Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA FRANCESCA MININI
Via Massimiano 25, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
27/09/2023
Artisti
Ali Kazma
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

Nel 1967 Guy Debord rendeva pubblico il suo capolavoro La Società dello Spettacolo, un testo visionario in cui affermava che le società occidentali stavano superando la prima fase del capitalismo e si stavano dirigendo verso una condizione successiva. Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine[1].

Secondo il filosofo francese gli individui di tali società diventano meri spettatori passivi di un flusso di immagini scelte dal potere che giustificano e proteggono l’assetto istituito. Un flusso talmente incessante e pervasivo da sostituirsi completamente alla realtà: è vero solo quello che lo spettacolo ha interesse a rivelare. Non dice nulla di più che «ciò che appare è buono, ciò che è buono appare»[2]. Tutto quello che non è mostrato, tutto ciò che non rientra nelle immagini scelte dal potere, è falso o non esiste. In una società di questo tipo – in cui l’immagine prevale sull’originale, la rappresentazione sull’essere – l’apparenza diviene la base della realtà e, in tal modo, l’immagine stessa diviene più reale dell’oggetto in sé o dell’individuo che l’ha prodotta.

L’autonomia dell’immagine è alla radice della dittatura dell’apparenza, della tautologia fondamentale dello spettacolo, per cui l’importanza è tutta presupposta e definita dalla messa in scena dell’importanza. La realtà sensibile non è più percepibile per quello che contiene, ma non ha altro contenuto che essere visibile.

 

Dal 2002 Ali Kazma ha intrapreso un viaggio in cui indaga i processi di produzione e i suoi attori, portando sul palcoscenico dello spettacolo pratiche, procedimenti e gesti destinati a rimanere inosservati perché eseguiti dietro le quinte, lontano dai centri del capitale e dagli occhi del pubblico. La metodologia con cui opera è caratterizzata dall’ossessione per le modalità attraverso cui l’essere umano modifica se stesso e il proprio ambiente, per come lo costruisce, lo cambia e ne è a sua volta cambiato, senza permettere mai, a tale ossessione, di tramutarsi in giudizio. La forza del lavoro di Kazma risiede infatti nel rifiuto di voler trovare una soluzione semplicistica a ciò che può essere la mercificazione, il lavoro salariato, la diseguaglianza, la crudeltà, l’alienazione, o la morte progressiva dell’artigianato. È la scelta di non abbracciare conclusioni troppo affrettate o messaggi banali e propagandistici a permettere ai suoi film di restituire al mondo la complessità che gli è stata sottratta.

Il suo lavoro è in grado di condurci dall’altro lato, di mettere a nudo i retroscena dello spettacolo, permettendoci di accedere a luoghi abitualmente inaccessibili, di assistere a eventi e incontrare persone che non avremmo incontrato altrimenti. Nel corso degli anni l’artista ha ripreso in industrie tessili e in fabbriche di automobili, in prigioni e sale operatorie, ma anche in studi di tatuaggi, laboratori di tassidermia, autodromi, aeroporti e botteghe di orologiai. In una prima fase della ricerca, Kazma si è concentrato sulla condizione dell’Homo faber, ma successivamente ha sviluppato un’attenzione particolare per l’Homo narrans e i processi di produzione artistica e culturale.

 

I lavori presentati in quest’occasione, A House of Ink e Sentimental, sono stati girati all’interno dell’appartamento sulle rive del Bosforo di Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura, e rendono visibile il lavoro lento e celato dell’autore. La volontà di manifestare e approfondire l’immaterialità dei libri, per Kazma, ha inizio con Recto Verso, un progetto editoriale edito da Céline Fribourg (Take5 Editions), per il quale ha collaborato con Alberto Manguel, una figura che ha dedicato la sua intera esistenza alla scrittura e alla lettura. Nel 2015 Ali Kazma ha deciso di filmare la straordinaria libreria/casa/studio di questo scrittore per realizzare un lavoro video a due canali intitolato House of Letters. È in questa occasione che ha incontrato ed esplorato per la prima volta lo spazio dove l’attività immateriale dello scrivere, e del pensare, ha luogo. Ha appreso che si trova la firma di un artista proprio nelle tracce che non sembrano mostrare alcuna intenzione[3]: gli appunti, le sottolineature e le connessioni, l’organizzazione della libreria e la topografia che si estende intorno ad un autore sono indizi in grado di raccontare tanto di quello che sta dietro ad un libro.

