8 artisti 1 titolo da dare 1 luogo da scoprire 1 posto dove parlare dell’arte

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO VICECONTE
Via San Potito 7, Matera, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dal martedì al sabato dalle ore 15:00 alle ore 20:00

Vernissage
24/09/2016

ore 18

Contatti
Email: info@southeritage.it
Sito web: http://www.southeritage.it
Biglietti

ingresso libero

Patrocini

progetto prodotto da
Fondazione SoutHeritage per l’arte contemporanea / Matera
redatto da
Angelo Bianco
coordinato da
Roberto Martino
con il contributo di
Lucia Ghidoni, Angela Ippolito, Beatrice Lomurno, Giovanni Percoco, Antonella Mauro, Michele Morelli,
Francesca Lisbona.
allestimenti
STUDIOn

Artisti
Marina Abramovic, Cyprien Gaillard, Pino Settanni, Tracey Moffatt, Anonimo pittore, Neal Beggs, Ignoto scultore meridionale, Francesco Marino di Teana
Generi
arte contemporanea, collettiva

Il progetto 8 artisti, 1 titolo da dare, 1 luogo da scoprire, 1 posto dove parlare dell’arte, s’inserisce nell’ottica della mission costitutiva della Fondazione SoutHeritage, impegnata nell’organizzazione di progetti di design culturale volti alla valorizzazione di inediti scenari del patrimonio architettonico della Basilicata, solitamente non deputati all’arte contemporanea.

Comunicato stampa

Il progetto 8 artisti, 1 titolo da dare, 1 luogo da scoprire, 1 posto dove parlare dell’arte, s’inserisce nell’ottica della mission costitutiva della Fondazione SoutHeritage, impegnata nell’organizzazione di progetti di design culturale volti alla valorizzazione di inediti scenari del patrimonio architettonico della Basilicata, solitamente non deputati all’arte contemporanea. Un format espositivo alla scoperta del territorio e del suo patrimonio culturale e architettonico, temporaneamente contaminato da mostre di arte contemporanea concepite come dispositivi di restituzione di spazi di memoria collettiva.

In questo quadro il nuovo progetto della fondazione, grazie alla preziosa collaborazione di Palazzo Viceconte (già Venusio), conduce i visitatori nel cuore dei Rioni Sassi (Patrimonio UNESCO), e più specificatamente nella storica “Cappella dei Sette Dolori” chiusa da oltre cinquant’anni e facente parte di un complesso edilizio del XVI-XVIII secolo di grande fascino, ubicato nell’antico centro economico, sociale e religioso della città di Matera.

Collocata tra le tracce della città antica e i cambiamenti generati dalla mutazione dell’immagine della città Capitale Europea della Cultura 2019, il luogo espositivo diventa spazio ideale di un progetto in cui il territorio e l’architettura non sono più semplicemente località geografica e contesto espositivo, ma diventano essi stessi mezzi espressivi e soggetto/oggetto del programma espositivo. L’esposizione pone così al centro dell’esperienza culturale non solo le opere di arte contemporanea che trasformano i volumi dell’architettura storica in spazi sensibili, ma anche il valore simbolico degli stessi, in un allestimento volto ad una commistione di linguaggi fra arti visive contemporanee e museografia.

A svelare e offrire una rilettura degli ambienti e delle loro atmosfere, dopo un’operazione di restauro timido, sono stati scelti i lavori degli artisti Marina Abramovic, Anonimo pittore (ambito meridionale seconda metà del sec. XVIII), Neal Beggs, Cyprien Gaillard, Ignoto scultore meridionale (XVII sec. ?), Francesco Marino di Teana, Tracey Moffatt, Pino Settanni.
Le opere, attraverso un concetto di campionatura di alcune forme di visualizzazione alla base di numerose produzioni artistiche contemporanee (video, disegno, pittura, installazione, performance, fotografia, ...), hanno permesso la strutturazione di una mostra non solo intesa come ostensione di opere e riflessione sui vari linguaggi, ma soprattutto come esperienza di autoformazione del pubblico che rimanda ad una visione più aperta e consapevole della proposta culturale. Con la rinuncia curatoriale a stabilire un metodo di lettura univoco e predefinito che cerca connessioni tematiche, stilistiche o cronologiche tra i lavori in mostra, il progetto espositivo si presenta come una piattaforma attraverso la quale leggere, rileggere e raccontare l’arte contemporanea. Un formato espositivo più che una mostra che, partendo da alcune opere-testimonianza già rubricate e storicizzate, diventa il terreno collettivo per promuovere una maggiore comprensione dell’arte e un rapporto con una cittadinanza che necessita di essere documentata sui linguaggi del contemporaneo.

