Amedeo Maiuri. Una vita per l’Archeologia
La mostra rende omaggio al grande archeologo Amedeo Maiuri che viene ricordato, ancora oggi, da studiosi e non, per la dedizione all’Archeologia e alla conservazione del patrimonio archeologico emerso dagli scavi di Pompei ed Ercolano.
Comunicato stampa
Presentazione Mostra "Amedeo Maiuri. Una vita per l'archeologia"
di Paolo GIULIERINI
Ricordare la figura e l'operato di Amedeo Maiuri all'Archeologico di Napoli è un atto
doveroso. Credo che sia fondamentale riconoscere, in un mondo connotato da tecnicismi
e specializzazioni, il suo completo bagaglio culturale, oggi inimmaginabile, nel campo
della cultura classica, che lo rese capace di operare in maniera straordinaria tra la Grecia
e l'Italia, spaziando dallo studio allo scavo, dell'allestimento museale ai problemi di
conservazione e, infine, di valorizzazione e fruizione.
La storia del Museo Archeologico Nazionale di Napoli riflette l'evoluzione della citta'.
Costruito nel XVI secolo come Scuderia per la Cavalleria vicereale, fu trasformato nel
secolo successivo in Palazzo degli Studi (o Universita') che vide, fra i docenti Giovan
Battista Vico e, fra gli studenti, Gaetano Filangieri.
Sul finire del XVIII secolo fu trasformato in un museo universale che, secondo le
aspirazioni enciclopediche del tempo, comprendeva le collezioni pompeiane ed ercolanesi
del Museo di Portici, la Quadreria di Capodimonte (Pinacoteca), la Gran Libreria Pubblica
(Biblioteca Nazionale), le Scuole per le Tre Belle Arti (Accademia) e la Stanza per lo
Studio del Nudo. Napoli era la capitale e qui, nel Real Museo Borbonico, si esponeva il
patrimonio culturale del Regno (archeologico, librario, artistico etc.). La stessa Sala della
Meridiana doveva originalmente far parte di un Osservatorio Astronomico che non fu poi
mai realizzato.
Nel 1860, con l'Unita' d'Italia, l'edificio fu trasformato in Museo Nazionale, con le nuove
aspirazioni 'democratiche' e liberali, doveva servire a formare, acculturandoli, i cittadini.
Cosi' da criteri espositivi sensazionalistici si passo' a criteri didattici e tipologici. Il Museo si
ando' nel corso dei secoli arricchendo dei reperti dei nuovi scavi, di collezioni private
donate allo stato che trovarono posto, nel corso del XX secolo, grazie al trasferimento
della Biblioteca nel Palazzo Reale di Napoli e della Pinacoteca nella Reggia di
Capodimonte.
In questa trasformazione miliari furono le figure di Giuseppe Fiorelli (dal 1863 al 1875)
nell'Ottocento e di Amedeo Maiuri nel Novecento (dal 1924 al 1961).
Proprio Maiuri era giunto a Napoli da Rodi dove giovanissimo aveva allestito il Museo
Archeologico nel Palazzo dei Cavalieri.
Fu lui ad a curare l'esposizione delle terrecotte architettoniche e figurate dai centri della
Campania e della Magna Grecia, ad allestire le pitture al primo piano ed esporre gli oggetti
provenienti da Pompei ed Ercolano come testimonianze della vita quotidiana. Lui stesso
ricorda come fece togliere dalle pareti un finto "rosso pompeiano" concentrandosi invece
sulla ricostruzione della storia economica e sociale del mondo antico. A questo scopo
creo' una sezione epigrafica al pianoterra ed una tecnologica, posta alle spalle dell'edificio.
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Non ultimo merito fu quello di aver prontamente allestito le opere di protezione del Museo
dalle numerose incursioni aeree che infestarono la zona di Piazza Cavour, dall'aver
organizzato il trasferimento notturno delle opere piu' importanti a Cassino, dall'aver
impedito l'occupazione dell'edificio da parte del comando militare alleato grazie alla sua
amicizia con un Maggiore americano ??? (che per caso aveva studiato archeologia).
