Anna Esposito – What I’ve done
La rassegna, che rappresenta la prima antologica di Anna Esposito (Roma 1935) in Grecia, è prodotta in collaborazione con lo spazio indipendente Lettera_E di Roma, e propone una selezione delle opere più dissacranti dell’artista realizzate nell’arco di cinquant’anni di attività.
Comunicato stampa
Alla Gramma Epsilon inaugura la mostra “What I’ve done” di Anna Esposito, a cura di Davide Mariani, che prosegue il programma espositivo della galleria ateniese dedicato alle artiste protagoniste della scena italiana degli anni Settanta.
La rassegna, che rappresenta la prima antologica di Anna Esposito (Roma 1935) in Grecia, è prodotta in collaborazione con lo spazio indipendente Lettera_E di Roma, e propone una selezione delle opere più dissacranti dell’artista realizzate nell’arco di cinquant’anni di attività.
Dislocata in due sedi espositive, la mostra aprirà al pubblico il 4 giugno a Roma nello spazio indipendente Lettera_E e il 9 giugno ad Atene alla galleria Gramma_Epsilon, e sarà visitabile fino al 1 ottobre 2022.
La mostra, realizzata con il patrocinio dell’IIC di Atene, sarà accompagnata da un catalogo edito da Gli Ori e curato dallo stesso Mariani.
«Dopo il successo della retrospettiva dedicata a Mirella Bentivoglio – dichiarano Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, responsabili della Gramma_Epsilon – siamo felici di offrire al pubblico greco la possibilità di conoscere Anna Esposito, artista poliedrica e visionaria che, grazie alle sue opere, ha messo in luce, spesso con largo anticipo, le problematiche e le contraddizioni della società in cui viviamo. Il nostro intento è quello di rendere omaggio alle grandi personalità femminili che hanno saputo giocare un ruolo fondamentale nella scena artistica degli anni Settanta, le cui opere ancora oggi risultano estremamente contemporanee».
Svelare l’inganno.
Curata da Davide Mariani, la mostra e il catalogo de Gli Ori Editore, riuniscono, nel complesso, oltre trenta opere, tra rilievi, collage e décollage che rappresentano lo specchio di precisi giudizi poetici sui miti, i personaggi, le tragedie e le speranze di oggi.
«Uno degli aspetti che maggiormente ha caratterizzato la sua arte – sostiene Davide Mariani - è la capacità di mettere a nudo l’ipocrisia delle figure e la loro ambiguità. Esposito destruttura l’immagine, sezionandola come un congegno meccanico, per indagare da vicino l’inganno e renderlo esplicito.»
Smitizzare e denunciare, sono questi gli intenti primari delle sue opere che, fin dai primi anni Settanta, hanno evidenziato il suo interesse nei confronti della realtà circostante. Un percorso il suo che, sebbene abbia incrociato protagonisti e correnti riconducibili alla Pop art italiana e al Nouveau Réalisme, da Schifano a Rotella, è rimasto scevro da qualsiasi tipo di incasellamento o etichetta e ha saputo rinnovarsi con grande originalità.
«Con il mio lavoro cerco di mettere in luce le parti nascoste della verità – dichiara Anna Esposito – cerco di essere dentro le cose, come in un impasto per assaporarne tutti gli umori e tirar fuori i veleni.»
Dal mondo per il mondo.
Attraverso una serie di filoni tematici che spaziano dalle questioni sociali, come l’immigrazione, la religione e la guerra, a quelle ambientali, come il cambiamento climatico e l’inquinamento, la mostra restituisce la profondità di un’arte senza filtri che arriva dritta allo spettatore. Questa sua attitudine era già stata evidenziata nel 1976 da Maurizio Fagiolo in occasione della prima personale in un’istituzione pubblica, quella al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, in cui rimarcava come l’operazione compiuta dall’artista non consistesse tanto nell’affollare il mondo di nuove immagini, ma di prendere dal mondo le immagini già esistenti per rielaborarle secondo la sua personale visione.
