Antonio Riello
Rendere familiare (heimlich) quello che non lo è (un-heimlich), aprire delle falle nelle certezze di tutti i giorni, nelle buone abitudini, far diventare gli oggetti più banali delle icone estetiche.
Comunicato stampa
Rendere familiare (heimlich) quello che non lo è (un-heimlich), aprire delle falle nelle certezze di tutti i giorni, nelle buone abitudini, far diventare gli oggetti più banali delle icone estetiche. Tutto il lavoro di Riello da 30 a questa parte, opera nella solitudine di un’intelligenza che vuol far capire al pubblico di prendere l’arte con la serietà giusta: cioè con l’ironia. Ma un’ironia che sa operare nel profondo delle abitudini, negli spaesamenti determinati da considerare la realtà da un altro punto di vista e ci spinga a vederla in un’altra luce. Tra gli artisti che lo hanno preceduto Aldo Mondino è un nome che viene spontaneo, ma anche l’austriaco Erwin Wurm o il tedesco Martin Kippenberger, che sono più vicini a Riello a livello generazionale. Una poetica artistica in cui si può essere trasgressivi e provocatori, pur mantenendo
le lady’s weapon (le vere armi decorate con lustrini e paiette), i tarokki delle griffe rivisitate, il videogame con il respingimento degli albanesi (Italiani brava gente, 1997) nel Canale d’Otranto, le ceneri dei libri in ampolle meravigliose di vetro come reliquie personali di un falò culturale, sono episodi con tanti altri, di un modo di intendere l’arte come opera aperta sulla società. Ma anche c’è in Riello il gusto dell’arguzia, del mot d’esprit, di uno spaesamento (detournement), di quel gusto britannico del wit cui deriva il witticism, letteralmente “beffa”, “motto di spirito”, “battuta spiritosa”. Del resto da anni vive a Londra e in Gran Bretagna espone in gallerie private e spazi pubblici dagli anni novanta.
In ogni caso Antonio Riello non forza mai i concetti, da sempre una forte impronta visiva ai suoi lavori. Ne sono un esempio gli Ex-voto, gli aerei o missili, anche di grandi dimensioni, che sono decorati come fossero i soffitti delle grandi chiese venete e veneziane. L’arte “celeste” della famiglia Tiepolo, i cieli rotondi e meravigliosi, vengono trasferiti su dei veicoli che attraversano i cieli e lo spazio. Così gli ex-voto che sono dedicati appunto ai santi, giungono più velocemente nell’empireo divino in cui questi albergano assieme a Dio e la santa trinità.
E le sue opere più recenti continuano questo procedere tra ordinario e meraviglioso, creando nuove iconologie, ridando significato a ciò che lo ha perduto, soffocato dalla routine, dalla eccessiva familiarità. I suoi zerbini, gli stuoini di cocco che sono per definizione materiali calpestabili, perdono le loro caratteristiche di accoglienza e di buonismo nostrano. Al posto del “micio” simpatico e paffutello, si può trovare l’icona di una cacca che è una memoria manzoniana ( di Piero e non certo Alessandro). Al posto del saluto più banale ( “Ciao”, “Benvenuto”, etc.) si incontra una palma che ricorda uno dei simboli del grande Mario Schifano oppure dei segni che rappresentano le terre rare (in inglese "rare earth elements" o "rare earth metals") che sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica ideata dal chimico russo Dmitrij Mendeleev nel 1869. Anche questo è un-heimlich, attesa panica del diverso, perturbamento dell’ordine delle cose. Trovare intessuto in uno zerbino la grammatica della chimica universale, la simbologia delle sostanze che compongono l’universo, è un’esperienza estetica ma anche un invito ad allargare la nostra visione del mondo e a mettere insieme scienza e arte.