Arte del Novecento
Grandi protagonisti della scena artistica del secolo scorso in mostra a Belluno con le opere della Fondazione Cariverona e della Fondazione Domus. In omaggio alla città, anche un nucleo d’arte antica, con un inedito Sebastiano Ricci.
Comunicato stampa
E’ la qualità la caratteristica che accomuna le oltre 70 opere del Novecento italiano esposte a Belluno, a Palazzo Crepadona,
dal 24 luglio al 2 ottobre, dalle collezioni della Fondazione Cariverona e della Fondazione Domus.
Una qualità che rende la carrellata proposta di grandissima forza espositiva e d’assoluto valore culturale: uno spaccato di alcuni momenti salienti
dell’evoluzione del pensiero estetico del XX secolo in Italia, che raggiunge, con personalità straordinarie come
Balla, Boccioni, Casorati, Morandi, Vedova, Schifano, Birolli, Fontana, Cucchi e Manzù, una dimensione internazionale.
In questo contesto si colloca anche un omaggio a Belluno, voluto dal curatore dell’esposizione Sergio Marinelli, con due sale tematiche dedicate a temi
fortemente legati alla cultura delle Alpi e alla dimensione montana: la neve, ove spicca un poetico e giovanile Beppe Ciardi,
e i fiori soggetto insolito anche di un affascinante e inedito Afro Basaldella.
Infine - “a latere” del percorso espositivo ma altrettanto suggestivo - il richiamo alla grande tradizione passata dell’arte bellunese, con l’esposizione
di un bellissimo Sebastiano Ricci, da poco entrato a far parte della collezione della Fondazione Cariverona ed esposto al pubblico per la prima volta.
Il satiro e il contadino, questo è il titolo dell’opera, sarà affiancato nell’occasione ad uno strepitoso Paesaggio con pellegrino e lavandaie - in cui Magnasco e Peruzzini raggiungono uno dei massimi risultati in termini di interazione tra figure e paesaggio - a una tela di tema storico da poco ricondotta al pennello di Gerolamo Brusaferro e alla pianta prospettica della città di Belluno, opera di Domenico Falce.
Gli spunti di riflessione lungo il percorso novecentesco sono molteplici,
anche perché i lavori proposti rappresentano in molti casi il meglio della produzione dei relativi autori.
Si parte dunque con l’originalità e la forza di un Balla prefuturista (Alberi e siepe a Villa Borghese è stato rinvenuto solo in tempi recenti
e risulta databile intorno al 1905) e con tre eccellenti Boccioni, anch’essi prefuturisti. Tra questi ricordiamo lo splendido e luciferino Ritratto di Achille Tian e un fondamentale Ritratto femminile che il pubblico potrà ora ammirare a Belluno: irreperibile dal 1964 è alle sue prime presentazioni dopo il suo ingresso nella Fondazione Domus nel 2005. Connotato da un forte sperimentalismo, il dipinto di Boccioni rappresenta uno dei tasselli fondamentali del percorso artistico dell’artista, segnando il suo passaggio dal divisionismo al nascente movimento futurista.
Pure futurista è la piccola ma importante opera di Soffici Nature morte (encrier) databile alla seconda metà del 1912,
cui vengono affiancate negli spazi della Crepadona due bellissimi bozzetti
di Arturo Martini, opere di Trentini, di Savinio - Poema marino e Venerdì santo - e di Casorati, tra cui la giovanile tela “veronese” con la
Famiglia Consolaro Girelli e l’importantissimo Uova sulla Scacchiera. Quest’ultima, esposta nel ’52 alla XXVI Biennale di Venezia, segna una nuova evoluzione della pittura dell’artista con un’esasperata attenzione all’equilibrio di forme e colori. In collezione privata fin dal 1958 il dipinto di Casorati
è uscito solo in seguito all’acquisto da parte dell’Istituto di credito veronese.
Un importante nucleo di grande pittura veneta del Novecento è rappresentato in mostra dalle opere suggestive del realismo magico di Carlo Sbisà
con Ritratto in rosa e in nero – anche questa un recentissimo acquisto e una novità per il pubblico - e di Cagnaccio di San Pietro Allo specchio, del ’27, che segue la strada del ritorno all’ordine perseguito dopo l’episodio futurista; ma anche con una serie di tele di Gino Rossi e con Mattino,
uno dei quadri più belli di Fioravante Seibezzi.
Morandi è presente nel percorso espositivo con un raffinato paesaggio, Paesaggio grigio con strada, realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale,
probabilmente nel 1942 quando l’artista viveva ritirato tra Bologna e l’appennino, cercando in una solitaria pittura interiore quella pace che nel mondo non vi era più. Di Campigli è proposto Donne al tavolino, del secondo dopoguerra, mentre Santomaso è ricordato a Belluno con Racconto, che ben esemplifica la posizione personalissima da lui assunta nel panorama artistico diffusamente informale della fine degli anni Cinquanta e inizio degli anni Sessanta.
Poi ci sono i grandi capolavori che arrivano al limite, appunto, dell’informale: specialmente Vedova, Afro, Birolli e Dorazio che sono rappresentati ai vertici delle loro produzioni (mentre gli importanti Tancredi dell’Istituto di Credito veronese sono in mostra a Feltre per la rassegna monografica sull’artista).
Varsavia 2, presente alla Biennale di Venezia del 1960, è certamente una delle più belle e importanti opere di Vedova, mentre Scheggia (1956 circa) ben esprime il momento della piena maturità espressiva di Afro, che arriva alla “liberazione del colore”, e Fontana è testimoniato con un’opera appartenente alla serie cosiddetta delle “Carte” (tra il 1957 e il 1960), tappa fondamentale del superamento dell’esperienza informale che conduce ai “Tagli”.
Quindi Dorazio, Schifano con un impressionante e grande Paesaggio anemico tra echi futuristi e dada, e ancora Chia e Cucchi chiudono questo tuffo nell’arte italiana del XX secolo - reso possibile dalla intelligente politica di fruizione pubblica seguita dalle Fondazioni Cariverona e Domus - che non dimentica neppure la scultura, con Arman e Ceroli, ma soprattutto con un sorprendente e spettacolare lavoro di Giacomo Manzù, esposto qui in prima assoluta: Tebe distesa nell’ovale, sorta di trasposizione del tema di “Leda e il cigno” dal mito alla psicanalisi.