La critica, in questo caso, consiste nella accumulazione, nella sottrazione, nella moltiplicazione, nella divisione dei soggetti/oggetti e quindi dalla sua capacità di esaminare il mondo servendosi del mondo stesso, come in Sventagliata di mitra (1972) e Un esercito (1974), entrambe esposte nel 1978 anche nella storica mostra al femminile curata da Mirella Bentivoglio per la Biennale di Venezia tenutasi ai Magazzini del Sale.
A distanza di cinquant’anni, l’artista ha sentito la necessità di realizzare una nuova versione di Sventagliata di mitra (1972/2022) che sarà presentata per la prima volta ad Atene, proprio insieme a Un esercito (1974), come ulteriore tassello di riflessione volto a rimarcare quanto la guerra, ieri come oggi, continui a causare dolore e sofferenza: «pensando all’uomo in generale e alla società, me compresa, provo un senso di compassione per questa storia che ci è data da vivere – prosegue Esposito – il mio non è mai un giudizio definitivo ma è come se io ambissi a un riscatto dell’uomo, ad una realtà un po’ più umana perché la società contemporanea ci sta disumanizzando».
Cosa ho fatto?
Passando in rassegna le opere in mostra si ha la sensazione di assistere alla inesorabile narrazione del disfacimento del nostro pianeta: gli alberi si trasformano in fumaioli (Albero ciminiera, 2003), le case distrutte dalla guerra in puzzle per bambini (Bosnia, 1992), i prati in distese di rifiuti (Sguardo ecologico rosso, 1974) e gli animali in Progetti di sartoria (1985). I mappamondi appaiono consumati nei loro contorni ormai sbiaditi (Atlantis, 1991), le bottiglie contenenti messaggi di aiuto sono di plastica e racchiudono barconi di migranti (S.O.S, 1998), così come un tronco trafitto da motoseghe allude all’icona di sofferenza San Sebastiano(1992/2022).
«Si tratta di intuizioni folgoranti che il più delle volte nascono da una leggera modifica di un elemento dell’immagine per rivelarne gli strati più reconditi e suggerire nuove prospettive che riecheggiano il principio della fine, come una sorta di presagio quanto mai incombente, conclude Mariani».
Per lungo tempo ci siamo illusi che l’eden terrestre fosse eterno e abbiamo promosso stili di vita sempre più lussureggianti senza mai pensare che in seguito si potesse rivelare il rovescio inquietante della medaglia: «Cosa c’è dietro le patinate immagini di una natura rigogliosa, di città del benessere, di spiagge pulite e solitarie, di boschi rugiadosi, di personaggi in primo piano sorridenti e suadenti? Dietro ci sono montagne di rifiuti, città assalite dal cemento, mari di plastica e di carta, fiumi inquinati e fiumane di persone che vagano alla ricerca della terra promessa, valanghe di fango che trascinano con sé sono i più disperati, giovani con le braccia incrociate in attesa del Messia, sostiene la Esposito».
In un siffatto scenario, ciascuno dovrebbe sentirsi chiamando in causa e porsi la fatidica domanda: cosa ho fatto?
Anna Esposito
Anna Esposito (1935) vive e lavora a Roma. Fin dalla giovane età dimostra una spiccata attitudine al lavoro manuale e creativo, così, dopo il diploma magistrale, decide, nel 1958, di iscriversi all’Accademia di Belle Arti della capitale, in cui frequenta un corso di scultura, sotto la guida di Pericle Fazzini.
Si tratta di un’esperienza importante che segnerà la sua propensione futura al modo di concepire formalmente un’opera. Tuttavia, non riuscirà a portare a termine gli studi Accademici in quanto, nel 1968, risulterà vincitrice di un concorso per insegnante elementare.
