Aladino Nicoli – Intelletto intelato
L’esposizione dal titolo ‘Aladino Nicoli: Intelletto intelato’ a cura di Sara Bastianini, si libera in una convulsa e impetuosa, veemente raccolta di venti dipinti eterogenei; si potrebbe parlare in realtà di e-venti, venti opere come venti avvenimenti.
Comunicato stampa
Lo Spazio 19C presenta la retrospettiva dell’artista carrarese Aladino Nicoli, scomparso da ormai quasi due anni.
L’esposizione dal titolo ‘Aladino Nicoli: Intelletto intelato’ a cura di Sara Bastianini, si libera in una convulsa e impetuosa, veemente raccolta di venti dipinti eterogenei; si potrebbe parlare in realtà di e-venti, venti opere come venti avvenimenti.
Nicoli impernia la trama delle sue tele, istoriandoci tutta l’esistenza dentro, infradiciandole del proprio sapere capace, della sua vitale e capitale politicità, delle lotte interiori e di classe, dei suoi ideali s-finiti senza compromesso.
In una perpetua e smodata autoanalisi, cacofonica e irrequieta, il maestro riversa intelletto e pittura, in una rotta categoricamente fedele all’autenticità; egli raccoglie e combatte imperterrito e feroce, per artigliare quella sostanza, materia, realtà, che crede avere sintesi in un creare o curare l’insufficienza e lo smarrimento della società contemporanea. Consapevolezza e veridicità, tanto sofferte quanto agognate, che gli costeranno una vita intera, senza piegamento alcuno.
Nicoli scandaglia l’esistenza, soggettiva e oggettiva; lambisce, addentra e indaga ogni scenario e condizione, sviscerandolo con metodo, fatica e rigore. Incunea nella propria mente la pittura, per poi restituirla come membrana contenitiva della sua stessa mente storica, sociale, politica e psicologica: somatizzando, dà, a ogni suo disagio pelle pittorica. Questo sfogo intellettuale con conseguenze creative, diventa bisaccia chiusa, apribile soltanto a combinazione, ricca di sapere, quanto detonante e distruttiva se violata.
L’artista raschia il fondo dei suoi colti presupposti e dei suoi accaniti e accorati credo, fino ad obliarsi e ritrarsi deluso dalla sua stessa società, in un silenzio rimbombante, quel silenzio che appare comoda e finta dimenticanza di una comunità cittadina intera.
Aladino Nicoli, uomo e pittore ingombrante, artista impegnativo quanto impegnato, nasce sotto le bombe nel 1942 e cresce nell’ambiente operaio, immerso in ideali e lotte proletarie della Carrara del secondo dopo guerra. Già marxista inizia gli studi artistici. Poi, giovane “compagno”, parte militare e ritorna consapevole militante, desideroso di rivoluzione e volontà di un’indispensabile trasformazione sociale.
Adesso le sue opere hanno impressi e sparati come imposizioni, i nuovi valori politici, intellettuali e morali: immagini reali esasperate e crude, ribadite sovente tramite simboli, autenticamente suoi, come marchi di fabbrica. Il guanto è uno di questi emblemi, soggetto che sarà testimone e portavoce di tutta la sua vita pittorica. Il guanto prima, il guanto durante, il guanto dopo: guanto che lavora, che produce, che ha contenuto; e poi il guanto del consumatore, guanto svuotato, senza materia, privo di sostanza, come l’individuo spersonalizzato. Un altro fondamentale emblema, è lo straccio rosso abbandonato, iconico della bandiera a terra, come degli ideali decaduti e dei valori calpestati.
Nell’anno delle “convergenze-parallele” tra DC e PCI, si sposa e si trasferisce nelle campagne vicino a Carrara, territorio che diventerà il suo habitat per più di tredici anni. Qui l’artista entra nel vivo della realtà contadina, respira la terra e ansima mentre la lavora; si sporca e inaridisce le mani, non più soltanto di colore, ma vi mescola il terreno, il profano e il sudore. Riesce a mettersi in ascolto di quella gente che in realtà non avrebbe potuto né saputo spiegare a lui altro, perché per necessità, incolta. Nicoli accettava comunque costoro così com’erano, li ascoltava, perché avevano da addestrarlo alla terra, senza volontà di catechizzarlo ad altro, se non al travaglio dello sforzo fisico, alla consapevolezza della vita vera e al guadagnarsi da vivere con vigore premuroso e costante.
