Andrea Panarelli – Ombra illuminata
Mostra personale
Comunicato stampa
“Lumen opacatum. Intorno agli ultimi lavori di Andrea Panarelli"
Come Victor Stoichita ha bene indicato, Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia afferma che circa gli inizi della pittura si sa ben poco. Sin dall’antichità, v’è incertezza se sia l’Egitto la terra che ha visto i suoi primi segni, oppure la Grecia (in particolare in quest’ultima vi sarebbe la disputa tra Sicione e Corinto). Però, al di là dei suoi natali, si concorda all’unisono che la pittura nacque dall’uso di contornare l’ombra umana con una linea (omnes umbra hominis lineis circumducta). Da qui, da questa consonanza di acqua sotto i ponti ne è passata (si pensi, in primis, al mito platonico della caverna) e possiamo dire che il rapporto con l’ombra segna la storia della raffigurazione occidentale, e con Hegel possiamo affermare che il vedere, con tutte le condizioni di possibilità che comporta, è il profondamente altro non solo dell’assoluta oscurità ma anche e soprattutto dell’assoluta chiarezza. “La pura luce e la pura oscurità sono due vuoti, che sono lo stesso”, scrive il filosofo tedesco. Ed è quindi lecito sostenere che solo nella luce determinata, e quest’ultima non può che essere determinata dall’oscurità, ovvero intorbidata dall’oscurità, qualcosa si rende distinguibile dal altro da sé; analogamente questo qualcosa si distingue solo nell’oscurità determinata e l’oscurità viene definita dalla luce, quindi solo nell’oscurità rischiarata.
I recenti lavori pittorici di Andrea Panarelli, "sottoposti alla luce" presso le sale del Museolaboratorio di Città Sant'Angelo, si presentano come felici occasioni riuscite per esperire proprio quanto il nostro "atto di vedere" (così come lo chiama Wim Wenders), di percepire ciò che ci è di fronte sia da sempre una questione anche e soprattutto esterna a noi e ai nostri occhi. Questa mostra di Panarelli è un viaggio esemplare nel nostro quotidiano attraverso gli scenari della luce e dell'ombra, e come in un'epifania umana troppo umana proiettata su quinte terrestri si dipanano di colpo le luci e le ombre che ci appartengono, che abbiamo cucite addosso, di cui siamo fatti. Ci sembra, infatti, quasi di ritrovarci come d'incanto in una vecchia sala cinematografica dove appunto le ombre prodotte dalla luce del proiettore si confondono con i profili delle nostre figure. E allora il semplicissimo (che risulta sempre pure il difficilissimo) non può che farsi avanti, pretendere qui nel suo pieno diritto di essere il protagonista, la guida del viaggio, lo Stalker (per rimandare a una figura cara a Panarelli). Sì, queste pitture sono alla ricerca della pura esperienza della visione, del nostro vedere, e grazie a loro davvero il vedere viene a provare a essere quello che è, ovvero il mondo stesso. Panarelli con queste proposte in fondo insegue (e noi con lui) quella mediazione più neutra possibile all'imbarazzo che ci prende, che ci assale quando scopriamo le nudità che della realtà ci sono profondamente e intimamente nascoste. E queste nudità poi, "a ben vedere", non sono altro che la realtà stessa sciolta e liberata dalle nostre individuali proiezioni-aspettative certamente inevitabili. E allora probabilmente solo così è possibile che per un attimo diventiamo davvero quello che siamo, ovvero un continuo oscillare tra essere e non essere, tra volontà e rappresentazione. Quel leggero e appena accennato "situarsi tra" che appunto solo forse l'immagine può tentare di liberare e rendere concreto (dire meno menzogne, per dirla con Nietzsche) per noi comuni mortali che siamo destinati a finire quasi sempre in nuovi compromessi: in ciò mi pare si possa iscrivere, come in una istantanea, questa bella mostra di Panarelli. È un invito sincero che si rivolge a quella parte di noi vedenti disposta a non farci accontentare "di piccole gioie quotidiane" come anche appiattire sui "fallimenti che per nostra natura normalmente attiriamo". Visitando le sale, ci giunge qualcosa simile a un sussurro soave che fedelmente ci accompagna verso preziosi attimi di dimenticanza di sé, di smemoratezza, di abbandono, e riprendiamo con gli occhi e con le mani anche quella ciotola, quel bicchiere, quell'angolo di un interno, quella sedia, quello spazio, quel tempo che avevamo per distrazione sottovalutato. Sin dalla cena che ci aspetta una volta usciti dal museo o dal cinema, lì sulle tavole imbandite ritroviamo le stesse cose (posate, piatti, bottiglie etc.), ma tutto insieme sarà come rinnovato dal nostro sguardo un po' più educato. Non sarà più solo ciò che ci sembra essere quello che avremo sotto i nostri sensi, ma sarà l'atmosfera a cui per fortuna faremo parte. "Riportami nelle zone più alte - In uno dei tuoi regni di quiete", cantava Franco Battiato nel 1991. Oggi è Panarelli che con questi suoi doni accoglie la stessa richiesta per sempre "nuovi rapimenti mistici e sensuali".
Domenico Spinosa