Antonello Fresu – Der Körper
Si inaugura nella Sala dei Cervi di Palazzo dei Pio a Carpi
“Der Körper”, il nuovo progetto artistico di Antonello Fresu. Opere di grande formato, videoinstallazioni e immagini delle cartelle cliniche di Adolf Hitler: un viaggio nella inquietante umanità del “corpo” del Male.
Comunicato stampa
Der Körper è un progetto artistico di Antonello Fresu ospitato nelle splendide sale affrescate dello storico Palazzo dei Pio di Carpi, nell’ambito delle iniziative promosse dalla Fondazione Campo Fossoli in occasione del “Giorno della Memoria”.
Der Körper, che sarà inaugurata sabato 26 gennaio alle ore 17.00, è una mostra di arte contemporanea che si declina come un viaggio nella concreta umanità di un corpo – quello di Adolf Hitler – e della sua ordinaria fisiologia, in contrasto con l’illusoria grandiosità e perfezione del mito del superuomo e della volontà di potenza della cultura nazista.
Il racconto dell’’interno’ del corpo del dittatore viene accompagnato da videoproiezioni di immagini della propaganda nazista che, attraverso l’utilizzo di filmati, manifesti e altri documenti, ripercorre l’’esterno’ dell’immagine pubblica del Führer, ma anche le architetture ideali del regime, da quelle degli edifici e delle parate, a quelle del perfetto corpo ariano, fino alle improbabili architetture del DNA dell’eugenetica nazista.
In contrasto con queste, le crude e scarne immagini del corpo del dittatore si affermano al di là di qualunque inganno retorico.
La mostra trae spunto dal ritrovamento di un dossier clinico su Hitler, redatto dall’esercito americano nel 1945 sulla base dei vari referti originali forniti da alcuni dei medici di Hitler e, in particolare, dal suo medico personale Theodor Morell.
L’esposizione è costituita da una serie di lavori – installazioni, grandi opere a parete, carte di piccolo formato, video, stampe, etc. – che nascono dall’utilizzo poetico di materiali e documenti del dossier, secondo i canoni e linguaggi dell’arte visiva contemporanea.
Il nucleo centrale della mostra è rappresentato da una teoria di imponenti riproduzioni, alte 3 metri e retroilluminate, delle radiografie originali del cranio di Hitler e delle loro immagini ‘a contatto’ (ottenute dall’Intelligence americana attraverso primitivi fotocopiatori) che diventano, inaspettatamente, impressionanti opere grafiche in bianco e nero.
Da qui il viaggio dentro il corpo prosegue con una serie di opere installative che utilizzano di volta in volta altri elementi di quelle stesse cartelle, compresa la descrizione clinica generale del paziente – identificato con la sola lettera iniziale “A” – e i report sintetici dei vari apparati, esposti accanto a quelli, rivisitati, redatti espressamente per questa mostra da medici specialisti di oggi sulla base dei materiali di archivio, ma con le conoscenze contemporanee.
Il percorso espositivo si conclude con l’opera site-specific dedicata interamente al cuore del dittatore: un elettrocardiografo d’epoca stampa le immagini grafiche dei tracciati originali del cuore di Hitler, mentre nell’aria riecheggia il suono del battito del suo cuore ricostruito oggi, grazie all’ausilio di medici cardiologi, a partire degli elettrocardiogrammi originali.
≪Nella mostra – scrive sul catalogo il teologo Giuseppe Dossetti jr. – si cerca di restituire vita a quel corpo, ricostruendo i battiti del suo cuore. È come se si dicesse che Hitler continua a vivere o, meglio, continua a vivere il male che ha trovato in lui così terribile manifestazione. Viene in mente l’ultima pagina del romanzo di Camus: il batterio della peste è nascosto negli anfratti della città, per ricomparire a suo tempo.≫
Infatti, cosa significa esporre in una mostra il corpo di Hitler?
È una riflessione, in fondo, sulle origini del male. O su quella che Anna Harendt definì la banalità del male. Quella malvagità e ferocia riconosciute a posteriori in persone normali, individui dominati da un soggetto storico mostruoso, quasi uno spirito dei tempi, capace di penetrare nei singoli individui fino a trasformarli a loro volta in mostri.
Der Körper rappresenta una sorta di “ostensione” in cui si incrociano significati opposti. Essa pone il quesito sulla natura del nostro essere umani. In che modo un corpo, uguale a quello di un qualunque altro essere umano, diventa il corpo aberrante di un “mostro”, una mostruosità per la quale non c’è assoluzione? È il tragico destino di chi, comunque, resta. E noi stessi restiamo, in quanto uomini, padroni e responsabili delle nostre scelte. Per questo è importante sapere che da questo male, da questo mostro, nessuno è immune. Quello scheletro, infatti, è anche sotto la nostra pelle.
Ed è uno scheletro fragile, come fragile è anche il concetto di umanità che evochiamo come qualità sempre positiva. L’umanità che siamo facilmente si abbandona alla disumanizzazione di sé stessi e dell’altro.
≪La mostra – scrive lo psicanalista Stefano Carta – denuda il corpo di Hitler e ci domanda: come guarderete questo corpo? Nell’angoscia, nel disprezzo, nello sgomento che proviamo per il Re nazista perverso lo approcceremo vendicativamente, lo tratteremo come una macchina assurda e insensata, pensando: non era umano; non merita nessuna compassione. Oppure coglieremo in questa sua estrema povertà, in ciò che di questo corpo ridotto a simulacro rimane, una sfida per la quale potremmo finanche intravedere una somiglianza tra il nostro corpo e quello di Hitler? Tra la sua e la nostra fragilità? Tra la nostra identificazione nel Bene e la sua nel Male?
