A text is a thing
La mostra presenta una serie di opere che analizzano il rapporto tra testo e arti visive. Sempre di più e con sempre maggiore intensità, molti artisti contemporanei sembrano utilizzare pratiche narrative per sviluppare i propri lavori. La mostra indaga alcune posizioni artistiche che, spesso, utilizzano un richiamo più o meno diretto a un testo – sia esso narrativo, poetico o teorico – per generare un oggetto, un’immagine o uno spazio.
Comunicato stampa
Concentrandosi sul lavoro di sette artisti di generazioni diverse – Meris Angioletti, Pedro Barateiro, Pavel Buchler, Bethan Huws, Anna Franceschini, Michael Mueller, Vincent Vulsma – la mostra A text is a Thing presenta una serie di opere che analizzano il rapporto tra testo e arti visive. Sempre di più e con sempre maggiore intensità, molti artisti contemporanei sembrano utilizzare pratiche narrative per sviluppare i propri lavori. La mostra indaga alcune posizioni artistiche che, spesso, utilizzano un richiamo più o meno diretto a un testo – sia esso narrativo, poetico o teorico – per generare un oggetto, un’immagine o uno spazio. In molte delle opere in mostra le strutture grammaticali, lessicali o narrative non sono soltanto fonte di ispirazione ma assumono esse stesse un esito formale: il testo diventa una “cosa” e le parole sono colte nella sua materialità, fino addirittura a sgretolarsi.
A text is a thing vuole mettere in luce come nel passaggio da una matrice verbale e letteraria alla realizzazione di un’opera visiva – sia essa scultorea, installativa, video o pittorica – vi siano una serie di gap e di “sincopi” che rendono le opere degli artisti in mostra non già una trasposizione diretta della fonte da cui il concetto proviene, quanto piuttosto, una trasformazione e una contrazione di un numero di informazioni in una unità visiva.
In mostra saranno presentate opere realizzate in un periodo di tempo che va dal 1973 fino al 2011, oltre a lavori realizzati appositamente per l’occasione.
Partendo da una profonda riflessione sul ready-made duchampiano Bethan Huws (1961, vive e lavora a Berlino) spinge ai limiti tanto la dimensione della banalità nell’arte quanto la matrice linguistica dell’immagine. L’artista gallese, muovendosi liberamente tra le tecniche dell’acquerello, del disegno, del wall-text, dell’installazione e della scultura crea collegamenti inattesi tra il dominio dell’arte e la nostra esperienza della quotidianità.
Pavel Büchler (1952, vive e lavora a Manchester) è artista, docente e scrittore. Riassumendo la sua pratica come "fare accadere il nulla", egli si concentra sulla natura catalitica dell’arte e sulla sua capacità di attirare l’attenzione sull’ovvio rivelandolo, in ultima analisi, come inaspettato.
L’artista portoghese Pedro Barateiro (1979 vive e lavora a Lisbona) utilizza diversi mezzi espressivi tra cui fotografia, collage, installazione, scultura e video. In ognuno di questi casi l’artista lavora principalmente con immagini esistenti, fotografie di vecchi magazine, documenti, testi letterari e oggetti trovati creando, a partire da essi, una riflessione su come la storia lavori nel presente a generare spazi e architetture, sia fisici che simbolici.
Anna Franceschini (1979, vive e lavora ad Amsterdam) utilizza l’immagine in movimento e la relazione con il linguaggio del cinema per osservare i luoghi e i contesti nei quali si trova ad operare. L’artista parte dagli oggetti e dagli spazi e, attraverso un procedimento che lei stessa definisce di “dinamizzazione” degli elementi, inizia un percorso a ritroso che la porta a ridefinire all’essenza degli stessi.
Nel suo lavoro Meris Angioletti (1977, vive e lavora a Parigi) pone lo spettatore nella posizione del ricercatore, proponendo quelle che, più che “opere”, appaiono come metodi di indagine. Nei suoi oggetti e nelle installazioni video e sonore l’artista dissemina indizi, microstorie e memorie letterarie e filosofiche che ricompone in quella che sembra una filologia del tutto soggettiva.
Vincent Vulsma (1982, vive e lavora tra Amsterdam e Berlino) raccoglie oggetti e modelli provenienti da collezioni etnografiche o da produzione di design modernista, muovendosi deliberatamente tra ciò che è classificabile come bene di lusso, arte o souvenir. Le sue opere spesso indagano gli effetti che i cambiamenti culturali tra diversi contesti storici e sociali provocano nella produzione e nell’interpretazione di oggetti, cercando di analizzare il ruolo dell’artista e di altri specialisti nel processo di produzione di “valore” di questi stessi.
Sin dai suoi esordi Michael Müller (1970, vive e lavora a Berlino) ha sviluppato un corpus di lavori che indaga fenomeni psichici, culturali, filosofici e religiosi sia occidentali che orientali, ponendo in relazione queste dimensioni dell’esistenza umana con i sistemi di categorizzazione e classificazione scientifici. I suoi lavori più recenti mostrano un interesse per le strutture e i sistemi intorno ai quali si sviluppano e ruotano tanto la costruzione del linguaggio quanto le forme di espressione non verbali.