Amedeo Sanzone – Inside
Superfluità del dire, del raccontare, superfluità dell’indugiare sulla descrizione fine a se stessa, sono un suo leitmotiv di ricerca. Nessun mero descrittivismo è concesso all’opera, piuttosto una immediatezza di emozione e uno spunto di riflessione per lo spettatore.
Comunicato stampa
La lettura dell’opera di Sanzone va effettuata e approfondita da varie angolazioni.
Da un punto di vista di ricerca concettuale si orienta decisamente sull’essenza delle cose, sull’essenza dell’essere e della materia.
Da un punto di vista artistico la ricerca è centrata su una essenzialità che lo conduce piuttosto verso una attività del “togliere”, scarnire, eliminare, ridurre.
Superfluità del dire, del raccontare, superfluità dell’indugiare sulla descrizione fine a se stessa, sono un suo leitmotiv di ricerca. Nessun mero descrittivismo è concesso all’opera, piuttosto una immediatezza di emozione e uno spunto di riflessione per lo spettatore. L’artista inoltre opera con materiali che non sono più, oli , acrilici e tele, ma materiali di nuova o media generazione quali le plastiche, i plexiglass, i polimeri, le resine.
In una epifania della scoperta, Sanzone accede all’uso di questi materiali duttili e, a contrario talvolta, incontrollabili dai quali viene sedotto in maniera irrinunciabile. Il “lexan” diventa il suo compagno di percorso. Questo materiale ha la peculiarità di presentarsi in sé con una superficie riflettente che affascina l’artista per la sua capacità di riflettere non solo immediatamente la luce, ma anche tutto il contesto circostante all’opera. Sanzone pertanto ingaggia con l’opera ed anche con lo spettatore una sorta di gioco e nel contempo di sfida; il gioco della riflessione della luce da un lato: luce che accende o attenua i colori, e luce che viene immediatamente rinviata verso l’occhio di chi guarda nella sua purezza; ma anche una sorta di sfida emozionale dello spettatore che viene come assorbito e risucchiato nell’opera insieme a tutto il contesto circostante. Lo spettatore entra a far parte dell’opera sia pur sotto forma di ombra e questo occorre al Nostro non solo per vivificare e quasi umanizzare lo spazio pittorico, ma anche per “attraversarlo” con tutta la fisicità della presenza umana.
Da qui un invito allo spettatore a penetrare l’opera, a fondersi con essa, a scoprire cosa c’è dentro e al di là della superficie e infine un invito a riflettere sulla propria corporeità e fisicità gettate improvvisamente in uno spazio estraneo a sé, ma che nel contempo gli offre la riconoscibilità del proprio sé. Trattasi di sperimentare una nuova visione dell’opera d’arte e un nuovo rapporto con essa nel quale lo spettatore sia pur “passivamente” partecipa e determina la “scena” visiva, non più in senso “cinetico” di attività del fruitore, ma in senso dinamico/emotivo, di un dinamismo solo emozionale.
La consapevolezza di sé determinata dall’inglobamento dello spettatore nell’opera fornisce una nuova consapevolezza del proprio stato come soggetto/oggetto non solo della visione, ma dell’essere, dell’esistere in sé.
Nel riconoscimento dell’ombra riflessa nell’opera come la propria ombra, lo spettatore è indotto a porsi domande sulla propria esistenza come soggetto/oggetto di un tutto. A chiedersi: sono dentro l’opera e quindi sono virtuale e non reale, oggetto di un manufatto artistico pur sempre artificioso e artificiale creato da altri? Ma nel contempo, essendo soggetto reale, adopero l’opera d’arte come espressione della mia fisicità e quindi creo io stesso l’opera? Guardare all’interno per guardarsi dentro. Penetrare nell’opera per “attraversare” la superficie, scoprire cosa c’è al di là di una percezione visiva immediata e superficiale, ma nel contempo di rara intensità.
Nel contesto spaziale formato da luce, colore e ombre appare infine l’elemento “esterno”,ovvero “ l’estraneo”: l’applicazione di acciaio o plastica posizionata sulla superficie dell’opera che esplica un ruolo determinante nella ricerca dell’artista: il ruolo di un ridimensionamento di quello stesso contesto spaziale formato altrimenti da immenso vuoto e immane silenzio in cui viene immerso lo spettatore.
Da un ignoto spazio primordiale e senza fine, l’applicazione “riposiziona” lo sguardo, rende accessibile la visione senza che questa si disperda nel vuoto; senza affondare nel baratro del silenzio assoluto, l’applicazione lo riconduce ad una realtà più accessibile di materia e di forma, e in tal modo si perfeziona quell’incessante serie di rimandi tra un esterno ed un interno dell’opera che è la vera chiave di volta della poetica e della espressività di Sanzone.