Alice Zanin – China
La mutazione genetica è un elemento identitario della ricerca artistica di Alice Zanin e dopo una serie di esemplari marini, dall’indubbio fascino come i cavallucci sospesi come libellule nello spazio, presentati di recente a Milano, in questa mostra a Piacenza, dove l’autrice è nata, vive e lavora espone un campionario di animali di terra e di aria.
Comunicato stampa
La mutazione genetica è un elemento identitario della ricerca artistica di Alice Zanin e dopo una serie di esemplari marini, dall’indubbio fascino come i cavallucci sospesi come libellule nello spazio, presentati di recente a Milano, in questa mostra a Piacenza, dove l’autrice è nata, vive e lavora espone un campionario di animali di terra e di aria, come i suoi riconoscibili uccelli, i cavalli e i pachidermi erbivori, mammiferi di grossa taglia di provenienza extraeuropea: l’elefante e il rinoceronte però in una versione miniaturizzata e sotto teche in plexiglass cilindriche, smaterializzati dal loro peso corporeo, fluttuanti nell’aria, che invitano lo spettatore a ripensare la visione antropocentrica del mondo, l’arroganza del dominio della cultura occidentale, cause ed effetti della civiltà moderna nella nostra epoca post-colonialista.
Andiamo con ordine, l’elefante nella cultura cinese diventa simbolo di forza e di sapienza, in quella indiana, esso è cavalcato dai re, quello bianco annuncia la nascita di Buddha e diviene simbolo vahan (dal sanscrito vahana “veicolo, cavalcatura”).
Ritroviamo nella cultura occidentale il pachiderma esotico che in virtù della sua longevità e intelligenza assume un attributo divino. Infatti la sua longevità ne ha fatto l’emblema del superamento della morte. Nell’iconografia cristiana tardo-antica del Physiologus (manoscritto ellenistico del II secolo d.C. redatto ad Alessandria d’Egitto) e nei bestiari medioevali si valorizza la sua esemplare purezza. Secondo alcune credenze del mondo tardo antico si racconta che l’elefante partorisce nell’acqua e di nascosto, in Europa insieme all’unicorno, esso appartiene alla schiera degli animali esotici che compaiono nelle favole e nell’ambito mitologico. Quelli piccoli di Zanin, svuotati dal loro peso corporeo, ci appaiono lievi come foglie al vento, dai toni azzurrati o diversamente grigi eternizzati sotto teche, come ex voto di naturalità originaria rimossa nella nostra cultura digitale.
Il rinoceronte per la sua colossale mole incarna nell’iconografia fantastica il monstrum, il meraviglioso, il prodigio, una forma arcaica contemporanea e remota al tempo stesso che ha affascinato Albrecht Dürer, come rivela l’incisione del 1515, raffigurato senza vederlo sulla base di descrizioni come una macchina mostruosa, poi Henry Moore, Graham Sutherland, Salvator Dalì, Pino Pascali, Mario Merz, Mimmo Paladino e nel teatro dell’assurdo Eugène Ionesco, autore della pièce dal titolo Rhinoceros (1959).
Zanin con profonda leggerezza critica i comportamenti discutibili dell’uomo sedicente civile sulla Natura che si giustifica in nome del progresso, dimenticando che su questa Madre Terra siamo ospiti e non padroni. Le sue inattese sculture formato bonsai, fiabesche, di carta, leggere come l’aria, se osservate con la lente d’ingrandimento smascherano l’arroganza dell’uomo contemporaneo che dal secolo scorso ha violato un patto di rispetto e di armonia con la Natura, da abitare e condividere con gli animali, perché sogniamo di volare sempre più lontano, sempre più velocemente da un capo all’altro del mondo, siamo sbarcati sulla Luna e forse a breve calpesteremo Marte, ma poi su questo pianeta che ci ospita dall’alba dei tempi dobbiamo prima o poi tornare!
Jacqueline Ceresoli