Anselm Kiefer / Emilio Vedova
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova presenta, in contemporanea, due straordinarie e singolari mostre curate da Germano Celant. Salt of the Earth di Anselm Kiefer, uno dei più importanti artisti contemporanei, che ha realizzato un’installazione espressamente per il Magazzino del Sale, lo spazio restaurato da Renzo Piano per la Fondazione. Nell’ex Studio di Emilio Vedova sarà invece presentato …in continuum, l’imponente ciclo costituito da 108 tele, la maggior parte in bianco e nero, realizzate nel 1987/1988.
Comunicato stampa
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova dal 1° giugno al 30 novembre presenta, in contemporanea, due straordinarie e singolari mostre curate da Germano Celant. Salt of the Earth di Anselm Kiefer, uno dei più importanti artisti contemporanei, che ha realizzato un’installazione espressamente per il Magazzino del Sale, lo spazio restaurato da Renzo Piano per la Fondazione. Nell’ex Studio di Emilio Vedova sarà invece presentato …in continuum, l’imponente ciclo costituito da 108 tele, la maggior parte in bianco e nero, realizzate nel 1987/1988. Con queste due nuove esposizioni la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova prosegue il suo percorso di dialogo in parallelo, iniziato lo scorso anno con “Louise Bourgeois: the Fabric Works” ed “Emilio Vedova Scultore”, tra l’opera dell’artista veneziano e quella dei maggiori protagonisti dell’arte contemporanea.
Da cosa nasce la scelta di mettere in contatto due mondi apparentemente lontani, seppur in qualche modo tra loro comunicanti? Qual è stata la logica di intrecciare, seppur metaforicamente, le loro rispettive scritture? Innanzitutto entrambi gli artisti hanno spinto l’arte verso un territorio di purificazione: Vedova cercando di rigenerare un segno o un gesto che rimaneva però sempre uno “spurgo” di vita e Kiefer aspirando a trovare un punto zero, seppur tragico e orrendo, da cui partire per “purgare” la sua palette. Seppur collocate in due ambienti diversi e indipendenti, Kiefer nel Magazzino del Sale e Vedova nel suo studio alle Zattere, le loro ricerche indicano comunque l’intenzione di mettere in crisi le forme codificate: un’iconoclastia tesa alla speranza di trovare una condizione primaria della pittura: un doppio pellegrinaggio, fisico e mentale, che tende al recupero di una forza e di un’energia nuove.
Il titolo dell'esposizione “Salt of the Earth” di Anselm Kiefer fa riferimento all'interesse dell'artista per il processo alchemico, in cui il sale è una componente. Secondo Kiefer, per risvegliarsi dal suo passato e per trovare una nuova dimensione spirituale, l'essere umano deve attraversare diversi stadi di mutazione e l'arte è lo strumento per facilitare questo trapasso e questa rinascita verso una nuova conoscenza del mondo. Per tale ragione l'artista fa ricorso, nei suoi dipinti e nelle sculture, a materiali e procedimenti simbolici come il piombo e l'elettrolisi, l'oro e lo stesso sale. Al tempo stesso la vetrina che all’entrata accoglie il pubblico contiene una stufa o un forno, mezzo di trasmutazione e sublimazione della materia, ma anche immagine di una tragica dissoluzione, quella dei forni crematori, da Auschwitz a Dachau. La polarità tra sublimazione e dissoluzione trova un suo punto di equilibrio in un altro elemento dell’intervento di Kiefer al Magazzino del Sale, un insieme spaziale e architettonico, “Das Salz der Erde” (2011), che consiste in una struttura al cui interno pendono fotografie di paesaggi su lastre di piombo sottoposte ad un processo di elettrolisi, che le ha coperte di una patina verde: un colore che sottende la speranza e annuncia l’unione degli opposti. Lo spazio del Magazzino sarà simbolicamente chiuso dall’immagine del triangolo iniziatico che sovrasta il grande quadro “Salz, Merkur, Sulfur” (2011). L'installazione oltre a trovare eco in questo storico contenitore architettonico, è un riflettere sui luoghi attraversati, pieni delle stesse memorie ed esperienze saline e mutanti, quanto costituisce un’ulteriore metafora dell’arte come continua forza attiva, un passo verso le possibili costellazioni del conoscere se stessi.
108 grandi tele di Emilio Vedova formano "... in continuum" (1987/1988), un'opera corale, imponente e drammatica, concepita per esprimere in un’estrema tensione espressiva una visione poetica frammentata, sincopata e transitoria. Attaverso una sovrapposizione anche casuale dei dipinti, che ne costituiscono il pensiero portante, “... in continuum” è una sorta di accumulo "senza inizio e senza fine": l`occasionalità dei contatti e le infinite possibili combinazioni costringono lo sguardo a un incessante movimento per cogliere quell'inesauribile energia. Una stratificazione spettacolare e straordinaria che l'artista ha prodotto nell'arco di un anno. Bianco su nero e nero su bianco “...in continuum” è un muro di partiture che si fondono e si confondono a formare un concerto dove, invece dei suoni “visivi”, le immagini si intrecciano le une con le altre e strutturano insiemi sempre diversi. Nello Studio dell'artista, dove i piani pittorici delle grandi tele ricomposte entrano l'uno nell'altro, occultandosi ed esaltandosi, si crea una profondità infinita ed aleatoria, una materializzazione della forza pittorica del proprio mondo interiore. Nell'antico squero che l’artista aveva scelto per il proprio lavoro, il bianco e il nero ininterrottamente mutevoli di "... in continuum" richiamano da un lato la mobilità dell'acqua su cui Venezia stessa vive e si rispecchia, dall'altro restituiscono in una drammatica tensione residui arcaici, immagini infrante, sedimenti profondi.
"... Acqua/plasma - mobilità ambigua - Flusso... continuo..." - "Specchi... echi infiniti, rimandi visivi, memorie, vertigini precipiziali", come Vedova stesso scrive.