Amnistia. Colonialità italiana tra cinema critica e arte contemporanea
La mostra si interroga sulle attuali possibilità di rielaborazione critica di tale storia nell’ambito della colonialità (la persistenza di tracce del colonialismo nelle culture sociali, politiche e visive contemporanee).
Comunicato stampa
AMNISTIA
Colonialità italiana tra cinema, critica e arte contemporanea
A cura di:
Matteo Binci, Miriam Canzi, Mariavittoria Casali, Alessandra Fredianelli, Federica Girelli,
Gloria Nossa, Noemi Stucchi, Sara Tortolato, Massimo Vaschetto, Claudia Volonterio,
Guglielmo Zalukar e Milena Zanetti
Coordinamento:
Sara Tortolato e Massimo Vaschetto
AMNISTIA. Colonialità italiana tra cinema, critica e arte contemporanea è un progetto curato da un gruppo di studenti e studentesse del biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Belle Arti di Brera, con la supervisione dei docenti Barbara
Casavecchia, Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi e il sostegno della Scuola di Comunicazione e Didattica dell’Arte. AMNISTIA intende riflettere sulla persistenza degli immaginari coloniali nella contemporaneità e sull’amnesia e afasia collettive rivolte al passato coloniale italiano.
I capitoli del progetto sono tre:
1. Screening Program (già concluso)
21 maggio, Anteo Palazzo del Cinema, Milano.
Film-documentari di Fred Kuwornu, Valerio Ciriaci, Alan Maglio & Medhin Paolos, presentati dai rispettivi autori.
2. Public Program (già concluso)
27-28 giugno, Accademia di Brera, Milano
Due giornate di studi con ricercatori e ricercatrici italiani esperti di studi postcoloniali e di genere: Liliana Ellena, Gaia Giuliani, Gianmarco Mancosu, Angelica Pesarini.
3. Mostra
11 luglio-10 agosto (dal lunedì al sabato, ore 11–18), Sala Napoleonica, Accademia di
Brera, Milano. Inaugurazione mercoledì 11 luglio ore 11. Ingresso gratuito.
La mostra AMNISTIA si svolge nella Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera, in occasione di Accademia Aperta 2018.
Il concetto di amnistia — l’estinzione del reato da parte dello Stato — diventa metafora della rimozione e sospensione del giudizio esercitate dalla società italiana nei riguardi dei propri crimini e trascorsi coloniali. La mostra si interroga sulle attuali possibilità di rielaborazione critica di tale storia nell’ambito della colonialità (la persistenza di tracce del colonialismo nelle culture sociali, politiche e visive contemporanee).
Vi partecipano artisti, artiste e filmmaker italiani e stranieri che, a partire dagli anni 2000, si sono dedicati a questi temi, utilizzando cinema, video, scultura, performance e ricerche d’archivio. Il gruppo curatoriale ha scelto il cinema come elemento chiave — dall’esordio con lo Screening Program, fino alla selezione delle opere in mostra — sia per riflettere sul suo utilizzo come mezzo di propaganda durante il regime, che come linguaggio atto a costruire un discorso critico nel presente, in forma documentaristica o di video–installazione. Luca Guadagnino (Palermo, 1971) nel film-documentario Inconscio
Italiano (2011) indaga l’occupazione fascista in Etiopia — Paese nel quale ha trascorso l’infanzia — attraverso sei interviste ad Angelo del Boca, Michela Fusaschi, Lucia Ceci, Iain Chambers, Alberto Burgio e Ida Dominijanni, seguite da un montaggio di immagini conservate nell’archivio dell’Istituto LUCE.
Il documentario di Valerio Ciriaci (Roma, 1988) If Only I Were That Warrior (2015) ripercorre il caso del monumento commemorativo al generale fascista Rodolfo Graziani eretto nel 2012 ad Affile (Roma), dando spazio alle opinioni di Italiani ed Etiopi su un passato comune ancora irrisolto. In continuità con la riflessione sul ruolo di monumenti e architetture, la video-installazione Freedom of Movement (2017) di Nina Fischer (Emden, 1965) e Maroan el Sani (Duisburg, 1966) ripercorre l’impresa e il tragitto del corridore etiope Abebe Bikila, primo africano nero a vincere la maratona di Roma, nel 1960; attraverso immagini d’archivio e contemporanee, gli artisti tracciano la relazione controversa tra luoghi simbolo del passato coloniale e aspirazioni alla libera circolazione di rifugiati e migranti attraverso il Mediterraneo. L’opera di Rossella Biscotti (Molfetta, 1978)
La cinematografia è l’arma più forte (2003–2018), esposta in una versione realizzata per l’occasione, riporta al presente la frase con la quale Mussolini inaugurò Cinecittà nel 1937.
Una serie di teche accoglie opere legate alla metodologia della ricerca d’archivio, a partire da collezioni private o museali e specifici percorsi di studio svolti dal gruppo curatoriale, come Archive as Method (Resistant Archives) (2018), risultato del workshop condotto da Alessandra Ferrini (Firenze, 1984), per mappare i materiali appartenuti al disperso Centro di Documentazione Frantz Fanon, fondato nel 1963 da Giovanni Pirelli e ora suddiviso tra diversi archivi milanesi. Sammy Baloji (Lubumbashi, 1978) illustra gli studi che l’hanno condotto alla realizzazione dell’installazione Fragments of Interlaced Dialogues (2017), esposta a documenta 14, composta da opere e tessuti africani provenienti dal Nationalmuseet di Copenhagen e dal Royal Museum for Central Africa di
Tervuren, Belgio.
L’installazione Restolen (2017–2018) di Leone Contini (Firenze, 1976) riflette sulla matrice coloniale dei musei etnografici, potenti strumenti di costruzione scientifica dell’alterità: due sculture stampate in 3D replicano due manufatti della collezione dell’ex Museo Coloniale Africano di Roma, mentre un video ne registra il processo di appropriazione. Bekele Mekonnen (Addis Abeba, 1964) concepisce per la mostra l’installazione inedita The Kiss and the Bite (2018), basata su due oggetti quotidiani, la forchetta e la vanga, contrastanti per l’utilizzo concreto e il significato simbolico (positivo/negativo) a essi legato, in relazione all’occupazione italiana in Etiopia.
Nell’opera Impero arcobaleno (Ri-uso di elementi di una collezione paterna II) (2018),
Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) utilizza una serie di francobolli della Repubblica Sociale
Italiana con sovrastampa invertita della Guardia Nazionale Repubblicana, disponendoli secondo la successione dei colori dell’iride. Il 21 luglio dalle ore 12, Pietroiusti interpreta la performance Pensiero unico (2003–2018), nella quale canta ripetutamente i ritornelli delle canzoni fasciste “Giovinezza” e “Vincere”, fino a perdere la voce, incarnando fisicamente l’afasia.