In quest’ottica di critica culturale più che di critica d’arte, che vuole riflettere sul “formato mostra” come organizzazione di un contesto di esperienza per il pubblico, il progetto espositivo prevede l’organizzazione congiunta di un programma di incontri denominato Le (d)istanze del pubblico, in cui una serie di attività di mediazione e coinvolgimento dei visitatori, vedrà protagonisti artisti, filosofi, critici, ricercatori, scrittori, attori, coreografi, intervenire inventando delle traiettorie personali, dei metodi e degli strumenti adatti ad approfondire alcuni aspetti fondamentali delle opere in rassegna e dare un titolo alla mostra con la partecipazione del pubblico. Ciascun incontro, curato e condotto dai mediatori coinvolti - che potrà prendere la forma di una lezione, di un laboratorio pratico oppure di una serie di “conversazioni segrete” - avrà una durata di circa 90 minuti e sarà svolto all’interno dello spazio espositivo; a completamento del progetto espositivo un apparato di didascalie ragionate (provviste anche di hashtag e mention) e fogli di sala, arricchiscono e accompagnano il visitatore nell’offerta informativa.

Attraverso questa giustapposizione di opere eterogenee e estranee l’una all’altra per origini, stili e motivazioni culturali, la mostra e la storia dell’arte, sono intesi come pretesto per una conversazione pubblica, per aprire un dialogo sull’”osservazione partecipante”, per stimolare la crescita collettiva e discutere sulla cultura artistica contemporanea, poiché non c’è un pubblico specifico dell’arte contemporanea, siamo tutti pubblico in quanto contemporanei.

Il progetto di mostra, inserito nell’ambito delle Giornate Europee del Patrimonio (24-25 settembre) è parte delle iniziative “MateRadio 2016 – la festa di RaiRadio3” che, per la sesta volta torna tra i Sassi di Matera con un ricco programma di appuntamenti.

GLI ARTISTI
Marina Abramovic (Belgrado_SCG, 1946 – vive e lavora a New York_US).
Attiva fin dagli anni Sessanta del XX secolo, ha svolto la sua ricerca nell’ambito sperimentale della Body Art indagando, anche con violenza, i limiti fisici e psichici del proprio corpo. Leone d'Oro alla XLVII Biennale di Venezia, ha presentato le sue opere in importanti rassegne internazionali quali: Documenta- Kassel, 1978, 1982, 1992; Biennale di Venezia, 1976, 1984, 1997, XIII Biennale di Istanbul e al MoMA di New York nel 2014.

Anonimo pittore (ambito meridionale seconda metà del sec. XVIII)
Neal Beggs (Belfast_UK, 1959. Vive e lavora a Nantes_F)
Come artista concettuale che si situa nella tradizione anglosassone della corrente artistica Fluxus che unisce arte e vita, Beggs ha portato nell’arte la sua passione per l’alpinismo, l’arrampicata e la scoperta di nuovi territori. Tematiche sulle quali ha realizzato numerose installazioni e azioni come critica sociale, esplorazione e racconto. Suoi lavori sono stati presentati presso: F. R. A. C. Franche-Comté - Regional Fund for Contemporary Art / Besançon_F; Place Royale, Mont des arts / Brussels, CCA Centre for Contemporary Art / Glasgow, Haus der Kulturen der Welt / Berlino, Fondation Berardo / Lisbona.

Cyprien Gaillard (Parigi_F, 1980 – vive e lavora a Berlino_D).
Grazie ai suoi focus sui monumenti della nostra epoca documentati attraverso fotografie, video, installazioni e collage, l’artista ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Premio per la Giovane Arte della Galleria Nazionale di Berlino (2011) e il Premio Marcel Duchamp del Centre Pompidou di Parigi (2010). Ha esposto in mostre presso il KW Institute di Berlino, al Carnegie Museum of Arts di Pittsburgh (2011), alla Kunsthalle di Basilea (2010) e al New Museum di New York (2009). Ha inoltre preso parte a prestigiose kermesse internazionali quali la LIV Biennale di Venezia (2011); la Biennale di Gwangju in Corea del Sud (2010); la 3a Biennale di Mosca (2009); la 5a Biennale di Berlino (2008); la Biennale di Lione (2007).

Ignoto scultore meridionale (sec. XVII ?)

