Antonia Fontana – Nomade liquido
Sono eteree architetture, sculture bidimensionali, che attendono impazienti il momento di agire, stendersi, nuotare, correre; la performance dell’artista provoca lo spostamento liquido del colore e trasmette le oscillazioni nella superficie.
Comunicato stampa
Spinti dai pensieri, contemplando le opere di Antonia Fontana, ci si domanda, come le sue mani o con quale incanto queste, sono capaci di controllare la natura, ma, dando poi una veste naturale, sfidando e/o dando verso, alla gravità, o favorendo l’inclinazione dopo l’orizzontalità, per così darsi poi nuove forme, esplorando nuovi spazi, e apparire poi in aspetti che conosciamo forse nell'immaginario del vissuto recondito, simili ma non uguali, o che, si riconoscono, ma non sappiamo dove o quando, questa è come una metamorfosi nel momento della sua auto creazione, è forse la metafora della vita, avvolta in questo invisibile contenitore senza margini delle nostre esperienze. Il gesto esprime il significato, così l’azione nello scorrere del colore, acquista una sua dinamica scivolando sull'area vergine e bianca del supporto, e come da una danza liquida, il soggetto prende la sua forma. Sono eteree architetture, sculture bidimensionali, che attendono impazienti il momento di agire, stendersi, nuotare, correre; la performance dell’artista provoca lo spostamento liquido del colore e trasmette le oscillazioni nella superficie. “Contenitori come portatori di esperienze, in cui l’essenziale comporta il taglio dell’inutile” A. Fontana. Come una allegoria, l’oggetto, il luogo, paesaggio, organismo dell’uomo contemporaneo che l’attualità , di conseguenza, rende disposto a sradicarsi per aggiungersi altrove in una sorta di continuo nomadismo, fenomeno migratorio di un processo che vede una geografia attraversata da una mente collettiva.
Un’altra opera, e’ anche questa come tutte, avvolta nella magia creata dal pensiero o dalla mente, il trasporto interno a noi, dell’idea di un oggetto vissuto, forse calpestato o ammirato, o anche ignorato, e che adesso non c’è, ma lo vediamo o si pensa di vederlo, nascosto in un’altra veste. In queste azioni u opzioni ci si avvicina ai termini “generare”, ma anche a quello aggettivato “meraviglia” e così a definizioni di grandi che con dovuta modestia posso citare: Platone, Aristotele.
«chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.[10] »
R.D