Altered translation
Il progetto pone in discussione il concetto di pittura accostando il lavoro di quattro artisti internazionali che utilizzano il mezzo pittorico.
Comunicato stampa
CAR projects è lieta di presentare venerdì 14 Ottobre 2011 dalle ore 18.00 la prima mostra della stagione, 'Altered
Translation'. Il progetto pone in discussione il concetto di pittura accostando il lavoro di quattro artisti internazionali che
utilizzano il mezzo pittorico. Saranno presenti opere di Luca Bertolo, del rumeno Radu Comsa, del giovane Pesce Khete
e del tedesco Thomas Schroeren. Sarà anche un modo per presentare una delle tendenze stilistiche ed estetiche
maggiormente forti nella pittura di oggi, non solo all'interno dell'Italia ma anche in campo internazionale. La mostra
sarà accompagnata da un dialogo informale che il critico Antonio Grulli e Luca Bertolo hanno sviluppato attorno ad
alcune delle recenti derive prese dagli artisti che lavorano con la pittura. Tendenze di cui la mostra stessa è uno spaccato
indicativo.
BAD OR NOT (ALTERED TRANSLATION)
Luca Bertolo: Ho la sensazione che quasi tutta la buona pittura recente (da una trentina d’anni) sia cattiva (bad). I
quadri più interessanti hanno sempre qualcosa di sghimbescio, di strambo: vedi una composizione astratto-geometrica e
ti sembra ricordare qualcosa di Mondrian, ma poi noti che a quelle linee manca qualsiasi rigore; oppure i colori fanno a
pugni tra loro; oppure c’è una sbavatura che non si capisce se sia stata fatta apposta o no… Vedi una figura e non capisci
se l’ha disegnata un bambino ritardato di otto anni o un adulto visionario di centodieci. Di una serie di quadri non
capisci nemmeno se debbano essere presi davvero come quadri finiti…
Bad Painting, come definizione – sono andato a cercarla su Wikipedia - risale a una mostra al New Museum of
Contemporary Art, NY, del 1978 curata da Marcia Tucker. Il termine bad painting mi fa pensare ad artisti più recenti,
come Martin Maloney o Chris Ofili; o magari a Pesce Khete o ai bellissimi quadri del ciclo “Ship of fools” del mio
amico Paul Goodwin. Probabilmente (e già a partire dagli anni Ottanta, cfr Baselitz, Cucchi, Schnabel, Polke, i Neue
Wilden etc.) si tratta della necessità di reagire a un passato di eccessiva finitura concettuale (cioè concordanza tra
premesse teoriche e risultati), smarcandosi al contempo da un presente saturo di immagini troppo sottili. Con immagini
sottili intendo immagini (foto, video) che sembrano scorporate da ogni supporto materiale. Più ci penso e più tutta la
pittura odierna che mi interessa è bad. In molti casi bad raffinatissima, certo, ma bad… Per limitarmi alla scena italiana,
Alessandro Pessoli (raffinatissimo) è bad, Lorenza Boisi è bad, Alessandro Roma è bad, Ivan Malerba è bad – pur così
diversi fra loro…
Antonio Grulli: Urca che inizio.
Allora, secondo me luca cogli nel segno su molte cose. E la direzione è quella che anch'io trovo interessante in questo
momento. Ma ci sono alcune cose che mi lasciano perplesso. Intanto il termine "bad painting". Da quando è stato creato
si è allargato troppo fino a comprendere troppe cose. E quando dei termini diventano degli ombrelli semantici troppo
ampi e finiscono per coprire troppe cose, non mi piacciono più. Perdono la loro funzione, che è quella di definire e
delimitare. I termini dovrebbero sempre coprire quante meno cose possibili per guadagnare in precisione.
Però partiamo da lì. Non è un caso che la bad painting nasca negli anni settanta e se non sbaglio alla fine di quella
decade. Perché secondo me è in quel momento che va rintracciata la radice della pittura di oggi, in quanto credo che
vada collegata con quello che ancora vive della cultura punk. Per punk non intendo solo i gruppi di quegli anni con
crestoni e un sacco di droga. Ma quella speciale attitudine nata in un contesto fatto non solo di musica ma anche di
letteratura, poesia, cinema ecc. In particolare credo che sia fondamentale per capire i pittori e la pittura che amo oggi il
concetto del DIY (do it yourself), ossia la particolare tendenza a farsi le cose da soli, in maniera dilettantesca, per cui è
possibile diventare una delle principali band del pianeta anche se non si sa suonare o cantare come dei "professionisti",
o per cui è possibile creare un magazine fatto in casa (e diventare il punto di riferimento di un'intera generazione) anche
se non si è un editore. Ecco, per me il punto è quello, il solco che divide professionisti da dilettanti e amatori. Ne
abbiamo parlato tante volte, la pittura è il linguaggio dell'arte che maggiormente è vissuto negli ultimi anni di forme di
specializzazioni ossessive e di una conoscenza morbosa del proprio passato. E tu sai bene che io ho sempre ritenuto
tutto questo un problema per la pittura. Ecco, credo che in questi anni ci si sia finalmente liberati di tutte queste
costrizioni che hanno portato a una pittura troppo cervellotica, ombelicale, apocalittica, ipercolta e pesantissima.
