Alejandro González Méndez – Re-construction
Con la mostra Re-construction, che apre al pubblico sabato 3 ottobre 2015, la galleria Art Forum Contemporary continua a mostrare una particolare sensibilità per la produzione internazionale, in particolare per quella cubana.
Comunicato stampa
Con la mostra Re-construction, che apre al pubblico sabato 3 ottobre 2015, la galleria Art Forum Contemporary continua a mostrare una particolare sensibilità per la produzione internazionale, in particolare per quella cubana.
Questa volta presenta un solo-show dedicato a Alejandro González Méndez (Avana, 1974), un artista che vive e lavora all’Avana e si dedica da quindici anni quasi esclusivamente alla fotografia. Alejandro ha cominciato a fare fotografie per le strade dell’Avana, documentando gli interstizi della storia e della società come uno Sherlock Holmes con la macchina fotografica, direbbe Carlo Ginzburg definendo il mestiere dello storico. All’inizio del suo percorso ritrae il presente che esiste pulsante e attraverso cui si passa senza accorgersene: gli adolescenti raggruppati in tribù della via G all’Avana contrapposti a quelli della campagna oppure i gay dell’anno della liberazione sessuale a Cuba nel 2008. Uno “straccivendolo della storia” direbbe Georges Didi-Huberman (definendo Walter Benjamin), capace di svelare il senso di un momento storico attraverso uno sguardo analitico, quasi maniacale e fresco, sicuro. Dal 2012 l’artista ha cambiato modus operandi, ma non il fine che è quello di documentare la storia di Cuba, creando come egli stesso la definisce una “verità fotografica”. Dal 2012 ad oggi infatti Alejandro ha lavorato alla serie Re-construction dove ricostruisce letteralmente con delle messe in scena accuratissime momenti chiave della storia di Cuba passata e presente, proiettandosi anche in un suo eventuale futuro. La serie della mostra è divisa in tre progetti distinti. Il primo, che dà il titolo all’intera serie, è intitolato Re-costruction (2012-2013). Vengono scelti momenti chiave della storia di Cuba che vanno dagli opulenti anni Ottanta, alla crisi degli anni Novanta, chiamati dai cubani il “periodo especial”, alla quotidianità del nuovo millennio, fino alla proiezione di un futuro ancorato al 2017 e alla sua fame di internet. Lo sguardo scava ellittico nella costruzione di una storia fatta di simboli: la grande macchina di Fidel, lo scenario dello studio televisivo del telegiornale, l’intramontabile quotidiano del partito, il Granma, la gente che si appresta a sfidare le insidie del mare che li dividono da Miami. Ma tutte queste scene sono sempre lontane dalle immagini della retorica ufficiale, è come se ne raccontassero i retroscena, un discorso non detto, ma che tutti a Cuba conoscono e identificano, un discorso con cui si può costruire un’altra storia. La prospettiva è diversa, lo sguardo è impietoso, di un realismo acuminato, che forse potrebbe passare inosservato ad uno spettatore distratto e frettoloso, magari attratto solo dalla perfezione tecnica e dalla precisione e la cura per il dettaglio di questo teatro raggelato che è nella fotografia. Il secondo progetto è intitolato Re-construction. The Mega-projects (2014). In questo caso ritorna alla fotografia documentaria classica, dove riprende grandi costruzioni, che non sono mai state portate a termine, con uno sguardo che dilata lo spazio, minimizzando l’oggetto architettonico e l’idea che l’ha sotteso in modo fallimentare. Vi è una riflessione sull’anti-monumento, in una Cuba piena di simboli e di titanici propositi. Il terzo progetto è Re-construction. Quinquenio gris (2015) e si riferisce al periodo che va dal 1970 al 1975, quando a seguito della perdita della grande sfida della raccolta dello zucchero, in cui si impegnò l’intera popolazione cubana, lo Stato ha dovuto deporre i sogni di autosufficienza economica e ha dovuto ripararsi sotto l’egida dell’Unione Sovietica. Ne è risultato un periodo di intolleranza e di dogmatismo e di estrema burocratizzazione del sistema. Ora Alejandro costruisce con un processo lungo e laborioso dei piccoli teatri con architetture di cartone e personaggi di piombo dove rappresenta, con la scorta di fotografie dell’epoca, cinque momenti cruciali del tristemente famoso “Quinquennio grigio”. Un esempio per tutti: il 17 dicembre del 1975 con il Primo Congresso del Partito Comunista Cubano (PCC) al Teatro Karl Marx. Vi è schierata l’intera nomenclatura del Partito con dietro i ritratti dei fondatori storici del comunismo, i “capitani” cubani e i gerarchi russi, appesi a perpetuo monito ed esempio per la popolazione sulla grandiosa parete del palcoscenico.
Carmen Lorenzetti