Artists’ Film International
Ottava edizione di Artists’ Film International, un progetto nato da un’iniziativa della Whitechapel Gallery di Londra che dal 2008 ha coinvolto numerose istituzioni d’arte contemporanea del panorama internazionale e artisti provenienti da tutto il mondo, alcuni dei quali hanno ottenuto, negli anni, importanti riconoscimenti e un grande successo a livello internazionale (da Ryan Trecartin a Kelly Nipper, da Ursula Mayer a Yuri Ancarani, solo per citarne alcuni).
Comunicato stampa
ARTISTS’ FILM INTERNATIONAL
VIII Edizione
A cura di Sara Fumagalli e Stefano Raimondi
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Inaugurazione: giovedì 24 novembre, ore 19:00
Dal 25 novembre 2016 al 15 gennaio 2017 la GAMeC è lieta di presentare l’ottava edizione di Artists' Film International, un progetto nato da un'iniziativa della Whitechapel Gallery di Londra che dal 2008 ha coinvolto numerose istituzioni d’arte contemporanea del panorama internazionale e artisti provenienti da tutto il mondo, alcuni dei quali hanno ottenuto, negli anni, importanti riconoscimenti e un grande successo a livello internazionale (da Ryan Trecartin a Kelly Nipper, da Ursula Mayer a Yuri Ancarani, solo per citarne alcuni).
Alla GAMeC, l’ottava edizione di Artists’ Film International si apre con la proiezione del video Dark Content degli artisti selezionati dal museo Eva e Franco Mattes, che resterà in visione fino a lunedì 5 dicembre 2016; nelle settimane successive, fino al 15 gennaio 2017, saranno presentati i video proposti dalle altre istituzioni che, come nelle precedenti edizioni del progetto, sono state invitate a segnalare un artista del proprio Paese che utilizza il video quale mezzo privilegiato per la propria ricerca.
Questa la lista degli artisti e delle istituzioni coinvolti per questa edizione:
Igor Bošnjak / Belgrade Cultural Centre, Belgrado, Serbia
Andrés Denegri / Fundación PROA, Buenos Aires, Argentina
Rohini Devasher / Project 88, Mumbai, India
Fareeha Ghezal / Center for Contemporary Art Afghanistan (CCAA), Kabul, Afghanistan
Igor Jesus / MAAT - Museum of Art, Architecture and Technology, Lisbona, Portogallo
Rachel Maclean / Whitechapel Gallery, Londra, Gran Bretagna
Eva e Franco Mattes / GAMeC, Bergamo, Italia
Zeyno Pekünlü / Istanbul Modern, Istanbul, Turchia
Mateusz Sadowski / Museum of Modern Art, Varsavia, Polonia
Karin Sander / Video-Forum of Neuer Berliner Kunstverein, Berlino, Germania
The Institute for New Feeling / Ballroom Marfa, Marfa – Texas, U.S.A.
Tor Jørgen van Eijk / Tromsø Kunstforening, Tromsø, Norvegia
Mak Ying Tung / Para/Site, Hong Kong
Anche in questa occasione la rassegna ospita video, film e animazioni provenienti da contesti culturali diversi, così da ottenere una selezione di quello che è ormai un medium globale con cui gli artisti raccontano la propria e la nostra realtà usando linguaggi diversi come il documentario e la finzione, e registri che spaziano dalla poesia alla critica sociale.
Il tema comune a tutti i video presentati in questa edizione è il rapporto tra arte e tecnologia, nelle sue connotazioni più ampie e diversificate.
CALENDARIO PROIEZIONI
25 NOVEMBRE – 5 DICEMBRE 2016
Eva e Franco Mattes
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Dark Content (2015)
16’18’’
Cosa succede quando pubblichiamo un’immagine o un video sui social network o piattaforme digitali come Facebook, Instagram, Vimeo o altre reti di comunicazione? A quale controllo sono sottoposti i miliardi di file che ogni giorno vengono caricati? Chi esercita questo controllo e secondo quali linee etiche e morali decide cosa può e cosa non può essere pubblicato?