Ancora oggi c'e' da domandarsi come abbia fatto ad associare alla carica di Direttore del
maggiore museo archeologico del mondo (almeno per numero di pezzi), quella di
Soprintendente di un territorio che almeno agli inizi comprendeva anche il Molise e la
Calabria, di docente all'Universita' di Napolie poi al Suor Orsola Benincasa, di Accademico
di varie prestigiosissime accademiche, di solerte editore di monumenti e di divulgatore
culturale.
La sua casa di servizio fu a Palazzo Reale ma di fatto abitava al Museo, dove talvolta si
tratteneva dalle sei del mattino fino alle otto di sera.
Non a caso i suoi funerali solenni, filmati dall’Istituto Luce, mossero dal Museo
Archeologico per congedarsi all’Università, i poli complementari della sua lunga e intensa
attività che gli consentirono di valorizzare il patrimonio archeologico dell’Italia negli anni
più critici del paese.
La mostra è dunque anzitutto un 'bagno di umiltà' per i tanti che oggi operano in questo
campo, a partire da chi scrive, che si trovano a gestire Istituti creati da questi grandi
protagonisti del passato.
Infine intende anche essere uno stimolo per i tanti giovani impegnati nel campo
dell'archeologia, perché possano imitare la vita e le gesta di un grande archeologo, non
perdendo la speranza per la propria professione futura.
Paolo GIULIERINI
Direttore del
Museo Archeologico Nazionale
di Napoli
Amedeo Maiuri
Una vita per l’archeologia
Grazie ai buoni rapporti con la famiglia Maiuri ed in particolare con la figlia Bianca, il
Rettore dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli ha potuto acquisire nel 2001 la
biblioteca privata di “Amedeo Maiuri”. Essa è oggi collocata presso il “Centro
Internazionale per gli Studi Pompeiani Amedeo Maiuri” ospitato nel Comune di Pompei .
Essa comprende tutta la sua produzione scientifica e pubblicistica, con rispettive
edizioni in lingua straniera, ed in svariati esemplari, ma anche carteggi, foto, cimeli,
medaglie, varie onorificenze e perfino la sua livrea azzurra di Accademico d’Italia, la
stessa livrea che indossava Gugliemo Marconi che fu Presidente dell’Accademia dal 1930
al 1937, anno della sua morte.
Amedeo Maiuri è stato senza dubbio uno dei maggiori archeologi italiani del secolo
scorso. Nacque nel Lazio, a Veroli presso Fregelle, il 7 gennaio del 1886 e morì a Napoli
all’età di 77 anni il 7 aprile del 1963.
Dal 1913 al 1924 fu responsabile della Missione Archeologica Italiana nell'Egeo, con
la carica di direttore del Museo Archeologico di Rodi e di Soprintendente degli Scavi nel
Dodecanneso. Dopo il lavoro svolto in Grecia, circa quarantenne, rientrò in Italia, dove
assunse la carica di Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e degli Scavi di
Ercolano e Pompei. Per i suoi meriti scientifici fu nominato socio dell'Accademia d’Italia.
Produsse oltre trecento pubblicazioni sulle sue attività nell’Egeo, in Italia meridionale
e soprattutto nell’area campana e vesuviana. I suoi interessi andarono dalla preistoria al
medioevo, dalle antichità greche e romane fino a quelle italiche e italiote.
Eppure la prima vocazione non fu l’archeologia, in quanto la tesi di laurea, conseguita
nel 1908 presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, fu svolta in Filologia
Bizantina. Fu proprio per questa formazione letteraria ed epigrafica che Federico Halbherr,
allora Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, lo volle a Creta. Infatti, vinto il
concorso della Scuola Archeologica di Atene (1908) e conseguito il Diploma alla Scuola
Superiore di Archeologia (1911), affrontò i primi scavi con lo Halbherr a Creta dove,
lavorando come membro della Missione Archeologica Italiana (1912), curò l’edizione delle
epigrafi greche.
Fu dopo i due anni di indagini condotte a Creta, che ottenne la direzione della
Missione Archeologica Italiana a Rodi, dopo che l’Italia aveva occupato il Dodecaneso. In
questa ultima isola, Maiuri organizzò e diresse il servizio archeologico per ben dieci anni,
dal 1914 al 1924, studiandone la storia dalla frequentazione micenea fino all’occupazione
medievale da parte dei Cavalieri Crociati. Restaurato, con il Gerola, l’antico Ospedale
dell’Ordine dei Cavalieri, lo destinò a Museo Archeologico curandone egli stesso
l’allestimento.