Nel momento stesso in cui Ali Kazma ha visitato per la prima volta la dimora di Orhan Pamuk, ha capito subito che questo spazio, testimonianza di oltre quarant'anni di attività creativa, era ricco di potenziale per approfondire l'opera dell’autore. Infatti, in A House of Ink, Kazma non si limita solo a riprendere lo scrittore seduto alla sua scrivania o quello che fa o come si interfaccia con i suoi assistenti; per gran parte delle riprese i soggetti sono i manoscritti, le pitture, gli acquerelli, gli oggetti collezionati e tutto quello che gravita attorno a Pamuk, piuttosto che l’autore in sé. Per rivelare in qualche modo l’attività evanescente di uno scrittore è necessario ricombinare le testimonianze che esso si lascia alle spalle in un universo in cui vive una vita da scrittore, le tracce infinitesimali permettono di comprendere una realtà più profonda, altrimenti inaccessibile[4].

 

A House of Ink, nella sala principale della galleria, si presenta come un grande trittico coeso. Ogni proiezione scorre al proprio ritmo e ha una durata diversa (rispettivamente 47, 48 e 46 minuti), questo genera incessantemente nuove e uniche combinazioni di suoni e immagini. L’asincronia di questa triplice configurazione è una qualità essenziale del lavoro e accoglie lo spettatore nel tortuoso processo di creazione, invitandolo a tracciare una serie incalzante di nuove connessioni. Riviste, annotazioni, fotografie, illustrazioni, ma anche momenti di vulnerabilità, ossessioni e abitudini si presentano come piccoli tasselli metodicamente dispersi in grado di catapultare chi guarda nel funzionamento della mente di uno scrittore al lavoro.

A differenza delle proiezioni laterali, che offrono per l’intera durata del lavoro una sequenza di riprese quasi del tutto statiche, quella di mezzo è l’unica a proporre delle inquadrature più ampie, in cui talvolta appaiono Orhan Pamuk, chi condivide lo spazio con lui, le scene quotidiane e gli eventi che li accompagnano. Queste vedute sono le stesse che l’autore è solito abbozzare con gli acquerelli tra le pagine dei taccuini su cui scrive. Istanti e memorie ritornano e si stratificano: tazze di caffè fumanti, frutta, gabbiani raccolti oltre la soglia della finestra, cieli e imbarcazioni mentre attraversano lo stretto che disegna il confine meridionale tra il continente asiatico e quello europeo. Quello stesso confine che marca la storica dicotomia Oriente/Occidente e i sincretismi culturali che Pamuk mira a sviscerare nei suoi romanzi intrisi di elementi autobiografici.

Per questo lavoro Ali Kazma ha ripreso per sessantacinque giorni nella casa dello scrittore, ottenendo centinaia di ore di filmati.

 

Nella seconda sala della galleria due schermi trasmettono Sentimental, in cui l’artista cattura Orhan Pamuk mentre firma una pila di fogli in un movimento automatico e ripetitivo. Questo gesto richiama un altro film del 2011 dell’artista, Clerk, e sembra quasi chiudere un cerchio: per la prima volta Ali Kazma si manifesta nel suo lavoro includendo la sua presenza attraverso la voce in un dialogo con Pamuk che si protrae per tutta la durata dell'opera (7:45). Solo una volta catturato questo scambio spontaneo durante le riprese per A House of Ink, Kazma ha deciso che avrebbe realizzato un nuovo lavoro proprio a partire da questa conversazione tra lui e Pamuk. L’artista è convinto che si possano provocare degli incidenti piacevoli e degli appuntamenti inaspettati grazie all’impegno e al lavoro lungo e paziente nei riguardi dei propri soggetti. In fin dei conti anche la conversazione che il romanziere ha intrattenuto con lui fa parte di quella stratificazione labirintica di situazioni e momenti che accompagnano la pratica dello scrivere.