La maggior parte dei contenuti visivi è sottoposta a un riconoscimento computerizzato: un software è in grado di “leggere” l’immagine, di capirne il contenuto e quindi di stabilire in tempo reale se può essere autorizzata alla circolazione. Ma oltre a queste immagini ve ne sono altre la cui lettura non è così immediata, per motivi che possono spaziare dal culturale – come ad esempio il simbolo della svastica, che in gran parte del mondo è legato all’ideologia nazista ma che è anche un simbolo religioso e propizio per le culture originarie dell'India quali il Giainismo, il Buddhismo e l'Induismo – al visuale – come un’immagine difficilmente decifrabile, con più di un oggetto rappresentato.
Su quest’ultimo tipo di immagini dal “contenuto oscuro” agisce un piccolo esercito di moderatori, persone di tutto il mondo che richiedono e ricevono da agenzie di lavoro – senza che sia mai rivelato il cliente originale – pacchetti di immagini il cui contenuto spesso discutibile o violento deve essere valutato man mano.
Un lavoro umano enorme e invisibile, di persone che vivono nell’ombra e nell’anonimato. L’opera Dark Content esplora l’individualità di queste persone, racconta delle loro vite, dei posti e delle modalità di lavoro, dei disagi nel visualizzare contenuti espliciti, del sentirsi eroi, del sentirsi soli.
Ognuno dei tre capitoli presentati mostra un alter ego fittizio delle persone intervistate rispettando il più completo anonimato e riserbo, ma allo stesso tempo esplicitando attraverso le loro parole le dinamiche e le esperienze di un mondo nascosto e profondo.
7 – 19 DICEMBRE 2016
Igor Jesus ⦁ Mateusz Sadowski ⦁ Mak Ying Tung ⦁ Andrés Denegri
Igor Jesus
MAAT - Museum of Art, Architecture and Technology, Lisbona, Portogallo
POV (2015)
1’39’’
Ciascuno spettatore percepisce diversamente il breve film POV – acronimo di Point Of View − e, di conseguenza, lo interpreta in modo soggettivo. L’artista propone una visione vertiginosa e confusionale: la telecamera segue la cassa sonora in primo piano che ruota velocemente ma rimane a fuoco e precisamente inquadrata; lo sfondo è invece mosso e irriconoscibile a causa della velocità dell’azione.
La linea d’orizzonte risulta impercettibile, cielo e terra si capovolgono continuamente, i colori si mescolano e lo spettatore prova fastidio, desiderio di distogliere lo sguardo o, meglio, di spostarlo sulla ferma certezza dello strumento acustico in primo piano. All’improvviso, la cassa cade: finalmente, si riconosce il suolo. Dopo l’incidente – accompagnato acusticamente da un tonfo – il video di nuovo inizia e, dunque, la rotazione dell’altoparlante si ripete insieme al rumore confuso che ne scaturisce, fino alla caduta successiva.
Mateusz Sadowski
Museum of Modern Art, Varsavia, Polonia
It Takes Time (2014)
3' 13"
L’artista contempla la realtà concentrandosi sull’esplorazione e sulla rivelazione dei meccanismi della percezione, della memoria e dei sogni. Questo intento porta Sadowski a realizzare complesse procedure di generazione ed elaborazione di immagini, come accade in It Takes Time.
Una risma di fogli, che cresce e regredisce, alternativamente, è la protagonista centrale della scena. Ogni immagine, diversa e sequenziale, si posa su un’altra, creando una narrazione. Nella prima scena, ad esempio, ciascun foglio è sfondato nella sua bidimensionalità e presenta una profondità da cui divampa un incendio, mentre l’ambiente circostante diventa cenere. Ciò che trasforma questo collage di still frame in sequenze narrative, è la tecnica dello Stop-motion. Le storie mostrateci come in un libro sfogliato dal vento, erano in origine filmati digitali, i cui fotogrammi sono stati isolati e stampati su supporti cartacei. La successiva composizione e scomposizione della risma è stata fisicamente effettuata con le stampe e digitalmente ripresa con la videocamera, dando forma al film.
Mak Ying Tung
Para/Site, Hong Kong
Disarming (2013)
3’ 53’’
Disarming è un breve video in cui l’artista toglie le spine da un piccolo cactus con una pinzetta, cercando di annullare la capacità difensiva della pianta. La telecamera fissa e l’inquadratura in primo piano ci mostrano la pianticella maneggiata dallo stesso artista, del quale possiamo vedere solo parte delle mani impegnate nell’operazione: la sua creatività diventa così distruttiva, un’azione certosina che rivela una sottile malignità.
