Agostino Ferrari e il Gruppo del Cenobio
In esposizione circa venti opere che tracciano il percorso creativo di Agostino Ferrari, realizzate tra i primi anni Sessanta e il Duemila.
Comunicato stampa
Il 30 maggio 2023, alle ore 18.30, presso lo JUS Museum di Napoli (Palazzo Calabritto, Via Calabritto, 20, piano nobile, scala B) si inaugura la mostra “Agostino Ferrari e il Gruppo del Cenobio” a cura di Marcello Palminteri. Interverranno il curatore e l'Avv. Olindo Preziosi.
In esposizione circa venti opere che tracciano il percorso creativo di Agostino Ferrari, realizzate tra i primi anni Sessanta e il Duemila. Partendo dalle esperienze condivise con il “Gruppo del Cenobio”, fondato nel 1962 insieme a Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga e Arturo Vermi (di cui sono esposte alcune significative opere del periodo), la mostra permette di individuare la coerenza pittorica di uno tra i maggiori esponenti dell'astrazione segnica del Novecento.
Agostino Ferrari ha piegato il segno a strumento espressivo per raccontare se stesso e gli sviluppi della pittura, attraversando avanguardie ed “ismi” nel solco di una vocazione pittorica che lo ha condotto verso una riduzione in cui traccia, struttura e colore convergono in una cifra stilistica di metodo rigoroso, eppure liberissima, rendendo evidente la straordinaria intensità che trasforma ogni elemento costruttivo in strumento di comunicazione. Così il segno diventa scrittura capace di raccontare l’uomo, indicando lo scorrere del tempo, facendosi storia ma ogni volta in presa diretta, nella fisicità cosciente del dipingere, con l’emozione caricata dalla memoria.
La mostra rimarrà aperta sino al 30 giugno (dal martedì al venerdì ore 10-13/15-19, sabato ore 16-19, domenica, festivi e altri orari su appuntamento) per poi proseguire, con nuove acquisizioni, dal 12 settembre al 12 ottobre 2023.
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AGOSTINO FERRARI
Agostino Ferrari nasce a Milano il 9 novembre 1938. Espone per la prima volta nel 1961 alla galleria Pater, presentato da Giorgio Kaisserlian. Imprime un salto evolutivo, nella pittura di Ferrari, la lunga frequentazione di Lucio Fontana che non si traduce in intima adesione ai principi dello “Spazialismo” ma piuttosto in un più generico spessore riflessivo, altamente filosofico, del suo fare artistico che si è mantenuto intatto, pur tra ripensamenti e sperimentazioni, attraverso i decenni. Incontra gli artisti con cui fonderà (nel 1962, grazie all’intuito critico di Alberto Lucia) il “Gruppo del Cenobio”: Arturo Vermi, Angelo Verga, Ettore Sordini, Ugo La Pietra. I cinque artisti reinterpretano la pittura rendendola gesto puro, primitivo ma al contempo proteso verso il futuro: la via da seguire è quella che porta alla nascita di una vera e propria “poetica del segno” dove la tecnica pittorica si riduce a grafia e la composizione a un sovrapporsi di tratti archetipici cifrati. Il gruppo, che ha vita breve, lascia una testimonianza importante nella poliedrica situazione milanese di quel periodo, ed è fondamentale per Ferrari, in quanto coincide con l’inizio della sua ricerca sul segno, che sarà il filo conduttore di tutta la sua opera. Infatti, dopo lo scioglimento del gruppo, Ferrari continua a coltivare il segno come scrittura non significante. Tra il 1964 e il 1965 si trova a New York, dove conosce e frequenta diversi artisti americani, fra i quali Lichtenstein, Rauschenberg, Jasper Johns, Billy Apple. L’esperienza americana, pur lontana dalla visione artistica di Ferrari, influisce quindi sul segno, che assume progressivamente un valore più plastico, in parallelo alle coeve esperienze degli amici Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e soprattutto Dadamaino. Nel 1966 espone a New York, alla Eve Gallery. Successivamente, tornato in Italia, elabora cicli oggettuali e processuali dedicati agli ingredienti della pittura, segno, forma e colore, vere e proprie “messe in scena” dal carattere “fondamentalmente plastico”, come scrive Lucio Fontana nel 1967, presentando una sua mostra personale. Successivamente, una fase di ripensamento e di bilanci definita “rifondazione” porta Ferrari a recuperare un segno più gestuale che da quel momento non lascerà più: moduli e grafie illeggibili, di consistenza diversa, talvolta impreziosite da uno spessore di sabbia, si moltiplicano attraverso nuovi cicli che impegnano l’artista per alcuni decenni, dagli “Eventi” ai “Palinsesti” alle “Maternità”, dove uno schema centrale (matrice) è ripetuto nella fascia più esterna del quadro, dando luogo a una ripresa con valori tonali invertiti; fino ai recenti “Oltre la soglia” e “Interno-esterno”, caratterizzati dalla presenza di uno squarcio colmo di impenetrabile nero in cui il segno si immerge o da cui fuoriesce, come