Attraverso le loro parole lo spettatore apprende che Pamuk dovrà continuare a lavorare sulla sua scrivania ancora a lungo e che Ali, invece, partirà l’indomani per un lungo viaggio. Nel corso dell'opera l’artista risponde alle domande che lo scrittore gli pone sul suo imminente itinerario. Alle riprese del dialogo stesso vengono affiancati dei filmati girati successivamente nelle tappe menzionate e degli schizzi di Orhan Pamuk che ritraggono quasi esattamente gli stessi luoghi, fino a generare una vertiginosa corrispondenza tra presente, passato e futuro in grado di pervadere il video nella sua interezza.

Nell’ultimo minuto del lavoro lo scrittore si apre con l’artista, confidandogli che rimanere rinchiuso a scrivere libri è esattamente l’opposto di attraversare il globo per creare opere d’arte, e che forse gli sarebbe piaciuto anche vivere la vita viaggiando come lui. Il lavoro prende una piega filosofica quando Pamuk, facendo riferimento al libro di Friedrich Schiller intitolato Sulla poesia ingenua e sentimentale, definisce Ali un artista Naïf in grado di creare in modo spontaneo e spensierato, e, al contrario, identifica se stesso come un poeta Sentimentale, incline ad un approccio maggiormente autocritico e ansioso durante il processo creativo.

 

Con A House of Ink e Sentimental, Ali Kazma termina un progetto che lo ha portato a girare il mondo in cerca di un modo per esplorare e raccontare l’immaterialità dei libri, e che si conclude con due film girati proprio nel suo quartiere d’origine: Cihangir, a Istanbul, dove tutto è cominciato.

 

Francesco Scalas

 

 

 

Nato nel 1971 a Istanbul, in Turchia, Ali Kazma è un artista multimediale che vive e lavora tra Istanbul e Parigi.

Ha rappresentato la Turchia alla 55a Biennale di Venezia nel 2013 e ha tenuto una mostra personale al Jeu de Paume di Parigi nel 2017. Tra le altre sue mostre personali figurano Nouveau Musée National de Monaco (2023), Albergo Diurno Venezia (Milano, 2018), MUNTREF (Buenos Aires, 2018), Arter (Istanbul, 2015), CAPRI (Düsseldorf, 2015), Hirshhorn Museum (Washington, 2010) e Platform Garanti (Istanbul, 2004).

Tra le mostre collettive e le biennali si ricordano la 6th Kuandu Biennale (Taipei, 2018), la 7th Moscow International Biennale of Contemporary Art (Mosca, 2017), il MAXXI (Roma, 2016), il Musée d'Art Contemporaine de Lyon (Lione, 2013), 30a Biennale di San Paolo (San Paolo, 2012), Biennale di Istanbul (Istanbul, 2001, 2007, 2011) Muzeum Sztuki Lodz (Lodz, 2012), Istanbul Modern (Istanbul, 2011), Museum Kunstpalast (Düsseldorf, 2010) e New Museum (New York, 2010). Ha ricevuto il Premio UNESCO per la promozione delle arti nel 2001 e il Premio Nam June Paik nel 2010. Le opere dell'artista sono state incluse in numerose collezioni istituzionali come CNAP (Parigi), Istanbul Modern, MEP (Parigi), MONA (Tasmania), Sztuki Museum (Lodz), Tate Modern (Londra), TBA21 (Vienna), Foundation Louis Vuitton Collection (Parigi) e VKV Foundation Collection (Istanbul).

[1] Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967

[2] Ivi

[3] Carlo Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, 1979

[4] Ivi