Adolfina De Stefani – Oh pun legs Alice!
Con un gioco di parole, simboli e oggetti Adolfina de Stefani chiude il ciclo di mostre/performance dedicato alle opere di Lewis Carroll nelle quali l’artista veneta identificandosi con Alice, ripercorre in tre tappe espositive a Vicenza, Rovereto e Venezia, i suoi racconti.
Comunicato stampa
Con un gioco di parole, simboli e oggetti Adolfina de Stefani chiude il ciclo di mostre/performance dedicato alle opere di Lewis Carroll nelle quali l’artista veneta identificandosi con Alice, ripercorre in tre tappe espositive a Vicenza, Rovereto e Venezia, i suoi racconti.
Per entrare nel mondo fantastico di Alice comprendendone quelle enigmatiche verità nascoste bisognerebbe avere quelle stesse chiavi di lettura custodite nella città di Oxford e nella metalogica del reverendo Carroll. Non è un caso che alle avventure di Alice si siano interessati nel tempo molti intellettuali e uomini dotati d’ingegno, cercando di svelarne i suoi molteplici e possibili significati.
Come afferma Martin Gardner , matematico, scienziato e scrittore statunitense “ il guaio è che ogni opera di non senso contiene una tale quantità di simboli allettanti, che una volta partiti da un assunto qualunque sull’autore mettere in piedi una convincente impalcatura di prove con cui suffragarlo è facilissimo. “
Ma Adolfina de Stefani aggirando la logica stessa, penetra nel cuore dei racconti di Alice attraverso l’arte. Ed ecco improvvisamente apparire minuscole scarpine, vestitini immacolati, alberi e torri antropomorfe come per avvertire lo spettatore che è appena approdato in una metarealtà dove non vale il senso comune delle cose quanto la loro immanente presenza. Questi oggetti, misteriosi riferimenti alle vicende del racconto che l’artista va lasciando, diventano il punto di partenza per un percorso catartico che nega il concetto del tempo come dello spazio.
Alice dimostra che il tempo è una delle tante illusioni dell’uomo.
Attraverso la memoria come attraverso lo specchio, è possibile ripercorrerlo a ritroso. Alcune cose che avvengono trovano le loro motivazioni solo dopo che sono accadute come il messo del Re che sconta la pena prima di aver commesso il delitto.
Così anche lo spazio e i corpi nel mondo immaginario di Alice sono soggetti a continue mutazioni che non dipendono da leggi fisiche bensì dalle necessità narrative del racconto ed è per questo che i cinque merli della torre di Adolfina, si trasformano in braccia che sorreggono i piccoli libri della fantasia.
La bianca torre esposta nella sala a Venezia, evoca il cavaliere bianco del racconto che a sua volta gli studiosi carrolliani ritengono essere un autoritratto dello stesso Carroll.
Tant’è vero che il Cavaliere Bianco era amante di ordigni strani, “bravissimo ad inventare cose” e il suo cervello funzionava al meglio quando vedeva le cose alla rovescia. Il Cavaliere Bianco poi è l’unico personaggio di tutto il racconto che sembra nutrire un qualche sentimento per Alice offrendole il suo valido aiuto. L’accostamento della torre bianca al Cavaliere Bianco si deve intendere come elevazione dell’intelletto e dello spirito all’assoluto per poi canalizzarlo sulla terra sotto forma di amore ed energia purificatrice.
La catarsi o purificazione della mente dell’uomo avviene sempre con un rituale d’iniziazione e per opera di un sacerdote o sacerdotessa. L’iniziazione presuppone sofferenza; le opere della de Stefani sono tormentate infatti da spilli di acciaio, chiodi e talvolta si tingono di rosso. Alice quasi piange dal dolore di essere stata abbandonata dal cerbiatto e di dover proseguire da sola il cammino o si mortifica per essere vista come un mostro leggendario dall’unicorno.
La gestualità e la fisicità corporea nell’arte della de Stefani si integrano agli oggetti e l’artista tende così a fare del suo stesso corpo un medium tra il mondo sovrannaturale del simbolo e quello reale del segno stesso del simbolo. Nella prima tappa espositiva di “Oh pun legs, Alice!”, due bambine in carne e ossa giocavano su una grande scacchiera seguendo le mosse suggerite dall’artista in persona.
Quello che affascina del gioco degli scacchi è la moltitudine di possibili mosse strategiche per poter vincere la partita. Vincere la partita vuol dire fare scacco, quindi imprigionare il re avversario. Alice alla fine del racconto vince prendendo la Regina Rossa (che equivale alla Regina Nera nel gioco degli scacchi).
Il colore nero è associato alle tenebre. La morte è rappresentata nel tredicesimo arcano dei tarocchi come uno scheletro in un’armatura nera su un cavallo bianco. Non è la prima volta che la de Stefani s’interessa ai simboli occulti e magici, come dimostrano i suoi precedenti lavori sui tarocchi.
La scrittura automatica fu un aspetto primario della mania spiritualistica ottocentesca, Carroll fu per tutta la vita un membro convintissimo della Society for Psychical Research e la sua biblioteca conteneva dozzine di libri sull’occulto. Nel racconto di Alice, il Re Bianco si rendeva conto di stare scrivendo un sacco di cose che non aveva intenzione di scrivere…
I giochi di parole erano assai diffusi nei salotti dell’Inghilterra vittoriana e di questo ne è consapevole l’artista che infatti intitola Oh pun legs, Alice! l’intero progetto articolato in tre atti.
Le parole come nella scrittura automatica restituiscono a loro volta formule magiche.