Richiamato da Rodi in Italia, ricevette nel 1924, a soli trentotto anni, la carica di
Soprintendente alle Antichità della Campania e del Molise. Contemporaneamente assunse
la direzione degli scavi di Pompei e di Ercolano che mantenne per ben trentasette anni
ovvero fino al suo pensionamento avvenuto nel 1961.
Da allora il suo interesse si concentrò sulle città campane e soprattutto su quelle
sepolte dalla eruzione vesuviana del 79 d.C. ovvero Pompei, Ercolano e Stabia, che
videro in gran parte la luce grazie al suo intenso lavoro.
Nel suo ruolo di Soprintendente alle Antichità indagò non soltanto gli antichi centri
greci e romani della Campania - come Capri, Cuma, Baia, Miseno e Pozzuoli - ma anche
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gli insediamenti del Lazio meridionale, dell’Irpinia e della Lucania, senza tralasciare la
Magna Grecia con Paestum e Velia.
Fu anche un’abile mediatore e dobbiamo alle sue capacità diplomatiche la
sopravvivenza delle collezioni nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Infatti, nel
corso della Seconda Guerra Mondiale, Napoli subì numerosi bombardamenti che
minacciarono anche l’antico palazzo del Museo. Ne resta ancora oggi traccia negli orrendi
edifici post-bellici, costruiti fra Piazza Cavour e Via Foria, laddove si ergevano invece dei
palazzi di epoca. Maiuri riuscì ad evitarne la distruzione ed a portare in salvo i materiali,
trasferendoli a Montecassino. Pagò questo suo zelo con la frattura di una gamba durante
un’incursione aerea sulla strada tra Pompei e Napoli, un’invalidità che lo costrinse al
bastone per il resto della vita.
Malgrado i gravosi oneri istituzionali e gli impegni scientifici, la divulgazione in toni
letterari fu per lui un bisogno profondo a riflesso della sua ricca personalità, bisogno che –
come raccontava la figlia Bianca - lo spingeva a sedere già alle sei del mattino alla
scrivania della casa di servizio, sita nel Palazzo Reale di Napoli, per stendere quegli
articoli che consegnava periodicamente al "Corriere della Sera". Molti di questi articoli
confluirono poi, come capitoli nelle varie edizioni delle sue “Passeggiate Campane” e “Vita
di Archeologo”.
Fu proprio Amedeo Maiuri che già nella prima metà del secolo scorso introdusse la
prosa letteraria nelle dissertazioni scientifiche dell’archeologia. Egli si può considerare
pertanto in Italia il capostipite della divulgazione archeologica colta, di gusto letterario.
Il 30 novembre del 1961, all’età di 75 anni, Amedeo Maiuri andò in pensione
lasciando l’Università, la Soprintendenza e la Direzione degli Scavi.
Di carattere umile, non volle mai approfittare del prestigio raggiunto. E’ significativo a
tal proposito un aneddoto raccontato dalla figlia Bianca. Quando il Presidente della
Repubblica Giovanni Gronchi, in visita ufficiale in Campania, entusiasta per i lavori svolti
dall’insigne archeologo, gli si rivolse dicendo “Eccellenza, mi chieda qualunque cosa, sarò
lieto di qualunque cosa potrò fare per Lei”, avrebbe potuto rispondergli – come gli era
gradito nel profondo del cuore – “Soprintendente Onorario a vita”, ma non lo fece …
Amedeo Maiuri morì il 7 aprile del 1963 alletà di 77 anni ed a soli due anni dopo il l
suo pensionamento. I funerali solenni, filmati dall’Istituto Luce, mossero dal Museo
all’Università, poli complementari della sua lunga e intensa attività che gli consentirono di
valorizzare il patrimonio archeologico dell’Italia negli anni più critici del paese.
Una delle questioni più delicate nella biografia del Maiuri ovvero i suoi legami con il
fascismo. In taluni testi recenti gli si è infatti attribuita – forse in maniera troppo risolutoria -
una connivenza con il regime o addirittura del razzismo.
