che si sviluppa tra memorie oggettuali e intuizioni formali. È anzitutto una complessità ottica a guidare la lettura delle tele di Deininger. I colori filtrano dallo sfondo di livelli pittorici sovrapposti, tra segmenti geometrici e piani modulari più morbidamente astratti che confluiscono tra loro creando spazi inediti sulla superficie finale, tra spessori e volumi, vuoti e pieni. Questa caratteristica processuale della pittura non è tuttavia esito di una pianificazione preventivamente elaborata, ma un modello che si determina nel tempo reale del suo manifestarsi. È un registro di movimenti che procedono tra scenari reali e mentali, contesti urbani in evoluzione e morfologie indefinite, accostando i piani fluidi dell’esperienza vissuta all’immaterialità dell’immaginazione.
Jay Heikes (Princeton, 1975) utilizza vari media accomunando ogni progetto con l’atteggiamento ironico, grottesco e divertito che caratterizza tutta la sua produzione per rivelare la precarietà di ogni riferimento al reale, il continuo cambiamento e slittamento di ogni riferimento culturale, visivo ed esperienziale da una forma a un’altra.
Ishmael Randall Weeks (Cusco, 1976) si concentra principalmente sullo spazio geografico, architettonico e culturale con un riferimento al tempo inteso come il momento in cui il passato, il presente e il futuro s’incontrano. Profondo è il suo interesse nei confronti della specificità dei materiali di origine, considerati strumenti preziosi e il cui significato deve essere intrecciato con i suoi stati trasformativi, con particolare attenzione all’archeologia e alla museologia.
Andrea Sala (Como, 1976) investiga il mondo degli oggetti, dell’architettura e dei materiali come solo uno scultore potrebbe fare. L’artista seziona il mondo delle cose con cura e ossessiva scrupolosità e le trasforma in un personale alfabeto alla base di un fare sempre alla ricerca delle proprie ragioni. Le mani come macchine per comporre dettagli, brani di spazio o angoli di un luogo che, nella visione di Sala, sintetizzano in un piccolo frammento il racconto esteso di una scena. Come se ogni dettaglio contenesse tutto: storia, violenza e sentimenti. Osservato da vicino, esplorato nel suo farsi, il processo di costruzione delle cose è un racconto – fatto di pezzi da accostare – tanto enigmatico quanto evidente e manifesto come la storia della nostra cultura materiale. Intimo, meccanico e artigiano il lavoro di Sala abita un enorme e indefinito piano di lavoro.