In questo periodo, la sua pittura densa di narrazioni, si mescolerà alla terra, alla realtà. In una costante ricerca del vero, secondo un’ottica materialistica, dà alla materia attribuzione di unica matrice reale, dalla cui trasformazione tutto deriva, orientandosi però sempre verso l’imprescindibile aspetto psicologico. Così accade nei dipinti ritraenti gli ulivi, in cui i secolari nodi divengono metafora delle cadute e dei patimenti dell’uomo. Colori potenti e strillanti scorrono nella forma circoscritta della corteccia, inserita in uno spazio creatogli attorno: si fondono come la vita che procede indisturbata, fino a dissolversi nel medesimo spazio vitale. Nicoli ricerca, tramite un procedimento dialettico, la realtà e ciò che ad essa sfugge.
Vita essenziale la sua, in costante sacrificio che, purtroppo, alla fine degli anni ’80 lo vede crollare per lunghi dieci anni, in compagnia soltanto del suo pensiero. Abbandona l’arte come anche la vita reale, vivendone una tutta e soltanto sua, chiudendosi ermeticamente, mettendo da parte il pennello come se stesso e i colori come la società.
Soltanto l’inizio del nuovo millennio sarà per lui una rinascita individuale e personale, ricostruzione e ri-messa a fuoco della propria vista impressionata dallo scenario esistente. Adesso si ridesta e si sente preparato per calpestare nuovamente le vie solcate della sua tacita e stridente Carrara, per poter rimboccare il cammino da dove lo aveva spezzato. Si ri-addentra dunque nella società, dove la sua austerità ed impenetrabilità vengono forse lievemente smussate dal tempo e dall’isolamento.
L’artista, proprio in questo periodo di auto-ricomposizione, maneggia e atterra su vecchi quadri per ritoccarli, captandoli sempre come incompleti forse, o cambiandone continuamente e volutamente la percezione, come alla ricerca di qualcosa, del significato. Soltanto su qualcuno faticherà in particolar modo, non riuscendo mai a portarlo a compimento, come il raggiungimento della sua utopia. Nicoli spinge il ritocco all’esasperazione, estenuando di colore la forma ritratta e la tela stessa, ridondante di stratificazioni, tali da raggiungere matericità smisurata e incapaci di esser sorrette dalla loro stessa struttura.
L’artista imprime i colori come impronte sulla strada consumata della vita individuale, in una sorta di pessimismo, che lo braccherà e fiancheggerà con l’insistente ricerca dell’equivoco kunderiano: equivoco inteso come fallace costruzione mentale, come realtà parallela, se vogliamo, che induce conseguentemente ed inevitabilmente all’errore. Equivoco che immobilizza e non ammette possibile svincolamento né liberazione: limite di sé, che fa da campo e scenario alla maggior parte delle sue opere, rimarcato frequentemente dalla cornice stessa, inchiodata, rigorosa e incombente.
Avvinghiato da questa paura, Nicoli, sbilanciandosi, perde l’equilibrio, tanto da rischiare di sprofondare addirittura nell’equivoco di se stesso, portandolo a tacere le proprie opere per evitare di esporsi, secondo lui, all’inevitabile travisamento dei testimoni; se è vero però, che la realtà è continuamente in-divenire, il limite sarà valicabile e al di là del tramonto forse mostrerà un’alba.
‘Argo come la nave’
di Sara Bastianini
Modulano inventando costruzioni di voce,
soffia il vento, forse di tramontana,
non so distinguerlo ancora.
Come invece tu nelle righe leggi e avvalori.
La vita tutt’intorno procede indisturbata.
Tu in-osservato rimani disteso sul tuo, da sempre, letto. Dove sei nato, vissuto,
e adesso giace il tuo corpo senza vita alcuna, l’involucro che ti è servito per muoverti nel mondo. Non volevi nessuno, forse volevi tutti.
La tua vita attraversata e percorsa a tratti da altri,
è stato comunque rispettato il tuo volere, il tuo valore,
come richiesto, forse troppo,
con difficoltà.
L’onore di conoscerti e il privilegio di condividerti.
Strano camminare tra le tue mura dipinte senza il loro genitore.
Il presente ti vede fermo, immobile, ghiaccio, duro, livido;
le mani chiuse come quel dipinto in sala
e la bocca aperta
come l’urlo dalla cucina.
La tua mano, la tua Argo,
la tela, il tuo abisso
la pittura il tuo Vello.