Molto scaturisce dalla critica al suo discorso, pronunciato in Campidoglio alla
presenza dei Reali il 23 Novembre del 1941: “Roma e l’Oriente europeo”, Roma, Reale
Accademia d’Italia, 1942. Il discorso fu concomitante con la Campagna di Russia, un
contesto storico che ne chiarisce la genesi. Infatti mette in evidenza le ambizioni italiane di
egemonia trans-adriatica dimostrando, tramite l'archeologia e la storia della romanità, i
collegamenti culturali fra l'Italia e il mondo balcanico.
In realtà fu un personaggio prevalentemente pubblico, quindi un uomo coinvolto nel
flusso degli eventi. Inoltre, da alto funzionario dello stato, ricopriva un ruolo limitato alla
funzione esecutiva e non politica. Fu questo rispetto dei limiti delle proprie funzioni che gli
permise di rimanere sempre con lo stesso incarico attraverso tre diversi regimi: la
monarchia, l’impero e la repubblica. Giammai si ritrovò coinvolto in iniziative politiche che
potessero essere offensive della dignità umana. Anzi, trattandosi di una persona
pragmatica, utilizzò a proprio vantaggio la boriosa burocrazia fascista, come nel caso degli
scavi di Ercolano, che riuscì a far riconoscere come “grande progetto archeologico
dell’Italia Fascista”, ottenendone ingenti finanziamenti.
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Nel carteggio custodito presso il Centro Internazionale Studi Pompeiani ed Archivio
Maiuri (oggi nella sede del Comune di Pompei) si conserva una corrispondenza fra lui ed il
Prefetto di Napoli, il quale auspica che dinanzi all’ingresso degli Scavi di Ercolano –
finanziato con profusione di mezzi dal regime – venga eretto un busto del duce. Maiuri
tergiversa, rimanda elegantemente a momenti più opportuni … fatto sta che quel busto
non venne mai posto.
Se Maiuri fosse stato razzista – come pure si è più volte ripetuto - non avrebbe
esternato la sua sincera solidarietà né si sarebbe esposto con il regime inviando la lettera
sulla carta ufficiale intestata al “Soprintendente alle Antichità della Campania e del Molise”.
Da personaggio di potere e di rilievo non riuscì a sottrarsi all’invidia nefasta dei suoi
delatori.
Già subito dopo la Guerra fu processato dalle Forze di Occupazione Alleate per una
sua supposta collusione con il regime fascista, a seguito della delazione di Giuseppe
Spano, direttore degli Scavi di Pompei, ma ne fu pienamente prosciolto.
Del resto nella foto che lo ritrae come cicerone a Pompei assieme al Duce e ai
gerarchi fascisti, riunitisi a Napoli nel 1927 per presenziare al Raduno Nazionale dei Fasci,
egli è l’unico a non indossare la camicia nera.
Appare a tal proposito significativa anche l’affermazione spontanea anche quando
riferisce della visita di Mussolini a Paestum: “Io ebbi l’incarico di accompagnarlo quel
giorno alla visita dei templi … Rammento che imbastìi alla meglio un compendio della
duplice vita di Paestum greca e italica e che la visita fu, con mio sollievo, assai breve”.
Infine nel Fondo Maiuri si conserva una lettera del 19 aprile del 1934 nella quale
Maiuri attesta la sua solidarietà ad Hermine Speyer, una tedesca ebrea allontanata
dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma per le leggi razziali e che per fortuna trovò
poi – grazie all’intervento del Papa – protezione e lavoro presso i Musei Vaticani: “Gentile
Signorina Speier, ho ricevuto la Sua lettera con la comunicazione del Suo allontanamento
dall’Istituto; accolgo questa notizia con vivo rammarico, ricordando la cortesia da Lei
sempre usata nei rapporti col mio Istituto e la Sua attività così fervida di opere. Spero che
Ella possa continuare a lavorare in Roma e Le auguro, gentile Signorina, che Ella possa
continuare il più serenamente possibile la Sua nobile professione di studiosa. Con distinti
saluti Dev.mo Amedeo Maiuri”.
