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Un appuntamento doppio alla Galleria Portfolio, in qualche modo speculare, dove dieci piccole fotografie di un formidabile maestro si riflettono (nel senso di meditazione ulteriore) nelle grandi dimensioni di un possibile “allievo”.
Comunicato stampa
Un appuntamento doppio alla Galleria Portfolio, in qualche modo speculare, dove dieci piccole fotografie di un formidabile maestro si riflettono (nel senso di meditazione ulteriore) nelle grandi dimensioni di un possibile “allievo”.
Dunque un esplorazione degli opposti, deformata dal tempo, un partita doppia giocata a distanza tramite l’arte della fotografia. Introversa quella di Giacomelli, votata al dettaglio più intimo, alla saturazione del bianco e del nero, alla narrazione difficile del paesaggio mentre è invece più sperimentale -sia per il formato che le dimensioni di stampa- quella di Cicconi Massi, dove i soggetti a lui più cari si intersecano con alcuni riferimenti del grande maestro.
Dieci flash, dieci scatti, dieci immagini, dieci illuminazioni, dieci frammenti, dieci versi. Già versi, ovvero qualcosa che comincia, finisce e non può andare a capo e che conosce e deve conservare il privilegio di poter vivere ed esistere a prescindere da ciò che lo precede e da ciò che gli succede.Versus non prorsurs: non si può tornare indietro, ogni volta si muore, tutto finisce. La misura della poesia e anche della fotografia per Giacomelli è nel tragico, in ciò che deve comunque morire: lo scatto è morte, il consumarsi istantaneo di una vita, di una sensazione che può ritrovarsi solo in un altrove. Gli altri o quel se stesso che comunque è altro. Dieci versi che sono fotografia laddove per Giacomelli la fotografia equivale a poesia; le sue serie contano e passano per i poeti: Leopardi, Lee Master, Luzi, Montale, Turoldo. Sì, Giacomelli trova la poesia con la fotografia e nella fattispecie la fotografia con la poesia.
(Alfio Albani)
Dentro un cassetto di casa mia c’erano le foto con mio padre e mia madre, scattate da Mario, in spiaggia negli anni ‘60. Le guardavo, le maneggiavo continuamente; piccoli provini su cartoncino spesso, con le figure che galleggiavano sulla sabbia. Dentro la mia testa si è fatta largo l’esigenza di provare il bianco e nero. Sono passati venti anni dai primi scatti e forse nulla è cambiato. Ogni volta che esco per scattare, per cercare qualcosa da impressionare, porto con me quei pensieri. Dieci anni ho avuto per parlare con Mario ed incontrarlo, altri dieci ne sono passati per pensarlo e ricordarmi di lui. Sono una moltitudine indefinita i pensieri su Mario. Oggi ne provo a tirare fuori dieci.
(Lorenzo Cicconi Massi)