Antonio Zimarino – Pillow spill-over and lover

Informazioni Evento

Luogo
INANGOLO
Largo San Giovanni Battista 7 Penne, Penne, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

venerdì e sabato dalle 18.00 alle 20.00

Vernissage
24/09/2022

ore 18

Artisti
Antonio Zimarino
Generi
arte contemporanea, personale

Evidenti relazioni non dette di Antonio Zimarino.

Comunicato stampa

Michele Montanaro
Enzo Francesco Testa

PILLOW, SPILL-OVER AND LOVER a cura di Antonio Zimarino

vernissage sabato 24 settembre ore 18.00

Associazione Spazio Inangolo
con il Patrocinio del Comune di Penne
XVIII Giornata del Contemporaneo AMACI

INANGOLO
Largo San Giovanni Battista 1, Penne (PE)
Casa delle Arti e dei Mestieri

dal 24.09.2022 al 08.10.2022
venerdì e sabato dalle 18.00 alle 20.00

www.inangolo.it
[email protected]

Pillow, spill-over and lover: Evidenti relazioni non dette di Antonio Zimarino

Cosa può aggiungere un pensiero esterno ad un progetto lucido, meditato, analiticamente svolto e declinato da un artista?
Spiegare qualcosa di ulteriore delle volte può essere una operazione inutile rispetto ad una seria e meditata ricerca artistica che può essere capace da sé di generare suggestioni e impressioni precise: tuttavia il pensiero dell’Altro può portare ad una diversa “collocazione” di ciò che si vede e si legge, all’interno di un contesto di senso e significati diversi e più ampi. Più ampi non perché si “sa di più” dell’artista ma solo perché si sa “diversamente” da lui.
Ma leggere “cosa”? La “forma” ovviamente, anche se nei nostri tempi, non è affatto cosa scontata che questa operazione venga proposta: tendiamo piuttosto a fidarci di ciò che è già nell’evidenza di ciò che le opere sembrerebbero “dichiarare”, rinunciando così a leggere “diversamente” ovvero, rinunciando a generare un pensiero in grado di proporre una comprensione più ampia dell’opera. Se tutto in essa si riducesse a ciò che l’artista dichiara, non avremmo bisogno dell’arte e ci basterebbe la sola descrizione di “ciò che l’artista intendeva dire”. Così però l’arte resterebbe una “dichiarazione” che non richiede commenti, e punti di vista diversi. Invece le forme di Michele Montanaro e Enzo Francesco Testa suggeriscono che in un’opera ci può essere moltissimo che “manca”, che appare “sotto testo” rispetto all’evidenza dell’opera e quel molto, quelle assenze da colmare sono esattamente ciò che “chiama” la necessità del pensiero dell’Altro.
Oltre l’evidenza dell’immagine, che cosa potrebbe dirci il “pensare metaforicamente” sulla struttura estetico formale di ciò che vediamo in questa complessa “installazione” a due voci? L’oggetto - scultura centrale è costituito per generare mentalmente la fisicità di ciò che è assente, di ciò che evidentemente manca; l’impronta richiama una presenza che è stata e con essa, tutto l’universo simbolico e le storie possibili che si sono mosse dentro e attraverso un “corpo” di cui ora percepiamo solo la memoria impressa. Alle pareti, la fotografia, che solitamente dovrebbe fissare su due dimensioni una realtà, racconta e cerca di presentare un movimento realisticamente “impossibile” ovvero la distanza incerta tra corpo e impronta che potrebbe essere tanto un movimento di “separazione” che di “ricongiungimento”.
Entrambi i “media” artistici cercano quindi di conservare e mostrare ciò che non c’è e sembrano tra loro invertire i ruoli: la scultura diventa l’immagine quasi fotografica dell’assenza e la fotografia registra un processo mentale e dinamico della presenza: la scultura è l’evidenza della “perdita”, la fotografia è la suggestione imprecisa non solo di un distacco, ma potenzialmente anche di una “riconnessione”.
Arrestare l’istante, imprimerlo, conservarlo, rileggerlo, re – immaginarlo: nel sistema coordinato di rimandi
tra foto e scultura c’è una complessa narrazione di abbandoni, assenze e desideri. C’è il senso impreciso e ineluttabile che si da allo scorrere del tempo; c’è il desiderio di ricomporre, come quello di capire cosa si è perso e cosa si vuole ritrovare.
L’“impronta” è per altro un elemento che torna costantemente nel lavoro di Michele Montanaro: è la testimonianza di qualcosa che è stato reale e non lo sarà più, di una sensazione fisica non eliminabile di contatto profondo con la materia. L’impronta è il segno di una realtà e quindi, su questo ipotetico “cuscino”
l’impronta del corpo, del sonno e dell’abbraccio diventano l’evocazione indelebile di uno “stato” di tenerezza,
di incoscienza e inconscio, di oblio, di inconsapevolezza e di “abbandono”.
La fotografia di Francesco Testa sceglie di rappresentare l’indeterminazione di un distacco o di una riconnessione, suggerisce cosa è perduto e cosa può essere ritrovato: ma cosa? Un corpo vivo in movimento, che ha generato la sensazione la fisicità perduta e desiderata. Ma quale “corpo”? Perché è “femminile”? Ciò significa che il lavoro non è “autobiografico” ma profondamente metaforico: il “corpo femminile” è un universo simbolico antico e infinito quanto l’esistenza stessa. La Madre, L’Amante, La Terra, (e il colore del corpo è straordinariamente simile a quello della materia che lo ha accolto e ne ha conservato memoria) un nucleo di desideri, di certezze e incertezze affettive profonde, di accoglienza e protezione, ora assenti, ma che sono state “presenze” e che quindi diventano desideri di un ritorno.
Montanaro è attaccato al tempo, all’istante, al senso della transitorietà, a quelle verità o impressioni percepite che l’attimo non riesce a conservare nel suo fluire ma è proprio tale assenza che genera l’ansia e il
desiderio di ricordare e ritrovare ciò che è mancato; Testa evoca il processo avvenuto ed insieme, quello desiderato: la fotografia e la scultura diventano entrambe testo del “non dicibile” del non rappresentabile,
ovvero, di uno stato di sogni, memorie e possibilità perdute e da ritrovarsi.
E’ davvero questo che gli artisti volevano dire? Non so, probabilmente intendevano anche altro, ma certamente ciò che abbiamo detto si può credibilmente leggere nel sistema di relazioni che si costruisce in mostra: se l’opera si propone in tali forme e relazioni è inevitabile leggerla attraverso esse e attraverso ciò che sappiamo ipotizzare di esse. Stiamo costringendo a far dire all’opera ciò che non voleva? No. Leggiamo nell’opera ciò che può dire, oltre ciò che dichiara: del resto l’arte non funziona e ha ben poco senso come semplice “comunicazione” di pensiero, ma può avere il potere della “generazione” del pensiero nella sua interpretabilità, ogni qualvolta la si voglia davvero incontrare profondamente impegnando sensibilità e sapere.
Ma checché se ne voglia dire, non si può evitare questo “fatto visivo”: il centro di tutto, il sistema formale visivo e simbolico resta in quel corpo femminile, reale ed evocato, che è stato e non è, quel simbolo ancestrale di dormiente senza volto che era nell’inconsapevolezza del sonno, un tutt’uno con la materia e che poi la consapevolezza del reale ha separato ma che la materia ricorda e il sogno ancora desidera.