Il film mostra un’operazione che richiede minuzia, pazienza e precisione per la realizzazione di un fine la cui essenza è dubbia. Il pubblico avverte la crescente impressione di essere spettatore di un non-spettacolo, un paradosso, un non-sense che suscita perplessità. Dietro all’apparente improbabilità dell’azione si cela l’indagine dell’autore, rivolta al comportamento sociale e a tutte quelle attività convenzionalmente finalizzate a uno scopo: l’autore si serve di atti inquietanti per destabilizzare nel pubblico la sua radicata e prestabilita percezione del mondo e di tutto ciò che lo circonda.
Andrés Denegri
Fundación PROA, Buenos Aires, Argentina
We Were Expected (lead and stick) (2013)
4’14’’
Il film si presenta, dall’inizio alla fine, come un sistema complesso dal punto di vista formale, tecnologico e concettuale: una serie di pellicole in 16mm scorrono costantemente mentre sulla loro superficie, concepita come schermo, viene proiettato un film, lo stesso di cui le pellicole sono supporto filmico.
Il film è proiettato su pellicola, con un risultato straniante tanto quanto la spiegazione del processo. Eppure, è un cortocircuito perfetto nella sua complessità.
Solo documentandosi a posteriori lo spettatore può capire in cosa consistano le immagini, poiché il movimento ciclico delle pellicole impedisce alla proiezione di fissarsi chiaramente. Si tratta di materiale documentario ottenuto per lo più dagli archivi generali nazionali, testimonianze filmiche e fotografiche che raccontano la dura repressione attuata dall’esercito e dalla polizia durante le proteste sociali, operaie e studentesche in Argentina, dai primi del Novecento fino agli anni Ottanta. La lunga ribellione portò alla fine dell’ultima dittatura e al ritorno del sistema democratico. Ciascuna immagine dura solo un istante, quanto basta per mostrare il momento di massima tensione di un colpo sferrato o ricevuto, di una fuga o di un attacco.
21 DICEMBRE 2016 – 2 GENNAIO 2017
Igor Bošnjak ⦁ Zeyno Pekünlü ⦁ The Institute for New Feeling ⦁ Tor Jørgen van Eijk
Igor Bošnjak
Belgrade Cultural Centre, Belgrado, Serbia
EUtopia (2015/2016)
20’13’’
L’artista Igor Bošnjak ha realizzato un enorme dipinto (3,7 x 5 m) della cartina europea, soggetto delle riprese che hanno dato vita a EUtopia. L’Europa da lui rappresentata, con una tecnica pittorica in rilievo, non è dotata di precisione geografica bensì riflette una visione soggettiva e imprecisa − ma perfettamente riconoscibile − del continente. Quest’ultimo emerge come una grande isola solitaria dalle acque scure, metafora di un’Europa in trasformazione, sempre più somigliante a un organismo indipendente, autonomo e isolato. I tratti geografici essenziali diventano esperienza vissuta per lo spettatore attraverso il viaggio della telecamera che scorre sul dipinto avvicinandosi e allontanandosi, rendendo il continente europeo a volte ambiguo, a volte riconoscibile. È un’esperienza a tratti disturbante che rivela un’effettiva incapacità di accedere direttamente alla realtà: l’artista sembra chiedersi se e in che modo sia possibile continuare a vivere in un’Europa in cui i beni materiali circolano velocemente e liberamente mentre tra gli esseri viventi si ergono muri invalicabili, domanda che rimane senza risposta.
Zeyno Pekünlü
Istanbul Modern, Istanbul, Turchia
How to properly touch a girl so you don’t creep her out? (2015)
19’ 10’’
How to properly touch a girl so you don’t creep her out? è un collage di video presi da YouTube e parte della serie How to...?. Il lavoro si focalizza sul ruolo di internet nella produzione, nella diffusione casuale e nella condivisione di informazioni pratiche. I video utilizzati per realizzare questo lavoro sono i primi che il motore di ricerca di YouTube suggerisce quando si digita la domanda “How to pick-up a girl?” (come conquistare una ragazza?).
