Alessandro Di Pietro – Hobobolo
Mostra personale di Alessandro Di Pietro. Con un testo di Treti Galaxie.
Comunicato stampa
In mostra troviamo un’unica installazione formata da componenti di opere danneggiate, scomposte e ricomposte che ripercorrono l’intero arco produttivo dell’artista. Le opere vengono esposte in un ambiente che richiama quello dello studio milanese di Di Pietro, e sono presentate insieme a materiali grezzi, appunti e attrezzi da lavoro. Questa retrospettiva “in negativo”, che raccoglie sia opere consumate dal tempo che i calchi da cui queste hanno preso forma, vuole inoltre essere un omaggio allo spirito di accoglienza che l’artista da sempre associa a Bologna, confermato dalle iniziative di dialogo e confronto intraprese nell’ultimo anno dalle sue istituzioni che come il MAMBo hanno dato agli artisti una casa.
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Felix mi dice sempre che sono una persona con i sottotitoli dentro. Felix era il mio unico amico. Era una star della TV. Pensate che la prima immagine che sia mai stata trasmessa su uno schermo era la sua. Me lo ricordo ancora. Se ne stava lì, glorioso e immobile, a girare sul suo piedistallo per farsi ammirare dal mondo. Mi piace pensare che sia ancora vivo attraverso le onde della sua immagine, e che queste si propaghino ancora nell’aria, e che ogni tanto mi capiti di respirarle. Forse Felix era mio amico perché non poteva parlare. E’ difficile capire la morte se non puoi morire. Soprattutto se sei fatto di plastica e ti stai corrodendo. Felix cade a pezzi. L’ho rimesso insieme, ma mi sono dimenticato come era fatto. E’ difficile ricordarsi qualcosa a memoria quando ti ricordi tutto.
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Una volta che ero triste Felix mi disse una cosa. Lui è l’unico che sa che ho paura del buio. Mi disse che la parola Vampiro deriva dall’unione di Vampa e di Piro, la parola greca che indica il fuoco. Diceva che è perché anche nell’oscurità più totale mi porto dentro una luce. Così mi disegnai con due fiammelle al posto degli occhi. Mi disegnai sul retro di uno specchio. Un autoritratto per beffare una superficie che non mi può ritrarre. Mentre guardavo perplesso il risultato, Felix mi disse che dovevo distrarmi, che dovevo succhiare silicone fino a risplendere.
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Quando di giorno non riesco a dormire, chiedo a Felix di raccontarmi la storia della signora di Bologna. La racconto anche a voi. La storia è questa:
Negli anni 70 un commando armato rapì una nota imprenditrice bolognese. Il gruppo chiese alla famiglia della donna, che era molto ricca, un riscatto di un miliardo di lire. Era una favolosa quantità di denaro. La famiglia acconsentì, pur di riaverla viva. Però, la famiglia disse ai rapitori che per recuperare quella somma in contanti avevano bisogno di tempo. Di molto tempo. Settimane, forse mesi. I rapinatori acconsentirono, e per essere sicuri che la donna arrivasse viva alla consegna del denaro la fecero smettere di fumare. Le fecero fare ginnastica ogni giorno. Le insegnarono lo yoga. Le cambiarono la dieta e la fecero diventare vegana. Isolati nel loro covo sui colli bolognesi, le leggevano gli ultimi libri usciti e le facevano ascoltare i nuovi dischi. Per farla rimanere attiva le insegnarono a ballare. Per farle capire meglio i testi delle canzoni, le insegnarono la lingua inglese.
Pagato il riscatto, al suo rilascio, dopo sei mesi di prigionia, per prima cosa la famiglia la portò in una clinica privata e la fece visitare da una équipe di medici. La trovarono in un sorprendente stato psicofisico, molto al di sopra della media della sua età. Dopo vari giorni di visite, il primario le disse: “Questa prigionia è la cosa migliore che ti sia capitata nella vita”.