A che punto è la notte?
La Galleria In Arco organizza la mostra collettiva “A che punto è la notte?”.
Comunicato stampa
Leandro Agostini
In mostra grandi disegni su carta che prendono varie declinazioni, come corpo, messaggio, contesto. La prima sezione è dedicata a ritratti femminili: le Naiadi. Creature evanescenti, sensuali e irrequiete, che condensano il senso profondo della femminilità. Ninfe e donne senza tempo. La partenza è il gesto, sempre a matita in grafite. L’essenzialità ne è la caratteristica primaria che racchiude tutto in pochi tratti evocativi. Pochi segni per scolpire, senza il peso della materia o della definizione compiuta. La linea accenna una forma e attorno ognuno ne vede il paesaggio o gli altri dettagli, in libere composizioni personali. La seconda è dedicata a disegni fatti con le matite acquerellabili dove l’acqua intercettata dalla punta della matita si spande fino al suo prosciugarsi in superfici colmate da una ripetuta segnatura pop. Personaggi dei fumetti si alternano a scene rubate al cassetto della memoria, dove la percezione sfuma continuamente dall’astratto al figurativo, suggerendo racconti senza mai darne conferma.
Marcel Dzama
Lo stile apparentemente innocuo di Dzama svela a questo punto una funzione che ha ben poco a che spartire con l’evasione fantastica: la sottile linea chiara è affilata come un coltello e cattura con precisione chirurgica un universo selvaggio, dominato da pulsioni primitive, irrazionali e violente, molto più nero della più oscura foresta delle fiabe. Seguire i sentieri delle favole di Dzama significa, prima o poi, uscire dal percorso battuto e ritrovarsi in un campo di prigionia. Senza lieto fine. È allora ironico, crudele, provocatorio raccontare una tragedia con la grammatica di una fiaba? Secondo Deborah Solomon “la lugubre sensibilità da favola di Dzama esemplifica in qualche modo la più recente tendenza dell’arte contemporanea. Chiamiamola ‘cute tragedy’ o ‘tragic cuteness’: in entrambe i casi fa riferimento agli impulsi di una generazione postwarholiana che usa le forme dell’arte popolare dei bambini per esprimere un sorprendente assortimento di sentimenti adulti”.
Chris Hammerlein
Emerso nell’edizione del 2000 di Greater New York, Hammerlein usa il disegno come libero sfogo di una volontà liberatrice, in cui possono emergere i lati più oscuri ed inquietanti della personalità umana. Utilizzando toni linguistici in continua evoluzione, con tratti spesso più marcati e quasi gestuali, la sua vena risulta contemporaneamente comica e drammatica, ironica e triviale. I suoi disegni sono un proliferare apparentemente caotico di mille spunti e idee, utilizzando spesso tematiche sessuali in una versione cruda e anticonsolatoria, frutto di fantasie apparentemente distorte ma rese normali, se non addirittura banali, senza alcuna intenzione moralistica, come nella migliore tradizione dell’american trash e dello splatter. Tutto quello che può apparire provocante ed offensivo viene catturato dal suo talento visivo, che sa stemperare la volgarità con sottile e lucida ironia.