In particolare a Pompei liberò le mura urbiche dal terreno accumulato per circa
duecento anni dai precedenti archeologi, che avevano utilizzato le fortificazioni come area
di scarico delle terre di scavo. Si è calcolato che la terra rimossa per liberare la città
ammontò a circa un milione di metri cubi. Con la sua intelligenza Maiuri riuscì anche a
trasformare l’inutilità di questo accumulo in un terreno utile alla bonifica dei territori
acquitrinosi limitrofi, ottenendone un cospicuo finanziamento da parte della Cassa per il
Mezzogiorno. Persino l’autostrada Napoli-Salerno fu costruita in parte grazie alla terra
proveniente dagli scavi di Pompei. A lui dobbiamo quindi non solo l’odierno aspetto della
città antica, ma anche quello del territorio circostante che, bonificato, ancora oggi ci
appare ridente con le sue intense coltivazioni di verdure ed ortaggi. Da tale meritoria
attività egli stesso ne ebbe però soltanto dispiaceri ed umiliazioni, connessi ad un
processo amministrativo che lo vide prosciolto, ma come spesso accade – soltanto dopo
la sua morte.
Cosa gliene derivò da questa abnegazione ? Niente. La Corte dei Conti lo accusò di
aver gestito la cosa in maniera informale, mentre egli avrebbe dovuto vendere alla Cassa
del Mezzogiorno il lapillo rimosso e formulare un ulteriore contratto per il trasporto a
discarica. Così a due anni dal suo pensionamento ebbe inizio un penoso processo
amministrativo. Gli vennero bloccati dapprima lo stipendio e poi la pensione e perfino
messa un’ipoteca sull’unica casa di sua proprietà, una villetta ad Anacapri che egli aveva
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acquistato con l’appannaggio dell’Accademia d’Italia e che, con sobria eleganza, aveva
fatto arredare con mobili in legno d’olivo e piatti di Rodi alle pareti.
La figlia Bianca raccontava che trascorreva le notti insonni piangendo e chi lo
conosceva lo ricorda taciturno ed accasciato.
Quest'autodifesa costituisce l'ultimo intervento di Maiuri relativamente alle ispezioni
amministrative che colpiscono la Soprintendenza di Napoli.
A sei mesi dalla morte, il 2 ottobre 1964, Maiuri fu citato in giudizio presso la
Procura Generale della Corte dei Conti. La causa si sarebbe conclusa solo nel 1968, a
due anni dalla sua morte, lasciando la moglie ottantenne Valentina e le due figlie in
condizioni di estrema indigenza. Per la sua autodifesa Maiuri aveva presentato un
corposo e puntuale Memoriale di settantanove pagine, che nella prima parte costituisce
anche il suo amaro testamento spirituale (l’originale si conserva oggi nel Fondo Maiuri a
Pompei):
“… Fui chiamato alla Soprintendenza alle Antichità di Napoli nell'agosto 1924, in un
momento eccezionale, dopo I'inchiesta cioé condotta sul precedente Soprintendente
Vittorio Spinazzola …Venendo daIIe IsoIe deI Dodecanneso, occupate allora dall'Italia,
dopo aver diretto per oltre dieci anni la missione archeologica italiana a Rodi e l’Ufficio
della Soprintendenza alle Antichità dell’Egeo, venni prescelto … per la prova data di
capacità organizzativa e scientifica … Purtroppo pochi ricordano in quale condizione di
disordine morale e materiale io abbia ereditato la Soprintendenza di Napoli nel lonlano
1924 … Mi trovai con i servizi non ancora riorganizzati, senza personale,senza mezzi
finanziari, con gli scavi chiusi e l’edifcio del Museo pericolante… in un’atmosfera ancora
piena di sospetto e di discredito: e tutto affidato al mio senso di moderazione, di
equilibrio e di giustizia ... Se pertanto … è stato possibile portare, in questi 37 anni, la
Soprintendenza alle Antichità di Napoli ad un livello mai raggiunto nel passato con la sua
generale estimazione della sua attività culturale e scientifica, ciò si deve a capacità
organizzativa e costruttiva del sottoscritto e non a carenza o deficienza della sua
capacità amministrativa: opera spesa tutta a servizio dell’Amministrazione delle Antichità
e Belle Arti, retribuita negli ultimi diciotto anni con il solo compenso del lavoro
straordinario e con un’invalidità contratta per una ferita riportata per causa di servizio
durante il periodo di guerra in un’incursione aerea del settembre 1943 …
Ho la coscienza pertanto di aver compiuto il mio dovere di funzionario e di aver ben
meritato della pubblica amministrazione”.
Umberto PAPPALARDO
Direttore del
Centro Internazionale Studi Pompeiani
e Fondo A. Maiuri
Università “Suor Orsola Benincasa”
Napoli