Ai Bordi dell’Identità
Videoarte contemporanea dalla Fondazione Han Nefkens.
Comunicato stampa
La mostra di videoarte Ai bordi dell’identità, ideata per il MAC di Lissone (MB) da cura di Giacomo Zaza, inaugura il 28 settembre 2019 e sarà aperta fino al 24 novembre. Il progetto espositivo è incentrato su questioni d’identità culturale, sociale e di genere
Lissone (MB), 9 settembre 2019 – Ai bordi dell’identità, Videoarte contemporanea dalla Fondazione Han Nefkens, è una mostra di opere video ideata e curata da Giacomo Zaza per il MAC - Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (MB). Il progetto espositivo inaugura il 28 settembre 2019 alle ore 18:30 e sarà aperto al pubblico fino al 24 novembre al MAC.
La mostra presenta opere che affrontano il tema dell’identità interculturale. Questioni sociali, etniche e di genere invitano a una riflessione che pone l’essere umano al centro dei processi di trasformazione in atto nel mondo contemporaneo. Quindici artisti provenienti da differenti luoghi del mondo - Occidente, Americhe, Africa, Asia e Medio Oriente - propongono considerazioni sociologiche e culturali da punti di vista differenti, attraverso linguaggi narrativi eterogenei.
Le opere sono selezionate dalla collezione della Fondazione Han Nefkens di Barcellona e dal Premio de Producción de Video Arte Fundación Han Nefkens – CAC Quito 2018.
La mostra sarà documentata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) edito da Silvana Editoriale, casa editrice internazionale, e sarà distribuito in Italia ed all’estero entro dicembre 2019.
Il progetto curatoriale è stato presentato in anteprima al MUST di Lecce grazie al supporto di UBI Banca e all'interessamento dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Lecce.
Ai Bordi dell’Identità è un evento espositivo che testimonia quanto la ricerca artistica contemporanea sia coinvolta nel dibattito culturale e sociale riguardante le condizioni dell’esistenza nel mondo globalizzato. Gli artisti coinvolti presentano riflessioni da punti di vista personali e culturali talvolta molto distanti tra loro, con strategie narrative ed espressive dissimili e variegate. Da questo excursus di video-racconti si ricava l’urgenza di porre l’essere umano al centro di un’indagine che coinvolge i processi d’identificazione e di appartenenza, d’individuazione delle differenze, di riconoscimento dell’alterità. Essere ai bordi, come suggerisce il titolo della collettiva, allude a quella condizione di fluidità in cui la definizione individuale si realizza attraverso rapporti di confronto e negoziazione con il prossimo o il diverso. I video in mostra indicano, in una prospettiva positivistica, la direzione dell’interculturalità come matrice costruttiva del percorso di emancipazione dell’uomo, percorso perennemente in divenire.
La tematica dell’oppressione delle donne nei territori di guerra dell’ISIS è affrontata con sguardo documentaristico dal video di Erkan Özgen (Derik, Turchia, 1971) Purple Muslin (2018). Shirin Neshat (Qazvin, Iran, 1957) in Tooba (2002) propone, attraverso l’allegoria di un albero, la risoluzione delle tensioni tra uomini e donne grazie alla dimensione trascendente e spirituale. Maya Watanabe (Lima, Perù, 1983) nel video Liminal (2019) si sofferma sui genocidi avvenuti in Perù, occupandosi del lutto non solo come dolore personale, ma anche come esperienza della collettività. Arash Nassiri (Teheran, 1986) in Tehran-geles (2014) ci palesa, sovrapponendo in maniera surreale le città di Teheran e Los Angeles, le urgenze che muovono migliaia di persone alla migrazione. Sempre sulle dinamiche migratorie si soffermano Ramin Haerizadeh (Tehran, 1975), Rokni Haerizadeh (Tehran, 1978), Hesam Rahmanian (Knoxville, 1980) con From Sea to Dawn (2016-2017); il video è un collage di immagini tratte dai media e rielaborate con interventi pittorici che rimanda all’odissea del viaggio. Bárbara Sánchez Barroso (Lleida, Spagna, 1987) in Paradise (2017) sovrappone le registrazioni vocali di un migrante ad immagini dalla valenza simbolica: l’uomo è disposto a pagare con la perdita delle proprie certezze valoriali in favore della speranza di una libertà individuale. Il tema della libertà è affrontato anche da Zwelethu Mthethwa (Durban, Sudafrica, 1960) in Flex (2002) attraverso la metafora dello sforzo e della fisicità, mentre l’utopia comunista sovietica è l’argomento del video intimo e biografico Disappearance of a Tribe (2005) di Deimantas Narkevičius (Utena, Lituania, 1964). Questioni sociali sono i soggetti dei lavori di Araya Rasdjarmrearnsook (Trad, Thailandia, 1957) Village Kid Singing (2004), sulla condizione della sieropositività in Thailandia, e di Gabriel Mascaro (Recife, Brasile, 1983) EBB AND FLOW (A Onda Trás o Vento Leva) (2012), sulla disabilità fisica nella società brasiliana.
Un approfondimento della videoarte latinoamericana è proposto da una selezione di opere tratte dall’edizione 2018 del Premio de Producción de Video Arte Fundación Han Nefkens - CAC Quito 2018. Cinque artisti di nazionalità o di origine latinoamericana testimoniano la vivacità di questo background culturale. Adrián Balseca (Quito, Ecuador, 1989) in Mar Cerrado (2016) costruisce una riflessione sullo sfruttamento delle risorse estrattive comparandole alle icone patriottiche e monumentali dell’Ecuador. Javier Castro (La Habana, Cuba, 1984) con La Edad de Oro (2012) smonta la retorica dell’universalità dei valori umani riportando le fantasiose e ingenue risposte dei bambini cubani alla domanda su cosa vorrebbero fare da grandi.Anche Jonathas de Andrade (Maceió, Alagoas, Brasile, 1982) interviene sui cambiamenti dei valori sociali condivisi, nel video O Levante (2014) l’artista organizza una corsa di cavalli a scopi cinematografici per aggirare il divieto imposto nella città di Racife di far circolare animali rurali. D’impatto autoreferenziale è il lavoro di Luis Gómez Armenteros (La Habana, Cuba, 1968), in Life from the Spinning Washing Machine (2012) una sequenza stop-motion di immagini del proprio volto creano una alterazione visionaria in cui la distinzione tra finzione e realtà diviene impercettibile. Beatriz Santiago Muñoz (San Juan, Porto Rico, 1972) in Otros Usos (2014) analizza gli effetti del postcolonialismo sul paesaggio dei territori caraibici.