Antonio Gualtieri Paternò – Io vidi cose
La personale di Antonio Gualtieri Paternò si offre come un viaggio, e come ogni viaggio che si rispetti, avrà guide e mentori pronti a sostenerci nel caso smarrissimo il filo di Arianna del nostro personale labirinto.
Comunicato stampa
Per "stabilizzare" un'immagine interiore è necessario attivare i canali di scarico dei pensieri inattesi.
Nel “Manifesto estetico dell'impercepibile” Emilio Fantin suggerisce la disposizione di chi si accinge alla visione di un’immagine che viva al di là della luce fisica. Si tratta di un’immagine pronta a sporcarsi con i segni della memoria che permangono e affiorano con prepotenza, interferenze che corrompono la purezza del paesaggio interiore. La personale di Antonio Gualtieri Paternò si offre come un viaggio, e come ogni viaggio che si rispetti, avrà guide e mentori pronti a sostenerci nel caso smarrissimo il filo di Arianna del nostro personale labirinto.
Le pietre miliari del percorso espositivo saranno le tele su cui la pittura decide di manifestarsi o meno: sta a noi percepire l’impercepibile o “pensare al non vedere” (J. Derrida), cercando di negoziare una posizione al di là o al di qua dell’opera, per coglierne il significato nella sua tautologia o racimolarlo nel piano ulteriore del senso, oltre l’immediato visibile. Nel nostro percorso - in un paesaggio ridotto ai minimi termini - potremmo percepire la vertigine dell'Arte che è quella di donarci un'immagine e mistificarla al contempo, costringendoci a ripensare di nuovo una forma, sensibile al soffio e alle carezze dell'altro.
E così perdere le coordinate di noi stessi per ritrovarci nuovi, nei fremiti del nostro essere e nelle posizioni aperte che l’Arte sempre ci invita a occupare: non al di qua o al di là, ma nel suo centro.
Martina Lolli