E così per richiamare il titolo della prima mostra/performance For a geography of everyone’s life, l’artista delinea un cerchio di luce rossa a neon. Nelle dottrine esoteriche questa forma geometrica senza inizio e né fine, rappresenta il ciclo continuo della vita.
In quanto circuito chiuso il cerchio diventa un simbolo magico di protezione dal male, una sorta di amuleto come lo sono l’anello o la corona.
Alice alla fine del suo viaggio viene incoronata Regina come un guerriero che ha sconfitto il male.
White Running titolo della seconda performance è rappresentato invece da un quadrato di luce a neon bianca.
Il quadrato è la corsa della Regina Bianca e di Alice nella scacchiera.
Mentre il cerchio descrive il ciclo la vita, il quadrato delinea i confini entro i quali si manifesta la vita.
I mandala tantrici o architettonici sono quadrati con quattro porte cardinali.
I quadrati magici erano suddivisi come scacchiere in nove caselle alle quali erano associati caratteri alfanumerici proprio come nel gioco degli scacchi. La combinazione matematica di questi caratteri sulla scacchiera veniva associata a formule occulte che servivano a sconfiggere il male. Le chiese quadrate sono numerose soprattutto in Gran Bretagna ed un esempio è proprio la cattedrale di Oxford.
Infine la terza ed ultima tappa di questo progetto dedicato ad Alice intitolato dall’artista Trough the looking-glass, and what ALICE found there
è raffigurato con un albero, soggetto ricorrente nell’arte della de Stefani. L’albero mette in comunicazione il mondo ctonio con quello uranio e riunisce tutti gli elementi acqua, terra, aria e fuoco .
Nel mondo oltre lo specchio di Alice la campagna disegnata a scacchiera e suddivisa da ruscelli e siepi, si alterna al bosco. Ed è ai piedi di un grande albero che la Regina Rossa lascia Alice riposare quando costei riprendendosi da quell’inverosimile corsa pensa: “Ehi ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest’albero! E’ tutto è esattamente come prima!” Non sorprende così che il volo pindarico della fantasia di Alice sul quale si basa l’intero racconto, sia avvenuta proprio ai piedi di un simbolo cosmico come l’albero. Solo quando l’umano entra in contatto con la natura il viaggio iniziatico può dirsi compiuto.
L’intero complesso delle opere presentate dall’artista a Vicenza, Rovereto e Venezia richiamano l’arte concettuale degli anni ’60 dove l’oggetto artistico si smaterializzava confluendo nel suo significato e componendo una semplice parola o un concetto. In particolare l’uso dei neon nella produzione artistica della de Stefani, ricorda Joseph Kosuth quando dichiarò di aver cominciato a lavorare con il neon perché gli piaceva l’idea di usare un materiale impiegato per la pubblicità ma che poi era finito ad usarlo per le sue qualità tecniche in quanto il neon “ ha una fragilità che lo rende più simile alla scrittura. Non è permanente. Ha una diversa dimensione della permanenza”. .
Adolfina de Stefani seppur prendendo spunto dalle precedenti correnti artistiche (a partire dal surrealismo) che avevano riesumato la scrittura come espressione intima della psiche e dell’animo umani, se ne distanzia in quanto non è il contenuto della scrittura in sé che interessa l’artista, quanto le sue potenzialità plastiche ed estetiche.
Non a caso fonte d’ispirazione per Adolfina diventa proprio un’opera di non senso come i racconti di Carroll che evidenziano come la scrittura, il linguaggio non siano forme d’espressione universali ed assolute ma mutevoli ed ingannevoli.
Oltre lo specchio esistono infinite realtà diverse, dove l’impossibile diventa possibile svelando la vera natura delle cose. Tutte le convenzioni cessano di esistere e così è anche per la scrittura tant’è vero che il dialogo nei racconti di Carroll non avviene secondo un rapporto dialettico tra i rispettivi interlocutori.
Lo dimostra il fatto che le domande nel racconto spesso rimangono inevase e i personaggi sembrano parlare ognuno secondo la sua propria direzione e visione delle cose, le quali vanno prendendo le sembianze stesse delle parole.
La scrittura così diviene come una materia plastica e incandescente capace di plasmare il mondo in assoluta libertà. L’artista è affascinata da questa nuova bellezza etica ed estetica che scaturisce dai racconti di Carroll, dal suo mondo misterioso dove ai fiori, agli animali come agli scacchi e a tutte le altre cose vengono riconosciute pari identità e dignità che agli esseri umani.
L’arte nella de Stefani è in rapporto speculare con la vita e diviene lo specchio magico di Alice, nel quale si riflette l’umana realtà e attraverso il quale è possibile poi osservarla.
La conoscenza profonda della vita si ottiene con lo stesso meccanismo del libro dello Specchio, dove le parole invertite da destra a sinistra diventano comprensibili solo se lette attraverso lo specchio. Il viaggio della memoria che ripercorre nel verso contrario il tempo, sottintende l’artista, è un viaggio senza ritorno poiché il presente senza il passato non è nulla ed è solo nel passato che possiamo trovare il senso del presente, solo ingannando il rigore freddo e matematico della ragione c’è ancora speranza di salvezza per l’uomo.
L’artista nascondendosi dietro le lenti scure degli occhiali da sole appare assorta nei suoi pensieri, seduta su una panchina. Riflette sulle assurde superficialità della vita.
Ma appena vede Alice il suo sguardo s’illumina e così alzandosi prende per mano la bambina e sorridendo si avvia con lei oltre lo specchio ripercorrendo le caselle della sua personale esistenza.
“Mi hai svegliato da un sogno, oh! Così bello! E mi hai accompagnato… per tutto il mondo dello Specchio”
Roberta Semeraro