per connettersi all’esperienza positiva della luce. Nel 1978, dopo un soggiorno a Dallas, esporrà le sue ricerce presso la Contemporary Art Gallery. È in questi anni che incomincia l’uso della sabbia vulcanica, che resterà caratteristica costante del suo lavoro fino ad oggi. Oltre alle storiche mostre con il “Gruppo del Cenobio” e alle presenze nelle più importanti rassegne sulle ricerche astratte del Novecento, si segnala la partecipazione, nel 2005, alla XIV Quadriennale di Roma. Agostino Ferrari ha esposto in centinaia di mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Fra le più importanti retrospettive ed antologiche si ricordano quelle al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1976), al Palazzo Braschi di Roma (1992), alla Casa del Mantegna di Mantova (2010), alla Fondacion Frax di Alfas del Pi ad Alicante, Spagna (2011), al Palazzo Lombardia (2013). Nel 2007 ha realizzato alcune opere pubbliche permanenti nella piazza Borgoverde di Vimodrone, su incarico del gruppo Land (Landscape Architecture) di Milano. Del 2014 è l’importante mostra collettiva “Nati nel ’30. Milano e la genarazione di Piero Manzoni”, Palazzo della Permanente, Milano. Ha lavorato con gallerie d’arte di primo piano come Franz Paludetto (Torino), Lorenzelli (Milano), Centro Steccata (Parma), Thomas Levy (Amburgo). Sue opere sono presenti in musei e in importanti collezioni pubbliche e private italiane e straniere. Nel 2018 il Museo del Novecento di Milano celebra Agostino Ferrari con una grande mostra antologica: “Segno. Espressione. Linguaggio” a cura di Martina Corgnati. Agostino Ferrari vive ed opera a Milano.
IL GRUPPO DEL CENOBIO (MILANO 1962-63)
La ricerca di un “minimo sperimentale simbolico” trova l’occasione di verifica e confronto nel gruppo formato da Ettore Sordini, Angelo Verga, Arturo Vermi, Ugo La Pietra e Agostino Ferrari. Un’esperienza breve ma intensa e che rappresenterà storicamente l’unico gruppo che sviluppò la cosiddetta “corrente segnica”. Fondato a Milano nel 1962, insieme al poeta Alberto Lùcia, prenderà il nome dalla Galleria Cenobio di Milano, luogo dove tennero una serie di mostre nel 1962. A questa seguirono altre mostre presso La Saletta del Premio del Fiorino a Firenze, all’Indice di Milano e alla Galleria Cavallino di Venezia. I membri del gruppo, rifiutavano l’atteggiamento nichilistico e ipercritico nei confronti della pittura dell’epoca e si opponevano all’invasione della cultura americana, contrapponendosi così all’arte oggettuale, alla Pop art e all’arte cinetica. Il segno è l’assoluto protagonista delle loro ricerche, accomunate proprio dall’esigenza di proporre una nuova interpretazione dell’atto pittorico in un’epoca in cui le tendenze d’avanguardia - dagli artisti di Azimut al Gruppo T - stavano rivolgendosi ad altre forme espressive. Nelle loro opere il segno, tracciato con caratteristiche differenti a seconda della personalità di ciascuno, si fa portatore di una narrazione poetica ed emotiva, libera ed autonoma. Al segno, i cinque artisti, arrivano da territori diversi: Vermi e Ferrari provengono da esperienze informali e giungono quasi contemporaneamente alla definizione di un nuovo linguaggio potentemente poetico, affinando una libera scrittura; La Pietra ci arriva inseguendo l’ambizione di superare i confini e spezzare il sistema precostituito, anticipando, in tal senso, la sua vocazione “architettonica”; Sordini e Verga, invece, provenienti dalle esperienze del Gruppo Nucleare, virano verso ipotesi di derivazione concettuale, in cui la traccia vive e sommuove lo spazio della superficie pittorica. Il gruppo si scioglie dopo meno di due anni di attività ma l’impronta lasciata dall’esperienza comune resterà forte nella ricerca dei singoli artisti. Ciascun esponente proseguirà poi il proprio cammino, accentuando, con attitudini e modalità diverse, aspetti differenti dell’ipotesi espressiva esplorata dal movimento.
Nel marzo del 2013, si è tenuta una grande mostra retrospettiva dal titolo “Nel segno del segno” (a cura di Luciano Caramel) presso Palazzo delle Stelline (Milano) per celebrare il cinquantesimo anniversario della prima mostra del gruppo. Recentemente numerose mostre dedicate al Gruppo e ai singoli artisti che ne hanno fatto parte, segnalano il rinnovato e crescente interesse per uno tra i momenti di ricerca più importanti nell’ambito dell’astrazione italiana. Tra queste conviene ricordare: “Il Gruppo del Cenobio, Arte Italiana. Segno e scrittura” (a cura di Vincenzo Accame, Angela Vettese), Banca Commerciale Italiana, Milano, 1996; “1963. Nuovi segni, nuove forme e nuove immagini” (a cura di Francesco Tedeschi), Gallerie d’Italia, Milano, 2013; “Il Gruppo del Cenobio. Fontana, Manzoni e le avanguardie” (a cura di Alberto Mazzacchera), Brun Fine Art, Londra, 2022.