Arturo Martini – Creature il sogno della terracotta
La mostra celebra il più importante scultore italiano del XX secolo proponendo, per la prima volta assieme, le grandi terrecotte ad esemplare unico realizzate direttamente dall’artista tra il 1928 e il 1932.
Comunicato stampa
Una collaborazione inedita tra la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e la Fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, porterà a Bologna a Palazzo Fava (22 settembre 2013 – 12 gennaio 2014) e a Faenza al MIC (12 ottobre 2013 – 30 marzo 2014), con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, una straordinaria mostra dedicata al più importante scultore del ‘900 italiano: Arturo Martini.
Un racconto diviso in un due atti: quello a Bologna rivolto all’analisi della scultura in terracotta di grandi dimensioni, e quello a Faenza attento alla ricerca estetica dell’artista attraverso, in particolare, la rappresentazione della figura femminile.
A Bologna la mostra che ha per titolo Arturo Martini. Creature, il sogno della terracotta, a cura di Nico Stringa, proporrà per la prima volta assieme le grandi terrecotte ad esemplare unico realizzate direttamente dall’artista tra il 1928 e il 1932.
L’opportunità di organizzare questa grande mostra si deve alle recenti acquisizioni della Fondazione Carisbo, ad opera del suo Presidente Prof. Fabio Roversi-Monaco (oggi Presidente di Genus Bononiae. Musei nella Città), di alcune importanti sculture dell’artista, tra le quali Madre folle (1929), Dedalo e Icaro (1937), La Carità (1937), L’abbraccio (1937-40), Odalisca (1930).
Il percorso della mostra nel contesto straordinario di Palazzo Fava consentirà quindi di ammirare i sedici opere che Martini ha realizzato, provenienti dai grandi musei italiani e da importanti collezioni private; per la prima volta il Museo Middelheim di Anversa effettuerà il prestito dei quattro capolavori conservati nel museo che, eccezionalmente, rientreranno in Italia solo per questa occasione.
Come è noto, tra il 1928 e il 1932, nel volgere di un arco temporale relativamente ristretto, con un lavoro febbrile concentrato a volte in poche settimane, Arturo Martini ha vissuto quello che egli stesso ha definito il “periodo del canto”, cioè la fase della sua poesia più alta e dispiegata.
Con le grandi terrecotte, lo scultore si impose alla Prima Quadriennale di Roma (1931) e poi alla Biennale di Venezia (1932) imprimendo una scossa decisiva al clima monolitico della scultura italiana e aprendo il varco a tante successive sperimentazioni.
“Le grandi terrecotte, realizzate ad esemplare unico in argilla refrattaria cotta ad alta temperatura – scrive il curatore della mostra bolognese –, sono oggi considerate ai vertici della scultura figurativa europea dell’epoca; in quel ciclo Martini ha messo a frutto la sua ventennale esperienza di scultore ceramista, portando a compimento l’ancestrale e ricorrente mito delle origini secondo cui il creatore (l’artista) conferisce vita alla creatura (l’opera d’arte) tramite quel soffio che nel caso dei prodotti ceramici è delegato anche al fuoco dei forni. Proprio per raggiungere e mostrare questo estremo grado di identificazione, l’artista trevigiano ha lasciato da parte l’idea iniziale di riprodurre in diversi esemplari queste sculture, foggiandole invece una ad una in creta cava, per poter trasmettere al fruitore il senso di precarietà che l’esperienza estetica porta con sé, quando intenda essere interprete della vita: in una parola, il rischio della bellezza”.
Tra le opere in mostra si segnalano, oltre alla già citata Madre folle, La lupa (1932), Chiaro di luna (1931-32), Gare invernali (Sport invernali) (1931-32), Donna al sole (1930), Le sorelle (Le stelle) (1932), La Convalescente (1932), Venere dei porti (1932), L’Aviatore (1931-32), Attesa (La veglia) (1931-32).
A Faenza la mostra Arturo Martini. Armonie, figure tra mito e realtà a cura di Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche, in collaborazione con i Civici Musei di Treviso, propone una cinquantina di opere, significative della sua poetica e della sua idea di “armonia”, sia attraverso l’interpretazione della figura femminile tra mito e realtà, sia attraverso le opere degli ultimi anni caratterizzate da una accentuata ricerca formale.
Nella prima metà del ‘900 Arturo Martini è stato lo scultore più sensibile alle esigenze di rinnovamento, immettendo, di decennio in decennio, nuova linfa nel corpo spento della scultura italiana. Rimasto sempre all’interno dell’ambito figurativo, l’artista trevigiano ha saputo però trasmettere le tensioni e le vibrazioni che la grande tradizione può suggerire ad un occhio moderno, libero da schemi, aperto al futuro. È accaduto così che per l’ultima volta nella scultura italiana ed europea, la forza del Mito e si potrebbe dire della “poesia”, abbia trovato un interprete degno dell’antico.
Le opere al MIC di Faenza dialogheranno idealmente con quelle a Palazzo Fava e completeranno l’attenzione sul percorso artistico lasciando spazio a tutti i materiali da lui utilizzati (ceramica, bronzo, legno, marmo, pietra, gesso).
Di madre brisighellese, Martini frequentò Faenza, nel 1918, in congedo militare, realizzando piccole sculture in gesso, arredi ecclesiastici, disegni, cheramografie, e pubblicando il volume Contemplazioni, uno dei più importanti libri d’artista senza parole.
Scrive la curatrice nel testo introduttivo alla mostra faentina: “Libero e indipendente, egli seppe cogliere gli indizi che lo spirito del tempo proponeva, personificandoli e trovando sempre una propria, unica, via. Egli riuscì a dare forma e senso plastico ad argomenti e situazioni, a tematiche e personaggi, mai affrontati prima (…). La vera grandezza di Martini, che oggi finalmente riconosciamo, è stato il suo essere un insaziabile sperimentatore che, all’interno del suo percorso nelle tante fasi poetiche e progettuali differenti, ha fornito ai suoi contemporanei (e alle future giovani leve di artisti) possibili soluzioni moderne, e a volte troppo avveniristiche, sulle potenzialità della scultura, in un momento paradossalmente tanto difficile quanto produttivo. Dal piccolo formato al monumento, dal bassorilievo alle grandi terrecotte, dal marmo al bronzo, dal legno alla ceramica, dalla xilografia al dipinto, con disinvoltura, Martini con i suoi gesti, le sue carezze, le sue trovate geniali, le sue arrabbiature, ha tracciato una via, ha proposto una svolta”.
Per la mostra sono stati selezionati pezzi significativi del suo percorso artistico, dagli inizi più scolastici alla produzione finale più sperimentale, e relativa ai principali centri di sviluppo della sua attività: Treviso, Faenza, Vado e Anticoli Corrado, Milano, Venezia.
Tra le principali opere in mostra sono da segnalare: Ritratto di Fanny Nado Martini (1905), Davide Moderno (1908), La lettura (1910 ca), La fanciulla piena d’amore (1913), La lussuriosa (1918), La pulzella di Orleans (1920), Leda (1926), La leggenda di San Giorgio (1926-27), Presepio piccolo e grande (1926-27), La pisana (grande frammento) (1928), Lo spaventapasseri (1928-29), Nena (1930), Odalisca (1930), Torso di giovinetto (1930), Donna sdraiata (1932), Vittoria in cammino (1932), Abbraccio-amplesso (1936-1940), Nuotatrice (1942), Signorina seduta (1943), Donna sulla sabbia (1944).