Anna Rose – Homo Bulla
La Fondazione Sensus ospita una grande installazione di Anna Rose.
Comunicato stampa
La Fondazione Sensus ospita una grande installazione di Anna Rose. L'artista ha realizzato 13 sfere di diametri diversi, da una piccola quanto una palla da tennis fino alla più grande che misura cm 180 di circonferenza.
Nel suo insieme l'installazione forma un paesaggio da interni con sentieri variabili e percorribili a seconda di come i visitatori, che sono invitati a toccar le sue componenti (seppure con cautela), ne modificano la disposizione iniziale.
Similmente ad un paesaggio labirintico ci si può nascondere e riapparire ed esperire la materialità di cui è composto ed essere pervasi dal suo essere.
Esternamente queste sculture non danno indicazione di se stesse e non comunicano il loro peso e la loro consistenza; anche toccandole, essendo sfere, si spostano con facilità e non lasciano scoprire eventuali pesantezze o leggerezze... se ne riceve una sensazione di mistero e forse di spaesamento.
Questo essere delle sfere rimanda al titolo che fa riferimento ad una frase di Marco Terenzio Vallo: “Homo bulla est”, che indipendentemente dalla sua sostanza, l'uomo è condannato ad una vita fugace ed illusoria come quella di una bolla di sapone.
La fragilità della bolla è una componente che ricorre nelle “Vanitas” olandesi del XVII secolo come lo sono la bellezza in genere e in particolare quella femminile rappresentata spesso attraverso la capigliatura.
Il materiale che ricopre le palle o di cui sono fatte, questo non è dato saperlo a meno che uno lo sappia, sono capelli, veri o sintetici che siano, non è importante.
Gli elementi prevalenti della poetica di Anna Rose sono dunque questi: il paesaggio e i capelli, con le loro implicazioni simboliche, culturali, autoreferenziali ed immaginifiche.
Anche l'occultamento, il camuffare e la dispersione sono chiavi per interpretare il suo lavoro.
Nei paesaggi scelti per contenere le sue opere di scultura organica, la natura ha sempre il sopravvento sull'immagine che viene inserita.
Sempre il soggetto è un autoritratto negato.
L'artista compare nascosta (o scompare), camuffata da grandi apparati di capelli, di lane e di cordami. Di lei si vedono soltanto una gambina, un piede, a volte le braccia come nella kore greca di cui assume la fisionomia a colonna, sempre le capigliature scultura riducono la fisicità fino a farla scomparire.
Un appeal glaciale.
I paesaggi sono disadorni, con campi di graminacee, con detriti abbandonati, boschi tagliati, ma quasi sempre con la presenza dell'acqua, in una foto dove l'acqua non è presente, a compensarne l'assenza, è all'interno di una vasca da bagno consunta ed arrugginita. L'acqua rappresenta un elemento di salvazione e rinascita. In Homo bulla l'atmosfera può essere quella immobile di un paesaggio subacqueo di un lago o di uno stagno dove lo spettatore si muove sul fondo, senza peso.
L'artista è presente come elemento accessorio del paesaggio e non da protagonista, anche se lo diviene in un secondo momento di osservazione.
Le capigliature, come un nido, proteggono e si costituiscono come una casa nella quale si possa abitare e dormire, ma anche isolarsi e riflettere sulla singolarità del proprio aspetto.
Una testa con gambe o piedi simile ai grilli medioevali dalle capacità portentose.
Per tornare alla installazione denominata “Homo bulla” non stupisca che la poetica dell'artista l'abbia portata ad unire paesaggio, autoritratto e scultura, insieme a componenti non rappresentabili ma presenti, come la solitudine, il silenzio ed anche un bisogno di affettività allontanato da se stessa e trasformato nella possibilità di toccare le sculture che altro non sono, secondo me, che un nuovo autoritratto in un paesaggio.