Life coach e improbabili gigolò condividono la loro conoscenza e le loro tecniche di seduzione sui canali di YouTube, rendendola accessibile e gratuita. I video rispondono alle seguenti domande: Che cosa vogliono le donne? Come piacere alle donne? Come chiedere loro il numero di telefono? Come convincerle a venire a casa con voi? Come toccare una donna senza spaventarla? Mentre autoproclamati gigolò e ambigui esperti forniscono dettagli su come sedurre le donne, si scoprono nuovi mezzi e nuove espressioni del linguaggio maschile. L’opera documenta la traslazione della creazione e della condivisione di informazioni casuali dalle chat private allo spazio pubblico digitale.
The Institute for New Feeling
Ballroom Marfa, Marfa (Texas), Stati Uniti
This is Presence (2016)
17’ 19’’
Il collettivo di artisti The Institute for New Feeling, fondato da Scott Andrew, Agnes Bolt, e Nina Sarnelle, è un istituto di ricerca dedicato alla scoperta di nuovi modi di sentire e di sentirsi nuovi. Combinando medicina tradizionale e new age con spiritualità e misticismo, i creatori danno vita a trattamenti, terapie e prodotti per il benessere, la salute e la bellezza. Si tratta di metodi di guarigione alternativi, inseriti nelle modalità di produzione, consumo e distribuzione di merci e servizi propri dell’era digitale contemporanea.
La prima immagine in This is Presence è la schermata di un computer − del quale lo spettatore è il possibile utente − con una finestra aperta sulla ricerca, tramite Google, del titolo ‘‘The Institute for New Feeling’’: l’operazione si risolve in un flusso di video che corrispondono agli effettivi risultati della ricerca on line sull’argomento. Al pubblico è così mostrata l’attività della cooperazione attraverso immagini, affascinanti e inquietanti allo stesso tempo, di terapie alternative e high-tech per il corpo umano.
Tor Jørgen van Eijk
Tromsø Kunstforening, Tromsø, Norvegia
Purgatory (2010)
16’ 20’’
Il film Purgatory è una vera e propria sperimentazione video-digitale in cui la telecamera registra la sua stessa immagine, generando dei feedback. Ogni feedback è indirizzato al colorizer − un sistema che colora i film in bianco e nero − e al frame buffer − dispositivo di uscita video che genera i fotogrammi visibili sullo schermo attingendo da una memoria temporanea i dati grafici necessari. Le immagini digitali si succedono tempestivamente secondo un ritmo determinato da un sequenziatore. L’audio digitale è inserito nello stesso meccanismo generatore e segue, di conseguenza, il ritmo della sequenza visiva.
L’azione creativa, abbandonata dall’artista e totalmente affidata alla videocamera, diventa automatismo digitale. Il risultato è un effetto disturbante e potenzialmente allucinatorio: nonostante la durata di soli venti minuti, la visione si rivela faticosa, poiché le stesse immagini digitali si alternano a una velocità lampeggiante dall’inizio alla fine e solo in rari flash lo spettatore scorge elementi reali riconoscibili.
4 – 15 GENNAIO 2017
Rohini Devasher ⦁ Karin Sander ⦁ Rachel Maclean ⦁ Fareeha Ghezal
Rohini Devasher
Project 88, Mumbai, India
Atmospheres (2015)
6’ 58’’
Il video Atmospheres ci mostra, con un’inquadratura fissa e un punto di vista alternativo, lo skyline nei dintorni dell’Osservatorio di Gauribidanur vicino a Bangalore, in India. La cinepresa puntata dall’artista verso lo zenit produce una distorsione fotografica che rende l’immagine simile alla fotografia satellitare del pianeta Terra − una sfera blu nell’oscurità dell’universo. Il risultato è un’unione inedita fra cielo e terra, in cui quest’ultima fa da contorno scuro all’azzurro sferico centrale. La prima veduta extra-atmosferica della Terra risale al 1960: è stata un’innovazione astronomica senza precedenti, capace di stravolgere la nostra rappresentazione formale del pianeta, da quel momento ancor più concepibile come una sola unità. Le mutevoli inquadrature dello skyline sono solcate da sottili linee nere, parti delle strutture costituenti il radiotelescopio a onde decametriche dell’Osservatorio di Gauribidanur. L’artista è, infatti, interessata all’incontro tra uomo, Terra e tecnologia e, in particolare, alla visione che l’essere umano ha del mondo che abita, potenziata e ampliata dalle sempre più potenti e veloci innovazioni tecnologiche.