Archiviata la parentesi scultorea, inizia a dedicarsi alla pittura e frequenta le gallerie di punta dell’ambiente romano dell’epoca, divenendo nel giro di breve tempo una delle artiste maggiormente apprezzate dalla critica e dal pubblico. Durante gli anni Settanta espone in numerose mostre personali e collettive, in istituzioni pubbliche e private. Nel 1978 prende parte alla mostra Materializzazione del linguaggio, a cura di Mirella Bentivoglio, organizzata in occasione della Biennale di Venezia.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta le sue opere figurano in gallerie nazionali (Spazio Alternativo, Roma, 1979-1980; Galleria Unde, Torino 1980; Galleria NSM, Milano, 1983) e internazionali (Galleria Drehscheibe, Basilea, 1981) e partecipa a quattro edizioni consecutive della fiera Art Basel a Basilea (Galleria Artivisive, Roma, 1979-1980-1981-1982). Nel 1979 è presente nella mostra collettiva From Page to Space – Women in the Italian Avant-garde between Language and Image, a cura di Mirella Bentivoglio, alla Columbia University di New York, mentre nel 1981 viene inserita, sempre da Bentivoglio, nella rassegna O quadrato do dizer/The Square of Saying, realizzata nell’ambito della XVI Biennale di São Paulo in Brasile.
Nel decennio successivo tiene una serie di importanti mostre personali curate dai principali esponenti della critica italiana dell’epoca, come Enrico Crispolti (Galleria Sala 1, Roma, 1985) e Palma Bucarelli (Galleria Banchi Nuovi, Roma, 1987-1991). Sue opere sono incluse nella XI Quadriennale di Roma (1986) e alla Biennale Internazionale del Mare di Napoli, curata da Marcello Venturoli (1988), e in numerose altre rassegne collettive, tra cui si segnalano quelle curate da Mirella Bentivoglio (Gubbio, 1988; Senigallia, 1989; Cagliari, 1990; Riolo Terme, 1991; New York, 1993; São Paulo, 1994) e Achille Bonito Oliva (Erice; Roma, 1995). Espone trentatré opere nella antologica Apparenze. 1970-1998, che apre al pubblico nel mese di dicembre del 1998 nella Sala Esposizioni del Comune di Marino (RM). La mostra, ampliata con la produzione dei primi anni Duemila, viene riproposta nel 2006 al Palazzo Comunale di Serra de’ Conti (AN). Sue opere figurano in diverse collettive volte a storicizzare la produzione artistica a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, come Post-scriptum – Artiste in Italia tra linguaggio e immagine negli anni ’60 e ’70, a cura di Mirella Bentivoglio, al Palazzo Massari di Ferrara nel 1998 e Le immagini affamate. Donne e cibo nell’arte al Museo Archeologico Regionale di Aosta nel 2005.
Tra le mostre realizzate dal 2010 ad oggi, si segnalano le antologiche L’apparenza inganna, a cura di Eva Clausen e Maria Chiara Salmeri, nel Foyer Sinopoli dell’Auditorium del Parco della Musica di Roma nel 2010 (accompagnata dalla monografia ed. De Luca), Per interposte immagini, a cura di Elio Pecora, al Palazzo Flangini di Venezia nel 2016 e Questo nostro mondo, a cura di C. Bujin, alla Alson Gallery di Milano. Sue opere sono state inoltre inserite in diverse ricognizioni dedicate alle artiste operanti tra gli anni Sessanta e Settanta, tra cui La donazione Bentivoglio, a cura di Daniela Ferrari, al MART - Museo di arte contemporanea di Trento e Rovereto a Rovereto (2011), Soggetto Imprevisto. 1978 arte e femminismo in Italia al FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano (2019), a cura di Marco Scotini e Raffaella Perna, e Histoire d’E part 1 – Between language and image, a cura di Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, allo Spazio Lettera E di Roma e alla Galleria Gramma Epsilon di Atene (2021). Di recente è stata inclusa anche nelle rassegne L’arte e la città, a cura di S. Pezzato al Centro Pecci di Prato (2021) e The poetry of translation, a cura di J. Waldmann, al Kunst Meran Merano Arte di Merano (2021).