In giro oggi vedo molti pittori che amo che non hanno questo senso di colpa di dover per forza conoscere tutto il passato
della pittura o di dover leggere tutti i testi cardine sulla pittura scritti nei secoli. Vedo tantissima gente che viene da
percorsi insoliti, come la street art, la musica e la performance (prova a fare caso quando leggi del background di molti
pittori. O prova a notare quanti giovani bravi pittori si occupano anche di musica o performance) e fanno pittura come
"amatori", nel senso che la fanno perché godono a dipingere. Il loro punto di forza è che sono leggermente più
"ignoranti" di pittura delle generazioni che li ha preceduti, questo li fa viaggiare più spediti e leggeri. Non a caso molti
punti di riferimento della pittura degli anni ottanta e novanta sono stati messi da parte di recente e vengono recuperate
figure quasi dimenticate. Pensa al caso eclatante di Mary Heilmann, che non a caso nasce proprio nell'ambiente della
controcultura punk e del surf. Come lei potrei farti molti altri esempi.
Mi sembra che gli anni in cui è avvenuto questo cambiamento siano proprio quelli dell'inizio del nuovo millennio.
Diciamo dopo il duemila e uno. La differenza tra questi anni e gli anni della bad painting dipende dal fatto che nella bad
painting c'era appunto, come anche tu scrivi, troppa consapevolezza. Nel senso che loro erano pittori coltissimi che
recitavano la parte dei cattivi ragazzi, dei naive, degli spontanei. Erano coltissimi, ma a tavolino decidevano di lasciare
da parte tutta la loro cultura per riprendere un livello più basso. Penso invece che i pittori di oggi per me più interessanti
non recitino; sono effettivamente più spensierati e prendono la cosa con maggiore leggerezza. Probabilmente però senza
la bad painting tutto quello che vediamo oggi non sarebbe possibile.
Nel senso che loro hanno sdoganato tutto quanto oggi è possibile. Forse loro hanno aperto una porta che poi è stata
valicata da una generazione successiva. Ci sono alcune parole e alcuni passaggi nel tuo stesso testo che mi fanno
pensare a questo: ad esempio quando tu stesso parli di "consapevolezza concettuale"; oggi non credo ci sia (per fortuna)
tutta questa autoriflessione. Oppure quando citi il termine "esitare"; penso che oggi molti pittori non esitino poi molto,
semplicemente fanno quello che gli sembra giusto e basta; e infatti abbiamo esiti estremamente rifiniti con opere
pulitissime e al contempo troviamo artisti con una pittura maggiormente selvaggia; talvolta questi due stili convivono
nello stesso pittore.
Insomma, penso che dopo molti anni semplicemente i pittori abbiano ripreso a comportarsi esattamente come tutti gli
altri artisti che utilizzano linguaggi come installazione, video, performance ecc. O forse potrei dire più semplicemente
che dopo molti anni i pittori sono tornati ad essere artisti.
LB: Beh, si può dire che non sia d’accordo con niente di quello che dici! J No, in realtà, condivido lo spirito che anima
le tue osservazioni, un afflato liberatorio di cui si sente un gran bisogno, specie rispetto al tabù della pittura in Italia. Ma
non credo che si possa ridurre l’intera questione alla secca alternativa tra approccio colto e approccio ignorante a un
medium (la pittura), individuando nell’ignoranza la chiave di volta per l’emancipazione... Fosse così, l’intera storia
dell’arte avrebbe dell’inspiegabile. No, la conoscenza non è per forza nemica della leggerezza, la riflessione sui propri
strumenti di lavoro non significa autismo, e se quel che chiamiamo tradizione è un limite, beh, lo è come un padre e una
madre lo sono per un figlio. E la consapevolezza concettuale c’è eccome, anche implicita, anche inconsapevole - se mi
passi il paradosso. La differenza tra un De Keyser e un Sasnal non sta tanto nel tasso di concettualità delle loro opere,
quanto nei limiti che i due pittori impongono alla propria pratica (maggiori nel maestro olandese, minori nel brillante
polacco). Quanto alla tua ultima frase provocatoria, mi pare una sciocchezza! Ovviamente tutti i bravi pittori, come tutti
i bravi scultori o musicisti sono stati dei bravi artisti. A volte ci raccontiamo una storia molto semplificata, tipo “negli
anni settanta non dipingeva più nessuno”: e da dove arrivano i fantastici quadri di Philip Guston? E Polke e Richter cosa
facevano in quegli anni, ricamavano centrini? Fai bene a sottolineare l’importanza del verbo “esitare”, ma temo che
anche qui tu semplifichi un po’. Esitare non significa non osare, non fare: esitare significa fermarsi sul bordo di qualcosa
che non conosciamo e che ci fa paura, significa ritardare la fine, significa esprimere il nostro pudore, significa
ringraziare Dio (o Krishna o gli dei dell’Olimpo) per la cena che ci accingiamo a mangiare (poiché non dipende solo
dalla nostra volontà)… Quanto al termine “bad painting” mi hai convinto, è meglio lasciarlo perdere per tutte le ragioni
che elenchi. Pittura provvisoria (Provisional Painting) è certamente una proposta di definizione molto più interessante,
e anzi ne approfitto per consigliare a tutti caldamente il bellissimo articolo omonimo di Raphael Rubinstein
( www.lapitturaeoro.it).
