Ali Nassereddine
Le opere dell’artista hanno valore di testimonianza, pezzo di vita individuale e allo stesso tempo collettivo, raccontano di un Popolo e di un Paese per lungo tempo dilaniati dalla guerra.
Comunicato stampa
Vita, anche tra le bombe, le pallottole dei cecchini, la paura, la devastazione. Vita, anche nella guerra. In attesa di una rinascita, di quella pace che noi Occidentali diamo ormai per scontata. Beirut. Ricordi indelebili che si sono fissati nella memoria di Alì Nassereddine, diventando l’elemento caratterizzante di tutta la sua produzione artistica. Le opere dell’artista libanese esposte nello spazio d’arte Amy-d di Anna d’Ambrosio hanno valore di testimonianza, raccontando un pezzo di vita individuale e allo stesso tempo collettivo, raccontando di un Popolo e di un Paese meravigliosi per lungo tempo dilaniati dalla guerra. Il processo creativo di Nassereddine è di per sé strumento terapeutico, risorsa per la maturazione e la crescita.
Nella fissazione atemporale Alì si interroga nel suo personalissimo modo sulla formazione e l’esperienza del sé, sull’individualismo e sull’appartenenza sociale. Parte da una personale narrazione sulla relazione tra storia individuale e storia collettiva per indagare con il suo lavoro la possibilità di rappresentare i conflitti libanesi e le loro conseguenze a Beirut, la città al centro del suo immaginario. Riflette sul meccanismo della memoria per reminiscenza e la ri-messa in atto di un evento drammatico. Il suo è un approccio non realistico ma fantastico con la trasformazione di situazioni drammatiche in situazioni oniriche.
Io c'ero
Se fossero stati tuoni o lampi!
No, non è stato così.
Tremavano i palazzi, odore di bruciato, la gente impaurita.
Si cercava un rifugio, un sottoscala, la stanza centrale di un appartamento.
Tutti scendevano dai piani alti dei palazzi e il piano terra diventava la casa di Tutti e di Nessuno allo stesso tempo, perché, da un momento all'altro, poteva essere spazzata via.
Alcuni adulti discutevano e sembravano esperti di tattiche belliche.
Lo erano veramente.
Bisognava capire qual era il momento giusto per uscire, per scappare dalla casa che si trovava sulla linea rossa tra Beirut Est e Beirut Ovest.
Gli uomini, i padri, controllavano l'intensità del fuoco e aspettavano il momento giusto per far uscire le famiglie una per volta, quando dalla nostra parte la risposta di fuoco aumentava.
Finalmente arrivò il nostro turno.
Io, i miei fratelli, mio padre, mia madre attraversammo il parcheggio di gran corsa per raggiungere la Chevrolet rossa che mio padre aveva provveduto a proteggere con sacchi di sabbia posti sul parabrezza posteriore e nel baule.
Arrivati alla macchina aspettammo, attenti, il momento opportuno. Poi via a velocità massima procedendo a zig zag per percorrere poco più di 200 metri.
I cecchini non ci hanno preso.
I miei si guardavano negli occhi mentre la tensione iniziava a calare, mentre il respiro tornava a farsi sentire, con la testa che... cercava di capire. Ma cosa? Cosa c'era da capire!
Si sentì un boato, era una bomba, sentii la macchina sollevarsi da terra.
Mio padre gridò: "il droghiere!" e mia madre: "il droghiere?". "Sì, lui, dovrei ritornare per vedere cosa gli è successo", rispose mio padre.
A nulla valse l'implorazione a non andare di mia madre, mio padre aveva deciso.
Scese dalla macchina ed entrò di corsa in un palazzo, dove era stata realizzata una strada alternativa.
Nei muri dei palazzi allineati uno all'altro erano stati praticati dei fori per rendere veloci gli spostamenti e le fughe.
Arrivò al nostro palazzo e vide che la bomba era caduta proprio nel parcheggio, nello stesso punto dove pochi minuti prima c'era la nostra macchina.
Pochi istanti... solo pochi minuti prima e...!
Rimase bloccato, scioccato.
Il suo sguardo scrutò tutt'intorno e alla fine incrociò un corpo senza vita: IL DROGHIERE ARMENO.
Collaborazioni:
Press Vittorio Schieroni
Testo critico Nila Shabnam Bonetti, Francesco Gallo
Relazioni esterne Nila Shabnam Bonetti
Tecnico video Giovanni Freri
Scenografia Kubo Effetti Speciali
Allestimenti Bonsai Piccin