Antonio Mascia
Il mondo di Mascia è fantastico e favolistico: dipinge animali proteiformi e “grilli” dai nomi improbabili, senza la pretesa di catalogarli come appartenenti all’imperatore o come liberi da tale vincolo.
Comunicato stampa
Mercoledì 5 dicembre, alle ore 18.30, nel foyer del Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”, avrà luogo l’inaugurazione della mostra di Antonio Mascia, con dieci opere realizzate appositamente per questo appuntamento e progettate per l’atrio neoclassico che le ospita.
Il mondo di Mascia è fantastico e favolistico: dipinge animali proteiformi e “grilli” dai nomi improbabili, senza la pretesa di catalogarli come appartenenti all’imperatore o come liberi da tale vincolo. Egli non dipinge con tocco delicato e leggero, non usa l’acquerello o la matita stratificata: il suo strumento ideale è la penna blu o rossa e, quindi, il segno o l’intreccio di segni, è la sua più autentica modalità espressiva e la carta (abitualmente di piccolo formato) è il suo supporto canonico.
Le sue opere hanno radici innestate nella mitologia, nell’epica guerriera, sconfinando nel fumetto e nella trilogia cinematografica del “Signore degli anelli”. La stretta e particolarissima adesione a una cromia severa, dove spesso il bianco della carta domina o dove un colore riesce, talvolta, a dominare su tutto il fondo, è segnata da uno stile statico, severo, raffinato; un’arte del tempo ormai perduto pervade questi disegni di una libertà capace d’offrirsi a innumerevoli indirizzi. La poesia avanza non tanto da immagini precostituite, quanto dalla necessità di rievocare una “nominazione” che non c’è o che non è mai esistita. Assistiamo così alla nascita di personaggi animati dai nomi più improbabili, come “Paleognao”, “Oceanozonte”, “Centaurione sul Carso”, nomi che si pongono in una cornice che svela situazioni assemblate in vista di un doppio senso, capace di confondere con una sonorità inusitata l’ordine costituito, fino a suggerire nuovi mondi e nuovi abitanti che in essi vi abitano. La dimensione dell’opera è spesso contenuta nelle dimensioni di una cartolina, cioè il 12 x 18 cm è la sua campitura più usata: una dimensione da scrittoio, quindi da amanuense o da antico scrivano, sottintende tutto questo lavoro.
La semplicità e la forza statica si tramutano così in un realismo dagli effetti magici e sognanti, ovvero supernaturalismo sostenuto dalla perizia tecnica di disegno e tono locale unito a strati maniacali realizzati solo con la punta della penna a sfera. Come dice l’autore: “La linea è quella che traccio con la penna sul foglio o con la punta metallica sulla lastra di rame, perché il disegno e la sua specularità nel linguaggio calcografico, è in filigrana lo strumento di un’immaginazione quasi chimerica. Mi permette di esplorare borgesianamente quella mia parte misteriosa, ma anche di rendere partecipi gli altri e coinvolgerli in un aspetto non marginale della vita, quello di costruire una società più serena, più consapevole e magari meno consumistica. Se si riesce a far sognare veramente a occhi aperti, a meravigliarsi e a far giocare piccoli e grandi... allora la lunga linea grigia diventa quella blu della narrazione”.
L’evento, curato da Roberto Vidali, e presentato da Alessandra Vicari, è stato realizzato dall’Associazione Juliet. In collaborazione con Sara residence. Nella serata inaugurale il rinfresco sarà offerto da Caffè Teatro Verdi.