Adelita Husni-Bey – Adunanza
La mostra riunisce l’eterogenea produzione che Adelita Husni-Bey ha sviluppato negli ultimi dieci anni tra video, installazioni, opere pittoriche, serie fotografiche, disegni e lavori su carta ed è la sua prima vasta personale in un’istituzione italiana.
Comunicato stampa
Inaugura venerdì 8 giugno 2018 alle ore 18 alla Galleria Civica di Modena, nella sede della Palazzina dei Giardini, Adunanza, a cura di Diana Baldon e Serena Goldoni. La mostra riunisce l’eterogenea produzione che Adelita Husni-Bey ha sviluppato negli ultimi dieci anni tra video, installazioni, opere pittoriche, serie fotografiche, disegni e lavori su carta ed è la sua prima vasta personale in un’istituzione italiana. L’artista che vive a New York, negli ultimi anni si è distinta nel panorama internazionale, partecipando a manifestazioni di rilievo quali la Biennale d’Arte di Venezia nel 2017, tra i rappresentanti del Padiglione Italia, e la mostra Being: New Photography 2018 al MoMA di New York.
Fin da giovanissima, Adelita Husni-Bey (Milano, 1985), s’interessa a temi politici e sociali complessi indagandoli attraverso studi di sociologia, teorie educative anarco-collettiviste e pratiche d’insegnamento sperimentali. Le sue opere si fondano e nascono da processi collettivi, nella forma di workshop e giochi di ruolo che hanno visto la partecipazione di varie tipologie di comunità, tra cui figurano studenti, atleti, giuristi e attivisti politici. Il ruolo dell’artista, secondo Husni-Bey, è “creare situazioni e dinamiche nuove dove nulla è recitato e dove emergano criticamente, agli occhi dei soggetti coinvolti, le profonde connessioni con i rapporti di forza di tipo economico e sociale che governano l’Era contemporanea”. L’opera finale, i cui proventi vengono sempre contrattualmente condivisi con i partecipanti che comunque possono decidere se prestare o meno la propria immagine, restituisce infatti solo una piccola parte dell’atto pedagogico che si realizza durante le giornate di workshop.
La pratica di Adelita Husni-Bey si sviluppa con mezzi espressivi differenti, ma in tutte le sue opere ¬– anche in quelle sviluppate attraverso il disegno, il video, la fotografia, la scultura e l’installazione – è riconoscibile la sua sensibilità e matrice pittorica. Quest’ultima è immediatamente evidente in The Sleepers (2011), un olio su tela che ritrae un gruppo di colletti bianchi nell’atto di dormire profondamente, ma anche nel dipinto integrato all’interno della video installazione Postcards from the Desert Island (2011) che accoglierà i visitatori all’ingresso della Palazzina dei Giardini. L’opera è il frutto di un seminario di tre settimane che l’artista ha svolto con i bambini dell'Ecole Vitruve di Parigi, istituto pubblico elementare sperimentale che adotta modelli educativi basati sulla cooperazione e sulla non competitività. Gli scolari sono stati invitati a costruire un’isola deserta nella propria aula scolastica e prendendo a prestito gli scenari del romanzo Il signore delle mosche di William Golding hanno fatto auto-gestione e affrontato questioni legate alla lotta per il potere, l'immigrazione, il significato dello spazio pubblico e la disobbedienza civile.
Sono diverse le opere che hanno visto il coinvolgimento di gruppi di adolescenti, tra cui la serie “Agency” (2014), composta di una video installazione e una serie di fotografie realizzate nelle sale del Museo MAXXI di Roma. Qui una trentina di studenti volontari di un liceo della capitale ha partecipato a una riflessione sulle relazioni di potere nell’Italia contemporanea simulando — attraverso la libera scelta di azioni, atteggiamenti, pose e abbigliamento — l’appartenenza a cinque diverse categorie: politici, lavoratori, attivisti, banchieri e giornalisti, i quali dovevano produrre ogni ora un resoconto sullo stato di avanzamento della “società”.
The Council (2017) è invece una serie fotografica risultante da un workshop svoltosi al MoMA di New York con alcuni giovani partecipanti del programma MoMA teens. Sviluppando un pensiero critico riguardo alla funzione delle istituzioni, i ragazzi, suddivisi in gruppi, dovevano immaginare una totale riorganizzazione degli spazi della storica istituzione newyorkese, servendosi anche dell’Image Theater, tecnica usata per riprodurre attraverso un’immagine “teatrale” una determinata situazione sociale, con l’obiettivo di trovare nuovi spunti e soluzioni.
