Andrea Crosa – Scatole cinesi
Dimora Artica presenta Scatole cinesi, mostra personale di Andrea Crosa a cura di Andrea Lacarpia. Lo spazio espositivo è trasformato da Crosa in ambiente domestico pervaso da una sottile inquietudine, in cui la separazione tra realtà e finzione sfuma nella dimensione onirica.
Comunicato stampa
Dimora Artica presenta Scatole cinesi, mostra personale di Andrea Crosa a cura di Andrea Lacarpia.
Lo spazio espositivo è trasformato da Crosa in ambiente domestico pervaso da una sottile inquietudine, in cui la separazione tra realtà e finzione sfuma nella dimensione onirica.
La mostra si svolge nell’ambito della collaborazione tra Dimora Artica e Galleria Arrivada, in una sinergia che nasce dalla stima e dal comune impegno nella promozione dell'arte contemporanea.
Il fluire del tempo può seguire itinerari imprevedibili, donando attimi di sospensione in cui il divenire delle cose sembra fissato in un incantamento sovrannaturale.
Il tempo così percepito è legato allo stato d'animo malinconico ed insieme all'emergere della capacità immaginativa del puer aeternus, il fanciullo interiore che non conosce il passare del tempo e resta custode dell'armonia originaria.
Nelle opere di Andrea Crosa tali attimi di incanto, insieme gioiosi e malinconici, sono reiterati ed elevati a sistema linguistico, in modo da costituire una realtà coerente formata da immagini lievi, in cui ricorrono alcuni oggetti dallo stile chiaramente anni '50, spesso riprodotti in scala ridotta, che vanno a ricostruire scenari ispirati ad alcuni luoghi vissuti dall'artista nella propria infanzia.
Tra ricordi reali e forme immaginarie, gli ambienti domestici, le piscine e gli elettrodomestici, dipinti con campiture piatte di colori pastello su tavole sagomate, sono gli elementi ricorrenti di un alfabeto visivo con il quale Crosa compone enigmatiche scenografie, in cui l'assenza di figure umane accentua l'atmosfera rarefatta, ed in cui il tempo sembra sospeso in attesa di qualche misterioso avvenimento.
La nitida precisione dei soggetti e la luminosità dei colori riportano ad una dimensione di totale comfort, e nel contempo comunicano una sensazione di spaesamento, assumendo la valenza di nonluoghi isolati in uno spazio tempo astratto. L'incontro di edonismo e suspance che contraddistingue il linguaggio di Crosa può essere collegato all'esperienza dell'artista che, nato a Buenos Aires da genitori italiani, nei suoi primi anni di vita ha vissuto un'Argentina dai forti contrasti, in cui la grande crescita economica conviveva con violenti scontri politici e rivoluzioni.
Pur presentando architetture ed arredi dalle forme che riportano al dopoguerra, le opere di Crosa ci parlano in primo luogo della contemporaneità, di un’epoca che attraverso i media produce distrazioni sempre più efficaci ed insieme alimenta un’atmosfera di costante pericolo, in cui ci si sente costantemente sorvegliati.
Per la mostra in Dimora Artica, Andrea Crosa mette in relazione i due ambienti espositivi, piano terra e soppalco, in un chiasmo di corrispondenze tra colori e scala di grigi, e tra realtà e finzione. Dimora Artica è trasformata da Crosa in un ambiente domestico pervaso da una sottile inquietudine, in cui si osserva e nello stesso tempo ci si sente osservati.
Le pareti a piano terra presentano una serie di salottini dalle forme minimali, dipinti su tavole sagomate e distanziati dal fondo per accentuarne la leggerezza, disposti in composizione come per predisporre una conversazione impossibile.
Nell’altro lato un piccolo televisore trasmette le riprese in bianco e nero di telecamere di sorveglianza puntate su una cittadina composta da piccole casette disposte in modo regolare, tra le quali compare un’automobile Studebaker del 1955, vettura feticcio che Andrea Crosa inserisce spesso nelle proprie installazioni.
La separazione tra realtà e finzione sfuma in una dimensione onirica, in cui uno schermo funzionante è ospitato da un televisore fittizio dipinto con colori vivaci, e la cittadina riprodotta dai video non è altro che una maquette, un plastico realizzato in scala ridotta.
Salendo la scala si accede al soppalco che ospita la riproduzione in scala 1:2 di un salottino che si integra con le proporzioni ridotte dell’ambiente. L’osservatore entra quindi in un ambiente lillipuziano, che sembra essersi ristretto per effetto di un incantesimo. L’installazione è dipinta con gradazioni di grigio e all’interno di essa un televisore trasmette lo stesso video presente a piano terra, ora dominato da una ricca colorazione.
Come in un film senza fine, ogni scena riproduce lo stesso attimo congelato, l’infinito ripetersi di un tempo immobile che osserviamo come insaziabili voyeur, e che trasforma lo spazio espositivo in un gioco di scatole cinesi.