Alessio Bolognesi – I dolori del giovane Sfiggy
I dolori del giovane Sfiggy sono sicuramente pene di natura diversa rispetto alle sofferenze del giovane personaggio goethiano, è pur vero che entrambi i personaggi esprimono una convinta allergia alle convenzioni sociali e una forte passionalità del vivere.
Comunicato stampa
I dolori del giovane Sfiggy sono sicuramente pene di natura diversa rispetto alle sofferenze del giovane personaggio goethiano, è pur vero che entrambi i personaggi esprimono una convinta allergia alle convenzioni sociali e una forte passionalità del vivere.
Come Werther anche Sfiggy è un personaggio ricco di sensibilità e ardore: sa intenerire ed affascinare, ma diversamente dal protagonista del romanzo settecentesco, non è disposto a soffocare i suoi sentimenti, le sue passioni e soprattutto la sua giovane vita.
Ecco allora i “dolori” nel nuovo ed inedito lavoro di Alessio Bolognesi, quelli del giovane Sfiggy, dolori che appartengono a quelle sofferenze fisiche e psicologiche tipiche della crescita, quei disagi, contrasti, lacerazioni, avvilimenti e disfatte che ben descrive e sintetizza perfettamente con la frase “crisi che precede il progresso” il pedagogista Marcello Bernardi nel suo libro “Adolescenza”.
Sfiggy in questi anni è cresciuto viaggiando in compagnia del suo creatore in mondi diversi, incontrando personaggi dell’arte contemporanea, del fumetto e del cartoons, delle antiche divinità dell’Olimpo e del grande schermo.
Sfiggy smette ora di viaggiare nell’immaginario e comincia a muoversi nel suo universo, nella sua realtà mettendosi a nudo come in una radiografia, guardandosi dentro per scoprire come si sta forgiando la sua giovane e pulsante personalità.
Il dolore delle lacerazioni, fratture e distorsioni fisiche diventa così semplice, ma calzante metafora di pene e di fatiche di altra natura.
E allora se è vero che attraverso l’esperienza, anche purtroppo quella che fa male, ma non solo, si cresce e si impara, Sfiggy si mette a fare i suoi conti.
Si immerge così, e si compenetra, in carte contabili dell’ottocento, come un voler ritornare nel passato alla ricerca di memoria e radici, per trovare il giusto slancio verso un futuro che al momento è doloroso, ma che con buona certezza lo porterà a far quadrare quel cerchio dove l’uomo leonardesco acquista le proporzioni ideali.
Alessio Bolognesi è artisticamente in fase di progressivo cambiamento.
Guardando le sue opere di poco meno di due anni fa ci si accorge di come Bolognesi sia passato da campiture di colore pieno ed effetti volutamente 2D, che poco tengono conto della luce e delle ombre, dove il tratto è preciso e rigorosamente trattenuto, privo di sbavature, a opere su tele di lino grezzo macchiate da colature ed il protagonista, Sfiggy, che acquisisce un’espressività non più rigida (quasi compiacente) di registro propriamente fumettistico: i segni, le ferite, i dolori lo hanno pervaso di un’aura icastica.
L’uso del colore, della luce e delle ombre dosati in modo più “sporco” hanno fatto guadagnare una dimensionalità in più e un carattere pop più personale ed esclusivo.
Anche i lavori su carte antiche, non a caso ferraresi, databili intorno alla seconda metà dell’ottocento, sono una piacevole sorpresa per l’uso dell’acquarello, tecnica oramai poco utilizzata, nel caso delle opere di Bolognesi risulta incisiva per gli effetti di luminose trasparenze, delicate e soggioganti cromie, che i vecchi stampati ed i testi manoscritti presenti sulle carte sanno restituire all’osservatore.
Quanto ci sia di Alessio Bolognesi in Sfiggy e quanto ci sia di Sfiggy in Alessio Bolognesi, è difficile da stabilire, ma è anche innegabile che il legame tra il creatore e la sua creatura sia decisamente stretto.