About practice
About practice mette insieme tre artisti della stessa generazione, i cui lavori hanno in comune l’esperienza di aver collezionato in corso d’opera soluzioni formali e vicende specifiche legate alla loro realizzazione che ne hanno cambiano, influenzato e arricchito l’intento originario, stimolando quindi un dibattito sull’osservazione del gesto artistico.
Comunicato stampa
La galleria Giuseppe Pero ha il piacere di annunciare about practice, mostra collettiva degli artisti Arianna Carossa, Tom Pnini e Marta Roberti, a cura di Alessandro Facente.
About practice mette insieme tre artisti della stessa generazione, i cui lavori hanno in comune l’esperienza di aver collezionato in corso d’opera soluzioni formali e vicende specifiche legate alla loro realizzazione che ne hanno cambiano, influenzato e arricchito l’intento originario, stimolando quindi un dibattito sull’osservazione del gesto artistico. In quanto stratificazione cronologica di storie scritte nel tempo, la pratica è quindi essa stessa substrato argomentativo dell’opera d’arte, che impone alla curatela di delinearne criticamente una filologia che le appartenga profondamente e che diventi per essa una voce critica interna al processo di costruzione.
Questo approccio congiunto tra produzione e teoria fa di about practice un mostra che ragiona sull’idea stessa di concetto, il suo ruolo e posizione nell’opera d’arte. Esso non viene inteso come elemento accessorio che esternamente va a supporto dell’opera per una motivazione sociale, una direzione politica o di qualunque altro genere, bensì conseguenza intrinseca di un lavorio costante che nel compiersi sviluppa una sua dimensione teorica.
Autocritica, dunque, l'opera si motiva autonomamente, ovvero per un’urgenza talmente acuta da erigere per sé una gestualità, effimera o compulsiva - non importa -, purché appartenga, però, alla normalità di un impulso semplicemente umano, ad una persona specifica, l'artista, il cui intento è contribuire con questo metodo ad una ricerca universale, quale è quella dello stupore e la meraviglia.
“Tutto ciò che è, è nella natura”, così recita Democrito. Nel farlo abolisce qualunque fenomenologia che intenda trascendere spiritualmente la natura. Per il filosofo, quest’ultima è pura materia che esiste per ciò che appare. Allo stesso modo, i lavori di Arianna Carossa, Tom Pnini e Marta Roberti appaiono all’osservatore per la meraviglia di cui sono composti e indagabili per i procedimenti che li hanno resi tali. L’unica trascendenza possibile sta nell’evocazione di tutte le contaminazioni che hanno subito, gli approcci altri a cui si sono ispirati e che, uno dopo l’altro, hanno creato i presupposti teorici che hanno reso la loro, una pratica significante. Ecco che il lavoro di Arianna Carossa, nascendo come installazione di carattere scultoreo, rivela al momento dell’interazione un’improvvisa funzionalità, che rimanda all’oggettualità del design; il quadrittico video di Tom Pnini sfocia nella ricerca di una cromia che il soggetto rappresentato trova direttamente dalla fonte del paesaggio naturale, portando la sua pratica ad assumere una postura profondamente pittorica; mentre ciò che si fissa nell’immobilità dell’installazione ambientale dei disegni di Marta Roberti, in verità rivela le vibrazioni e le immagini in movimento del video.
Tutti i lavori, in un modo o nell’altro, nascono da un’indagine sulla forza perfettiva, scenografica e intricata della natura, e come essa si pongono nei confronti dello spettatore con lo spirito contemplativo che esiste quando la si osserva, sublimando con lo sguardo ciò che ancor prima è stata una costante critica che li ha seguiti dal momento della loro nascita.
Agendo come ascolto visivo, questo mutuo dialogo tra produzione artistica e teoria curatoriale ha incoraggiato a sua volta la volontà della mostra di contribuire al dibattito aperto e più ampio sull'osservazione e la critica contemporanea. Teorie su cui John Berger, con il suo celebre about looking (1980), ha contribuito ragionando sul rapporto che esiste tra l’opera d’arte e la comprensione, attraverso la sua osservazione, dello scenario del tempo a cui è legata per appartenenza o evocazione - come lo sono state ad esempio le due distinte letture da lui prodotte per la pala di Grϋnewald, che a distanza di dieci anni l’una dall’altra, proiettano lo stesso Cristo su due visioni della storia completamente diverse. Di contro About practice propone una lettura interna che agisce, cioè, in un momento precedente la realizzazione dell'opera, dove uno sguardo più intimo è possibile se avviene nei limiti del tempo, dei sensi, storie, teorie, timori, ambizioni, ripensamenti, intuizioni, pulsioni e miracoli della sua costruzione, indagando e celebrando ciò che da esse a loro volta nasce e ne consegue.