2265 (2015) è una video installazione che restituisce alcuni momenti di un workshop e di una performance tenutisi presso il South Eastern Center for Contemporary Art di New York con un gruppo di giovani autori facenti parte di Authoring Action, organizzazione che si occupa di educare gli adolescenti grazie al potere della scrittura creativa e dell’arte. Il workshop che ha dato origine alla performance, ha analizzato una serie di scenari colonialisti e capitalisti futuri, tra cui la prospettiva di popolare Marte.
Un tema di grande attualità è quello dell’analisi e della percezione sociale del dolore e della disabilità. Le storie di atleti giovanissimi, che si sono infortunati svolgendo un’attività sportiva, sono raccontate nel video After the Finish Line (2015), in cui, usando un approccio pedagogico radicale e un processo che cerca di spersonalizzare i sentimenti di fallimento, Adelita Husni-Bey ha indagato il significato e le trappole collegate allo spirito di competizione che caratterizza molti ambiti della società contemporanea. Shower (2013) è invece un’installazione realizzata in collaborazione con l’artista Park McArthur, a testimonianza di un dialogo tra modi diversi di esperire la realtà a partire da condizioni di disabilità, che il visitatore è invitato a leggere seduto su sgabelli per doccia dall’inconfondibile design igienico-sanitario. Nella stessa sala, il tema del rapporto con la sofferenza del corpo è affrontato anche dalla serie di disegni di grandi dimensioni “Encontrers on pain” (2015), nati da incontri individuali, su cui l’artista ha ricalcato il corpo dei partecipanti dando forma all’origine sociale e politica del loro dolore fisico.
“White Paper: The Law” (2015) è invece una serie di stampe di grande formato che ripercorre la genesi e l’evoluzione della “Convenzione sull’uso dello spazio”, una bozza giuridica elaborata attraverso una serie di incontri pubblici promossi dall’artista e Casco – Office for Art, Design&Theory di Utrecht per contestare le delimitazioni alla proprietà privata imposte nel 2010 nei Paesi Bassi da una legge sul divieto di occupazione abusiva.
Completano la mostra altri gruppi di disegni e opere su carta che accompagnano e riprendono alcuni dei macro-temi delle installazioni.
Adelita Husni-Bey (Milano, 1985) è un’artista e un’esperta di pedagogia interessata a tematiche che spaziano dall’anarco-collettivismo al teatro, dalla giurisprudenza agli studi sullo sviluppo urbano. Si occupa inoltre di organizzare workshop, produrre pubblicazioni, curare trasmissioni radiofoniche, archivi e mostre, usando modelli pedagogici non competitivi, attraverso l’arte contemporanea. Il lavoro svolto in svariati contesti con attivisti, architetti, giuristi, scolari, poeti, attori, urbanisti, fisioterapisti, atleti, insegnanti e studenti, si concentra sulla decostruzione della complessità del concetto di collettività. Tra le sue recenti mostre personali: Frangente, parte di “Furla Series #1”, Museo del Novecento, Milano, 2018; White Paper: On Land, Law and the Imaginary, Centro de Arte dos de Mayo, Mostoles, Spagna, 2016; A Wave in the Well, Sursock Museum, Beirut, 2016; Movement Break, Kadist Art Foundation, San Francisco, 2015; Playing Truant, Gasworks, Londra, 2012. Ha rappresentato l’Italia alla Biennale di Venezia del 2017 con un video incentrato sulle lotte anti-estrattiviste. Ha inoltre partecipato a importanti mostre collettive tra cui: Being: New Photography, MoMA, New York, 2018; Power to the People, Schirn Kunsthalle, Francoforte, 2018; Dreamlands, Whitney Museum, New York, 2016; The Eighth Climate, 11th Gwangju Biennale, Corea del Sud, 2015; Really Useful Knowledge, Museo Reina Sofia, Madrid, 2014; Utopia for Sale?, MAXXI, Roma, 2014. Ha tenuto seminari e conferenze presso numerose istituzioni tra cui il MoMA di New York, la Serpentine Gallery di Londra e l’HangarBicocca di Milano nel 2017, l’ESAD di Grenoble nel 2016, The New School di New York e il Sandberg Institute di Amsterdam nel 2015, il Museo del Novecento di Milano nel 2013, la Birkbeck University di Londra nel 2011. Nel 2012 ha partecipato al Whitney indepentent Study Program e il suo libro sugli immaginari legali legati al territorio, White Paper, è stato supportato dalla Graham Foundation nel 2016.
Galleria Civica di Modena fa parte – insieme a Fondazione Fotografia Modena e Museo della Figurina – di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, istituzione diretta da Diana Baldon e dedicata alla presentazione e alla promozione dell'arte e delle culture visive contemporanee.