SPAZIO INANGOLO

Il progetto Inangolo prende vita alla fine del 2012, dalla passione di tre amici, Francesco Di Bernardo, Alessandro Rietti e Francesco Toppeta che hanno in comune l’amore per le arti applicate e la voglia di dar vita
ad una realtà dinamica, vitale e ricca di idee. In un contemporaneo oramai del tutto virtuale, dove si è perso il valore del rapporto, dello scambio e del confronto, incontrarsi realmente sembra un’opportunità per pochi e l’operosità condivisa diventa virtù di nicchia. Riteniamo che l’arte, in particolar modo quella contemporanea, abbia la necessità di trovare nuovi luoghi, al di fuori dei circuiti tradizionali, Inangolo è un’idea di spazio aperto a tutti, punto di incontro per gli esperti del settore, per gli appassionati e per tutti coloro che avranno voglia di ritrovarsi in un luogo polivalente in cui la cultura, la creatività, l’espressione, le tendenze prenderanno vita e forma attraverso il fare arte. Spazio Inangolo vuole ricominciare da questo punto fondamentale per poter costruire nuove e significative attività, creando una piattaforma versatile fatta di incontri e scambi culturali. Nel
2020 Spazio Inangolo lascia la storica sede situata in Via Pultone per trasferirsi a Largo San Giovanni Battista
nell’ex Monastero dell’Ordine Gerosolimitano, struttura del 1523 che oggi ospita il polo di spazi culturali la Casa delle Arti e dei Mestieri. Uno piccolo spazio singolare ed accogliente, un punto di incontro per gli artisti che vorranno presentare progetti monotematici attinenti alla loro ricerca creativa. L’aggregazione culturale suscitata dall’evento ospitato da Spazio Inangolo si svolgerà en plein air coinvolgendo l’intero complesso della Casa delle Arti e dei Mestieri.