AG: Hai ragione. Mi sono fatto prendere la mano e ho calcato un po’ troppo sui toni. Ma nei contenuti ancora sono
abbastanza convinto di quello che ti ho scritto. Non convieni con me che c’è stata un po’ troppa pesantezza nella pittura
fino a una decina di anni fa? Non sembrava mancasse l’aria? Non so, alle volte mi sembra che l’essere settoriali porti al
settarismo. Sono comunque verissime le cose che tu dici. Sarebbe bene avere artisti dall’approccio molto colto e molto
freddo accostati ad altri invece maggiormente spensierati. Questo è quello che vorrei. Una cosa non esclude l’altra. Però
è anche vero che fino a qualche anno fa l’approccio ipercolto era quello che dominava su tutto. Questo volevo dire. Ed è
vero che ci sono sempre stati pittori di livello altissimo. Anche negli anni più cupi per la pittura. Ma perché così pochi?
Oppure, perché così pochi sono riusciti a incidere nella storia e a entrare nei circoli “bene” dell’arte? Ecco, le mie
riflessioni erano una risposta a tutto questo. Ma vorrei che tu mi dicessi anche qualche cosa anche rispetto alle mie
riflessioni sui collegamenti tra pittura e musica, cultura punk e performance. Anche rispetto all’immagine che hai
realizzato per questa mostra con Frank Zappa.
LB: Mah, io a dire il vero di cultura punk e performance ne so ben poco… Però è interessante questa tua idea, che hai
già tirato fuori altre volte, di collegare la pittura recente all’ambiente musicale, alla poesia, alla performance. Non ho
ancora capito esattamente in che senso percorrere questa tua intuizione ma sento che è preziosa. Come quando insisti
sul fatto che la pittura ti sembra il medium più artificiale e dunque più contemporaneo… Ma mi sa che abbiamo già
buttato sufficiente carne al fuoco per questa volta. Quanto al vecchio Frank, trovo che il suo sia un esempio luminoso di
contaminazione trasversale e di attraversamenti verticali, di enorme libertà e coraggio... Una volta, in un concerto, ha
detto una frase che mi è rimasta in testa e che potrebbe riassumere perfettamente la condizione della pittura
contemporanea: Jazz is not dead, it just smells funny. Yeah.
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Luca Bertolo (Milano, 1968). Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1998, nello stesso anno si trasferisce a Berlino,
dove vi risiede fino al 2005. Vive e lavora sulle Alpi Apuane. Recenti esposizioni personali e collettive presso Spazio A, Pistoia;
Arcade, Londra; MARS, Milano; Galleria Alessandro De March, Milano; Front Room Gallery, New York; 176 / Zabludowicz
Collection, Londra; Front Room Gallery, Brooklyn New York; Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di Monfalcone.
Radu Com a (Sibiu, Romania, 1975). Si laurea all'Università di Arte e Design di Cluj-Napoca, Romania. Vive e lavora a Cluj-
Napoca. Recenti esposizioni personali e collettive presso Galleria SABOT, Cluj-Napoca; AMT Project, Bratislava; National Museum
of Fine Arts, Valletta, Malta; Museum of Art, Cluj-Napoca, Romania; Lucie Fontaine, Milano; National Gallery, Pristina; Espace
Tajan, Parigi; Plan B, Cluj-Napoca. Nel 2009 e 2010 ha partecipato allaBiennale di Praga 3 e 4.
Pesce Khete (Roma, 1980). Vive e lavora tra Roma e Zurigo. Recenti esposizioni personali e collettive presso CARS, Omegna;
MARS, Milano; Tint Gallery, Thessaloniki, Grecia; Van der Stegen, Parigi; The Flat Massimo Carasi, Milano; Ceri Hand Gallery,
Liverpool. Nel 2010 ha partecipato alla Biennale di Praga 4.
Thomas Schroeren (Herborn, Germania, 1981). Vive e lavora a Berlino. Recenti esposizioni personali e collettive presso Galleria
Andreas Hohne, Monaco; Galleria SchlechtriemBrothers, Berlino; Galleria Sandra Bürgel, Berlino; Kunstsaele, Berlino;
Veerhoffhaus Kunstverein Kreis Güthersloh.