Alberto Colliva – L’inganno dell’immagine
Inaugura sabato 30 settembre la mostraL’inganno dell’immagine, personale su tre sedi (Studio La Linea Verticale, Spazia, Forni) in omaggio all’artista bolognese Alberto Colliva (Castel d’Argile, 1943 – Bologna, 2023), presentata dal testo critico di Pasquale Fameli.
Comunicato stampa
Dal 30 settembre tre gallerie d’arte contemporanea di Bologna si uniscono nell’omaggiare un grande artista bolognese, Alberto Colliva (Castel d’Argile, 1943 - Bologna, 2023). Una mostra personale diffusa su tre sedi che ripercorre la carriera dell’artista, dagli esordi degli anni Sessanta alle opere più recenti degli anni 2000, arricchita dal testo critico di Pasquale Fameli. Una ripartizione naturale: negli anni Settanta il giovane artista espone alla Galleria Forni, si legherà in seguito ad una forte amicizia con Bottai di Galleria Spazia e, infine, inizia la sua collaborazione con Studio la Linea Verticale, prima con le opere recenti e in seguito con la rievocazione storica del Battibecco, esordio dell’artista sulla scena bolognese.
Il percorso di Colliva inizia, infatti, nel giugno 1962 quando, insieme a Maurizio Bottarelli e Franco Filippi, apre a Bologna l’atelier del Battibecco, uno spazio autogestito grazie al quale i tre giovani pittori si impongono all’attenzione cittadina con proposte innovative, volte al superamento dell’Informale. Al materismo concentrato e denso della pittura informale Colliva oppone, già a partire dal 1960, un polimaterismo minimo, dimesso, scandito nei pesi e controllato nei dosaggi.
Al 1963 risale la sua prima personale alla galleria Duemila, che testimonia il passaggio dalla fase new-dada a una ricerca visiva incentrata su più complesse articolazioni diagrammatiche. Si tratta di scorci paesaggistici appena accennati, architetture fantasmatiche bruciate da una luce che ne schiaccia i volumi e ne dissolve i contorni. È da questo momento in poi che Colliva si affiderà esclusivamente alla pittura, avviando una personale ricerca sugli inganni della rappresentazione, svolta però sul confine tra illusione e rivelazione.
Dal 1965 le opere mostrano architetture più nette e definite che si staccano da fondali tersi e omogenei come per ‘cadere’ di fronte all’osservatore. La progressiva solidificazione dei volumi di quegli edifici porta Colliva a un iperrealismo ambiguo ed enigmatico, dal quale scaturiscono perturbanti visioni ravvicinate di stipiti, cantieri interrotti, mura diroccate o macerie postatomiche suturate nelle aperture e negli interstizi.
Negli anni ’70 l’artista non si esime infatti da una verifica interna ai procedimenti della pittura, secondo la tendenza analitica propria del periodo, ma la conduce in modo autonomo, focalizzandosi sulle logiche della rappresentazione anziché sulle componenti fisiche del pigmento e del supporto. È quindi un’operazione di ascendenza metafisica, la stessa che, negli anni ’80, lo induce a sperimentare la citazione, in sintonia con gli anacronismi tipici di quel decennio. Crani, bucrani, torsi, teste e panneggi di ascendenza michelangiolesca rimpiazzano le macerie delle tele precedenti per enunciare una rinnovata poetica del frammento. I soggetti di Colliva appaiono perciò incompiuti, scheggiati o sfarinati; sono esiti di un ‘non finito’ inverso, ribaltato, volto a traslare la fattura dei soggetti stessi: le pieghe dei panneggi tralucono come cellophane, mentre i volti appaiono stropicciati come fossero fatti di carta crespa.
Ma è soprattutto dagli anni ‘90 che Colliva porta a maturazione il processo di destrutturazione dei soggetti, giungendo spesso alla loro più radicale disintegrazione: dettagli di ieratici volti maschili e scorci di paesaggi brulli si dissolvono sotto l’addensarsi di una nebbia sottile, mentre i teschi si sgretolano o si polverizzano, rivelando il tono neutro e asettico del fondale. È come se Colliva volesse ora svelare il trucco, ricordarci che si tratta di un inganno, riportarci alla realtà del processo visivo anziché perpetuarne l’illusione.*
* Estratto dal testo critico di Pasquale Fameli