Alessandro Calabrese – Impasse
Pur mantenendo un approccio prevalentemente anti-narrativo (NO STORY TELLING, please), le opere di Calabrese sono conseguenza di una pratica fatta di continue sovrapposizioni e sottrazioni, che rompe la superficie del visibile e trasforma le ceneri della fotografia comunemente intesa in uno stimolo per la creazione di nuove immagini.
Comunicato stampa
Il termine impasse definisce il vicolo cieco, la strada senza sbocco né uscita. In senso più ampio, richiama l’immagine di un circolo vizioso, di una condizione di disagio ed incertezza apparentemente impossibili da superare. È questa situazione di pseudo paralisi (dell’immagine? del linguaggio fotografico? dell’arte? della società contemporanea?) il punto di partenza delle opere di Alessandro Calabrese (Trento, 1983). A tutto questo l’artista risponde con forza creativa (e ri-creativa) attraverso una mostra che raccoglie una selezione di stampe fotografiche e piccoli vetri appartenenti alle serie A Failed Entertainment (già selezionata nel 2015 per il premio Foam di Amsterdam, poi esposta nel 2016 al MACRO di Roma e al Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia) e le opere del suo ultimo progetto, The Long Thing (2017 – ongoing), presentato qui in anteprima.
Pur mantenendo un approccio prevalentemente anti-narrativo (NO STORY TELLING, please), le opere di Calabrese sono conseguenza di una pratica fatta di continue sovrapposizioni e sottrazioni, che rompe la superficie del visibile e trasforma le ceneri della fotografia comunemente intesa in uno stimolo per la creazione di nuove immagini. Se in A Failed Entertainment l’artista decide di sacrificare il proprio ruolo di autore delegando a un software la scelta di quelle fotografie trovate sul web che compongono l’opera finale, in The Long Thing Calabrese abbandona ancora una volta la macchina fotografica ma ritorna a scrivere-con-la-luce affidandosi a uno scanner: cartellette, faldoni, elastici, scotch, carta millimetrata e documenti, sono trasfigurati attraverso movimenti, spostamenti e azioni meccaniche. Che lasciano intravedere, sullo sfondo di questa prassi, gli uffici della Burocrazia qui eletti a Tempio della Noia.
Mosso da una sorta d’istinto iconoclasta (in cui la fotografia non vuole tanto essere distrutta ma bensì destrutturata), Calabrese si allontana progressivamente dalla rappresentazione figurativa, sino a falsare i confini del reale e condurre la fotografia nel campo dell’astrazione. Colore, forma, materia; ma anche trasparenza, in-consistenza, non-presenza e la creazione di uno spazio sospeso in cui ogni minima variazione è sostanziale ed il principio di differenziazione si fonda sulla continua ripetizione di un gesto che dà vita ad immagini simili e al tempo stesso diverse, quasi sempre uguali a sé stesse. Come in un circolo vizioso.
Dopo aver messo in crisi il proprio ruolo, l’artista sposta l’attenzione sullo statuto della fotografia che si fa immagine, e per la quale sembra valere ciò che Baudrillard ha scritto rispetto alla pittura, ovvero che “c’è una grande difficoltà oggi a parlare della pittura fotografia perché c’è grande difficoltà a vederla. Questo perché, nella maggioranza dei casi, essa non vuole più essere propriamente guardata, bensì visualmente assorbita, vuole circolare senza lasciare tracce […]. Così, l’astrazione è diventata la grande avventura dell’arte moderna. Nella sua fase “eruttiva”, primitiva, originale, sia espressionista che geometrica, l’astrazione fa ancora parte di una storia eroica della pittura fotografia, di una decostruzione della rappresentazione e di una frammentazione dell’oggetto. Facendo sparire il proprio oggetto, il soggetto stesso della pittura fotografia arriva ai confini del proprio dissolvimento” .
Un grazie speciale a
L’ARTISTA IN MOSTRA
ALESSANDRO CALABRESE (Trento, 1983, vive a lavora in Italia).
Dopo la laurea in Architettura allo IUAV di Venezia, nel 2012 ottiene a Milano un Master in Photography and Visual Design presso NABA (Nuova Accademia delle Belle Arti) e si trasferisce ad Amsterdam dove assiste il fotografo Hans Van Der Meer e lavora presso Paradox, maturando il proprio interesse per l’editoria fotografica. Dal 2015 è docente presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Nel 2013 è finalista alla prima edizione del Premio Francesco Fabbri e nel 2014 cura insieme a Milo Montelli il libro A Drop In The Ocean, vincitore del Premio Prina ed esposto in occasione del Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia e presso la Triennale di Fotografia di Amburgo. Nel 2015 con lo stesso progetto è selezionato per il Premio Francesco Fabbri e viene invitato a presentare il proprio lavoro presso Winterthur Fotomuseum in occasione di Pla(t)form. Finalista al Prix Levallois 2015 (Parigi), pubblica insieme alla casa editrice Skinnerboox Die Deutsche Punkinvasion poi esposto durante il Festival Fotopub di Novo Mesto (Slovenia). Selezionato da Foam nel 2015 tra i 21 talenti emergenti della fotografia internazionale, è in mostra presso l’Atelier Neerlandais (Parigi), De Markten (Bruxelles) e Beaconsfield Gallery (Londra) con il progetto A Failed Entertainment. Con lo stesso progetto partecipa alla collettiva 2016 - Sulla Nuova Fotografia Italiana presso Viasaterna (Milano) e vince il Premio Graziadei presso il Museo MACRO (Roma). Nel 2017 viene invitato ad esporre A Failed Entertainment durante Fotografia Europea (Reggio Emilia) all’interno della collettiva Archivi del Futuro curata da Walter Guadagnini, Elio Grazioli e Diane Dufour. Nella stessa occasione viene presentato l’omonimo libro, pubblicato da Skinnerboox. Dal 2016 è rappresentato dalla galleria Viasaterna. Impasse è la sua prima mostra personale.