Francesco Marino di Teana (Teana (PZ)_I, 1920 – Périgny_F, 2012)
Artista italiano naturalizzato argentino, vissuto perlopiù in Francia. Nel 1936 emigrò dalla Basilicata in Argentina, dove intraprese gli studi alla Scuola Superiore delle Belle Arti di Buenos Aires. Tornato in Europa nel 1952, soggiornò prima in Spagna e poi in Francia, stabilendosi a Parigi. Nella capitale francese, oltre ad intraprendere la carriera di professore di architettura presso la Scuola di Belle Arti di Fontainebleau, Marino avviò la sua carriera di scultore e urbanista entrando in contatto con numerosi artisti dell’epoca come: Vasarely, Mortensen, Le Corbusier, Arp, Tinguely, Dubuffet, Cesar e Pevsner. Opere di Marino sono presenti in importanti collezioni museali quali: Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Skulptur Münster, Musée en Plein Air de la Sculpture Contemporaine / Parigi, Musée National d’Art Moderne / Parigi, LACMA / Los Angeles, MUSMA, Museo della Scultura Contemporanea / Matera. Nel 1982 il suo lavoro ha rappresentato l’Argentina alla XL Esposizione internazionale d’arte La Biennale di Venezia.

Tracey Moffatt (Brisbane_AU,1960 – vive e lavora a New York_US e Sidney_AU). Fotografa e artista australiana che rappresenterà il proprio paese alla Biennale di Venezia 2017. Le sue opere sono esposte in diverse collezioni quali: Tate Gallery, Museum of Contemporary Art / Los Angeles, National Gallery of Australia e Art Gallery of New South Wales. Di origini aborigene, ma cresciuta in una famiglia bianca, Tracey Moffatt si lascia affascinare velocemente dalla cultura Pop che caratterizza il clima dei suoi anni adolescenziali. Immagini tratte da riviste, cinema e televisione iniziano a costituire quell’universo simbolico divenuto un punto di riferimento nella maggior parte dei suoi lavori, accanto al tema, in parte autobiografico, della ghettizzazione-segregazione vissuta e intesa in tutti i suoi aspetti: razziali, sociali e sessuali.

Pino Settanni (Grottaglie (TA)_I, 1949 – Roma_I, 2010)
Famoso soprattutto per i suoi ritratti, Settanni è stato un convinto sostenitore del ruolo della fotografia come rappresentazione della realtà. Con questo medium ha realizzato immagini reinterpretando luoghi urbani, volti e paesaggi, Con grande sapienza tecnica ha documentato le prime manifestazioni operaie a Taranto, cosi come numerosi luoghi del Sud Italia (dalla Sicilia alla Basilicata, dalla Puglia alla Campania). Sue opere sono in esposizione permanente presso la Maison Européenne de la Photographie / Parigi e al Museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo. Un’ampia selezione dell’Archivio Settanni è in mostra in un percorso antologico – curato da Monique Settanni e Giovanni Viceconte – presso il Museo della Fotografia di Matera / Palazzo Viceconte, intitolato allo stesso artista.

LA CAPPELLA DEI SETTE DOLORI – PALAZZO VICECONTE (già Venusio)
La costruzione della dimora storica signorile che include anche la cappella in oggetto, risale al periodo compreso tra il XVI e il XVIII secolo. Il palazzo è un esempio di costruzione a corte tipica di molti palazzi nobiliari della città di Matera presenti nei Rioni Sassi (patrimonio UNESCO). La sistemazione dell’edificio rispecchia perfettamente la tradizione locale che prevede i piani ipogei adibiti a depositi e cantine; il piano terra, coperto da volte a botte, dedicato ai dipendenti, ai magazzini e alle stalle e i piani superiori, archivoltati mediante sistema a padiglione a volte scomposte, vocati a residenza.

Il palazzo ha subìto nel tempo modifiche e ampliamenti; esso non fu concepito come tale ma è il risultato di vari accorpamenti e/o costruzioni avvenuti in epoche diverse. Il primo nucleo di cantiere fu l’ala est del complesso e la cappella, quest’ultima oggetto del progetto SoutHeritage, dedicata al titolo di Maria SS. dei Sette Dolori.

La struttura è un esempio che mette in evidenza la maniera edilizia di molte case palazziate del tessuto storico della città, costruite cioè più per successive annessioni che come frutto di progettazioni unitarie. Il complesso, passato di proprietà nei diversi secoli, ha subito notevoli modifiche dell’impianto originale che hanno visto la demolizione delle volte del piano nobile, della balaustre degli scaloni e la spoliazione degli arredi. Spazio vuoto e chiuso al pubblico dai primi del ‘900, dismesse le sue funzioni, oggi, dopo un restauro timido, riapre e risveglia il suo passato grazie al nuovo progetto della Fondazione SoutHeritage.