Solo se sapremo anche commuoverci dinanzi alla povera cosa che questo corpo sembra essere, ne ritroveremo il suo valore umano e riconosceremo nei suoi echi un nostro simile e non un essere nella sua malvagità a noi alieno. Altrimenti, nel ribadire la nostra ovvia condanna, il nostro incessante sgomento dinanzi alla sua immagine spaventosamente malvagia, e trattando le tracce di quel che resta del corpo come un residuo di un’alienità inumana, rischieremo a quel punto di assomigliargli, ma in negativo.
Solo potendo riconoscere nel corpo perduto di Hitler le tracce del nostro stesso corpo potremo evitare il rischio di somigliargli in qualche modo in quanto deanimanti distruttori di un nuovo nemico.≫
≪Si dice che, poco prima di morire, – scrive il filosofo Marco Senaldi, sempre sul catalogo – Hitler abbia affermato che “bisogna eliminare l'ebreo che è in noi”. Un'affermazione ambigua e inquietante, che nasce dal desiderio della cancellazione dell'ultima traccia di altruismo all'interno del soggetto “superiore” stesso, la distruzione dell'umano all'interno del superuomo.≫
≪La mostra – prosegue Senaldi – fornisce una possibile risposta alla sconcertante affermazione di Hitler: ciò da cui egli avrebbe voluto liberarsi, senza per questo riuscirci, era proprio ciò che le sue radiografie ci permettono invece di vedere: il suo scheletro, il suo teschio, i suoi organi interni, così miseramente identici a quelli di chiunque. D'altra parte, queste immagini ricordano a tutti noi che liberarsi dal fantasma di Hitler ci è altrettanto impossibile che per lui liberarsi dal fantasma dell'ebreo interiore: lo spettro di questo “Hitler interiore” è dentro di noi come le nostre ossa e i nostri organi interni, ci appartiene più di quanto noi stessi non ci apparteniamo e incarna quel fantasma del Male da cui, anche nei nostri sogni più radiosi, continuiamo a essere ossessionati.≫
≪Il corpo di Hitler – scrive infine il critico d’arte Valerio Dehò – tace nella sua nudità. In questo caso la traduzione del silenzio è affidata alla creatività artistica che si innesta e interpreta il corpo, e compie una vera e propria operazione di ostensione, notoriamente riferita a santi, nella nostra tradizione. Ma il corpo dov’è? Gina Pane, artista della Body art negli anni Settanta, ha dedicato gli ultimi anni della sua vita al corpo dei santi, alle loro impronte sui materiali nobili e simbolici della loro vita come il rame o il piombo. Il corpo lascia tracce, impressioni, polveri. Il corpo di Hitler distrutto rivive dentro un’operazione artistica, in cui la storia si confonde con la ricerca di un’impossibile verità.≫
Der Körper, oltre alla sezione principale esposta nelle Sale dei Cervi, dedica una sezione separata, curata da Giovanni Campus e visitabile nella vicina Sala Cabassi del Palazzo dei Pio, a opere video, grafiche e fotografiche sull’immaginario idealizzato delle architetture naziste, da quelle illusoriamente grandiose delle parate fino a quella del corpo e dell’eugenetica delle cliniche di Lebensborn.
La mostra Der Körper di Antonello Fresu è un progetto voluto dalla Fondazione Campo Fossoli di Carpi, e realizzato con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e l’organizzazione dell’Associazione culturale tramedarte.
Der Körper è a cura di Giannella Demuro ed è accompagnata da un catalogo con apparato iconografico e testi di Marco Belpoliti, Stefano Carta, Giuseppe Dossetti jr., Simona Forti, Fabio Levi, Marco Senaldi, Valerio Dehò.
I documenti della mostra sono stati messi a disposizione da The National Archives, Londra (UK) e Woodson Research Center, Fondren Library, Rice University, Houston (USA).
ANTONELLO FRESU, psichiatra e psicanalista, inizia ad esporre prendendo parte alle mostre e rassegne del PAV, il Progetto Arti Visive di Time in Jazz, a partire dal 2004, con opere video, fotografie, installazioni, performance e progetti multimediali, firmando le opere con lo pseudonimo Nero Project. Pur avendo sviluppato un percorso di ricerca fortemente connotato, riconducibile al recente scenario visivo contemporaneo, Antonello Fresu percepisce il proprio fare artistico come processo collettivo e non è raro, pertanto, nel suo lavoro, imbattersi in opere corali, dominate da una pluralità di voci e di presenze. Nel 2012 tiene la sua prima mostra personale, Offrimi il cuore, imponente progetto multimediale in cui convivono arte visiva, musica, video e performance, presentato in anteprima a Roma all’Auditorium Parco della Musica, poi a Ginevra e Losanna in Svizzera; a Bruxelles, Gent e Anversa in Belgio; in Italia a Milano, Pavullo nel Frignano e Roma.
La grande mostra Novecento, presentata al pubblico nel 2014 ad Oristano e poi esposta a Cagliari, Sassari e Carpi, è un progetto che ha preso l’avvio con una ricerca di materiali fotografici e documenti storici sui grandi eventi militari del secolo scorso, una riflessione sulle guerre, sull’Uomo e sulla Storia.
Nel 2016 presenta al pubblico il progetto Ri-trascrizioni: una serie di installazioni/performances site-specific in cui il pubblico è invitato a trascrivere a mano, fedelmente ed integralmente, su un libro bianco, i diversi paragrafi di un libro stampato. L’opera finale è un nuovo libro, scritto a mano, dai tanti partecipanti che si sono alternati alla scrivania fino al completamento della ricopiatura del libro originale. Il progetto è attualmente in corso a Alghero, Macomer, Milano, Oristano, Pavia, Sassari, Roma, Torino.