Karin Sander
Video-Forum of Neuer Berliner Kunstverein, Berlino, Germania
Sigrid 1930 (2009)
00’ 35’’
Il video consiste nella ripetizione della stessa scena − un breve estratto di un Pathé film in 9,5 mm − che mostra una bambina giocare in un prato. Il filmato, già esistente, non è stato girato dall’artista quanto piuttosto trovato e riutilizzato: risale, infatti, al 1930 ed è un video amatoriale di famiglia. Vediamo, in una radura in mezzo al bosco, la felice protagonista che lancia in aria una pallina da tennis, la rincorre, la raccoglie e ripete il semplice gioco.
È evidente come la pellicola originale fosse notevolmente danneggiata: l’immagine è disturbata da tracce di muffa color ruggine, macchie e graffi tremolanti che danzano e rimbalzano assieme alla bambina e al suo giocattolo. L’artista aveva precedentemente esposto delle tele bianche, lasciando che fossero i luoghi e le condizioni atmosferiche a determinarne le sembianze cangianti: anche in questo caso, i criteri artistici si collocano al di fuori dell’atto di creazione artistica. È la vulnerabilità del mezzo filmico analogico a diventare il verso soggetto dell’opera e il vero portatore di valore estetico.
Rachel Maclean
Whitechapel Gallery, Londra, Gran Bretagna
Germs (2013)
3’
Narrazioni iper-reali e sature di colori accecanti: i video di Rachel Maclean sono spesso realizzati attraverso la tecnica digitale chroma-key, che permette di sovrapporre digitalmente i personaggi di un video allo sfondo di un altro e di creare ricchi e artificiosi giochi di colori. L’artista non è solo ideatrice ma anche unica protagonista dei suoi film e delle sue fotografie, in cui moltiplica la propria figura attribuendole diversi ruoli, con lo scopo di re-interpretare la cultura contemporanea. Germs, il film in questione, è una breve opera video dotata di tutte le caratteristiche proprie del mondo pubblicitario. Ci immerge in un universo patinato dai toni accessi in rosa e azzurro, dove l’artista è doppiamente interprete nel corpo di due giovani donne attraenti ed esibizioniste. La narrazione, dal significato ambiguo e confuso, ruota attorno alla presentazione di diversi prodotti − un profumo, un trattamento per la pelle del viso, uno yogurt e un prodotto di pulizia. Qualcosa, però, rompe lo stereotipo pubblicitario e impedisce l’happy ending, rivelando l’inefficienza dei prodotti e, per esteso, l’inganno del capitalismo globale, in cui il valore di scambio delle merci ha completamente sostituito e soppresso quello d’uso.
Fareeha Ghezal
Center for Contemporary Art Afghanistan (CCAA), Kabul, Afghanistan
Mirror of heart
1’40’’
Mirror of heart ci mostra una scoperta: vediamo delle braccia cercare in una terra arida e sabbiosa, fino a che non trovano una superficie mobile, la sollevano e ne scoprono l’identità. È uno specchio, in cui si riflette l’immagine della donna che l’ha rispolverato. Fareeha Ghezal è un’artista la cui produzione è strettamente legata alla sua terra, l’Afghanistan. Dal 2006, il Center for Contemporary Art Afghanistan (CCCA) ha istituito un centro d’arte dedicato al mondo femminile dell’arte afgana, del quale Ghezal fa parte. La violenza sulle donne si esprime in questi luoghi non solo attraverso ingiustizie di natura politico-civile e maltrattamenti fisici, ma anche con la loro totale esclusione da una realtà culturale già di per sé latente, soprattutto per quanto riguarda l’arte contemporanea. Alla luce di una storia di sopraffazioni e illegalità, le immagini di Mirror of heart acquistano chiarezza: la protagonista scopre se stessa dopo un lungo periodo in cui non ha potuto partecipare alla vita sociale, politica, economica e culturale; esce dal suo stato di invisibilità e lo fa non all’improvviso bensì scavando, combattendo e perseverando.