La 10 & zero uno è lieta di presentare la prima mostra personale di Andrea Luzi (Ancona, 1997), all’interno dei propri spazi di via Garibaldi 1830, a due passi dai Giardini della Biennale di Venezia (dal 20 gennaio al 24 febbraio 2024, inaugurazione venerdì 19 gennaio, ore 18.00).
Il progetto espositivo “Colando dalle stelle oscure”, a cura di Chiara Boscolo, prende il nome da una delle opere dell’artista e ci viene raccontato attraverso le parole di Carlo Sala:
“Il fruitore è messo al cospetto di un universo figurale, dai tratti prettamente distopici, contraddistinto da figure antropomorfe di ardua decifrazione, che sembrano l’esito di una metamorfosi tutt’ora in atto; ogni soggetto ha un carattere di incarnazione, di traslazione tra uomo e animale, bestia e divinità. […] Nel dipinto La grandezza del nulla (2023) il display è una sorta di attualizzazione dei polittici antichi che sul finire del Quattrocento sono stati soppiantati dalle pale a sfondo unificato. Proprio come in quei lavori, l’opera di Luzi è composta da vari elementi figurali frammentati, che costituiscono una narrazione corale nel loro insieme. Dentro alle tele del pittore troviamo una miscellanea iconografica che è il frutto di una molteplicità di stimoli e ispirazioni che non debordano mai nella citazione diretta, ma sono il frutto di suggestioni che derivano dal mondo della musica, della filosofia, della grafica e della letteratura alternando cultura alta e popolare. In questa – come per altre opere – è stata determinante la lettura del saggio Tra le ceneri di questo pianeta (2011) del pensatore americano Eugene Thacker, un testo che sembra aggiornare le correnti del pessimismo storico al peculiare momento dominato dalla crisi climatica, dal pericolo dell’estinzione di massa e dall’incapacità ontologica di progettare nuovi futuri. Le riflessioni nichilistiche di Thacker sono un perfetto quadro teorico per i dipinti di Luzi dove vediamo riferimenti al mondo dell’occulto, al cerchio magico, soggetto che appare di sovente invocando un’idea di rito magico, di spazio sospeso tra sacro e profano, naturale e soprannaturale, normazione e trasgressione. I dipinti di Luzi rivelano la messa in opera di una sorta di Bestiario contemporaneo che, sul solco di quelli della tradizione medievale, enumera animali veri o immaginari, carichi di reminiscenze della cultura pagana.
Le forme iconiche che appaiono nelle tele sono soggette a mutazioni speculari al processo realizzativo delle opere, dove inizialmente vi è una sottrazione pittorica, seguita da una edificazione figurale guidata dalle suggestioni fornite dalla materia cromatica che fa emergere tutta una serie di forme non pienamente previste. Nelle composizioni prendono vita architetture instabili e contorte, misteriose forme animali, aspetti che attraverso l’agire pittorico si configurano mediante lo studio dei volumi, delle luci e delle ombre arrivando a delineare mondi visionari e cupi. Va sottolineato come l’autore sappia abilmente traslare nella pittura una sensibilità che gli deriva dalla pratica con la tecnica grafica del monotipo, una stampa tirata in un unico esemplare da un disegno realizzato con colori a olio su una lastra che mantiene tutta una serie di peculiarità materiche; la palette cromatica di queste opere tende alla monocromia (altra affinità con il monotipo) con una serie di colori terrosi di ascendenza prettamente nordica.
Il lavoro L’abominio vacilla, colando dalle stelle oscure (2023) è nato dalla suggestione dal celebre racconto Il richiamo di Cthulhu di H.P. Lovecraft. Dal dipinto emergono prospettive incongrue, edifici dalle forme distorte (fatte di una materia a tratti viscosa e immersi in atmosfere nebulose) che sembrano richiamare le parole dello scrittore americano quando descrive la «cadaverica città d’incubo di R’lyen» costruita da «vaste, disgustose forme scese colando dalle stelle oscure». Questi elementi architettonici dalla morfologia informe, e dai toni drammatici, compaiono anche in lavori come Potenza mietitrice (2023), un polittico che sembra sovrapporre, e fondere, spunti distanti nella storia e nel tempo: dai templi ai reliquiari, dalle costruzioni effimere barocche all’esuberanza delle colonne tortili. Alla meraviglia e allo stupore Seicentesco sembra però essersi sostituito un sentimento del perturbante dove una sommatoria di immagini familiari porta alla creazione di un senso di spaesamento e attrazione verso qualcosa di inquietante che sfugge alla nostra percezione, ben delineato da Mark Fisher nel suo ultimo libro pubblicato in vita dedicato al fenomeno del weird. Questi luoghi vengono edificati dall’autore in modo gestuale, diretto, senza alcuna riflessione aprioristica o filologica, perché sono il frutto di un magma di sostanza creatrice che genera mondi instabili. Potenza mietitrice (il cui titolo è un rimando alla macchina agricola) evoca da una parte la ciclicità delle stagioni e i riti legati al lavoro della terra, e dall’altra il concetto di potenza, che allude all’ineluttabilità della morte, per una precarietà e caducità che sono espresse nel dipinto attraverso la dimensione narrativa, ma anche a livello formale, dove tutto è instabile e prossimo al collasso, come lo spirito del tempo che stiamo vivendo.” |