Andrei Molodkin – Turm-oil
Cos’hanno in comune un angelo, la scritta araba Allah Akbar, e quelle in inglese Fuck off, Fuck you e Hope? A parte l’autore, Andrei Molodkin – l’artista russo affermato internazionalmente –, queste opere sono composte con la stessa tecnica: blocchi di resina, il cui interno è stato attraversato dalla turbolenza del petrolio greggio.
Comunicato stampa
Cos’hanno in comune un angelo, la scritta araba Allah Akbar, e quelle in inglese Fuck off, Fuck you e Hope? A parte l’autore, Andrei Molodkin – l’artista russo affermato internazionalmente –, queste opere sono composte con la stessa tecnica: blocchi di resina, il cui interno è stato attraversato dalla turbolenza del petrolio greggio.
Sì, perché la figura alata, gli svolazzi della scrittura e le lettere alfabetiche sono cave, e scurite in diverso modo dal passaggio dell’oro nero allo stato liquido. Un angelo bianco che sembra affogare nell’oscurità da una parte, la dichiarazione che “Dio è il più grande” dall’altra; poi due diversi modi di mandare la gente all’inferno e, infine, la parola “speranza”.
Neppure a farlo apposta, leggiamo la mostra, curata dalla critica Linda Kaiser, in maniera simbolica. Il percorso espositivo diventa un rebus, in cui ognuno colloca gli oggetti secondo il proprio ordine e trova il significato che più gli appartiene.
“Opera aperta” si sarebbe definita un tempo. Ma Molodkin, che pur ama gli accostamenti dei suoi pezzi a suggerire nuove interpretazioni, li ha concepiti a se stanti. Nelle trasparenze illusorie dei materiali, sono aspirati fluidi azionati da una pompa. La pressione si alza e si abbassa, aumenta da una parte e si riduce dall’altra.
Sul piano individuale, il principio è quello del cuore umano; in chiave universale, il meccanismo richiama quello della storia che si gioca oggi sullo scacchiere internazionale. Il petrolio muove le forze in campo, sposta gli equilibri, sporca le mani, dinamizza i passaggi di capitali.
Molodkin, che espone tra Russia e Stati Uniti, tra Oriente e Occidente, vive questa “liquida modernità” nel conflitto tra cultura e religione e tra economia e politica, rappresentando anche visivamente un turmoil.
E tale “turbolenza” sembra ancora necessaria: il petrolio è il dio più grande, l’angelo nero che ci domina e ci manda in rovina – come dichiarano le espressioni in inglese. L’unica speranza, forse, è proprio data dall’arte, dall’irrinunciabile espressione di pensieri e forme, dalla bellezza di una denuncia gridata sommessamente.