Babas – Retablos

Informazioni Evento

Luogo
SPAZIO 29 SOUTH - INSIDE OUT
Via Gian Francesco Pizzi 29 (20141) , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dalle 11.00 alle 20.00

Vernissage
09/04/2014

ore 19

Artisti
Babas
Generi
arte contemporanea, personale

Babas (aka Barbara Capponi) ha scoperto che i mondi racchiusi nei retablos possono essere infiniti quanto quelli racchiusi nella sua mente. Le sue fantasie hanno trovato casa in piccole teche di 8 centimetri per 20. Mondi minuscoli in cui è facile perdersi.

Comunicato stampa

CATALOGO BABAS RETABLOS – Mondi in scatola 2010-2014 Raccontami un film con una frase Una volta ho incontrato un giovane regista che aveva vinto il primo premio a un festival di cinema. Io, che ero in giuria, non l’avevo votato, sebbene il film fosse notevole. Era stato per mesi in un villaggio sperduto nell’Atlante, in Marocco e aveva raccontato a passo 1, senza orpelli, la vita di una coppia di anziani contadini ai bordi di un villaggio. Al confronto, L’albero degli zoccoli di Olmi pareva un film d’azione con Van Damme. Gli ho domandato: “Che cosa fai di mestiere?”. Risposta: “Passo la vita a convincere i produttori che hanno bisogno di realizzare i miei film.” In quel momento ho pensato quanto è prezioso il dono della sintesi quando si devono sedurre le orecchie di qualcuno. (E come fosse difficile al corso di cinema raccontare un film con una frase sola.) Se io dovessi raccontare l’Odissea con una frase, come faccio? Dove risiedono le fondamenta? Dov’è il propulsore atomico degli accadimenti? Semplice: è nel carattere del protagonista. Con poche pennellate che tratteggiano l’eroe posso prefigurare un grande affresco. Nella tradizione dei fumetti animati, codificata come pratica professionale soprattutto in Giappone, il character è quella creatura che esprime il massimo significato e sapore con il minimo di segni, ossia la massima economia del disegno. (In fondo, la differenza fra gli esseri umani è riconducibile a poche pennellate.) Il character è un semilavorato narrativo che ha una duplice funzione. Da una parte risponde alle esigenze della moderna industria dello storytelling, ossia quella dei serial e di tutto ciò che può avere un numero illimitato di puntate. Esiste un luogo imprecisato nello spazio e nel tempo, in cui ogni anno tutti i character del mondo, soprattutto quelli televisivi, si danno convegno e si riempiono di legnate. Vincono solo i più forti. Sono loro che faranno guadagnare un sacco di soldi ai produttori. (È stato detto che i serial di qualità sono i veri eredi del romanzo.) Dall’altra, è un dono, un modo gentile per trasmettere una storia a un pubblico senza a tutti costi preoccuparsi di punti neri e ciglia finte. Ed è certamente questa la modalità più affine al lavoro di Babas. Dare carta bianca a una persona è il massimo segno di stima mai concepito dall’essere umano. Babas dà al suo pubblico due scatole. In una c’è il character. Nell’altra ci sono dei fogli bianchi. Il messaggio non potrebbe essere più esplicito: “Caro amico, io ho creato un carattere, ora sta a te farlo vivere nelle storie che vorrai. Buona fortuna. (Poi però non venire da me a lamentarti, ognuno si prenda le sue responsabilità.)” È un atto di lungimiranza poetica offrire praterie sconfinate all’intelligenza. Perché chiudere tutto in un recinto ossessivo dove ogni cosa è già descritta, detta, fatta, precotta, senza margini di improvvisazione? Il character ci porta nel regno del plausibile, che è una terra di mezzo fra la realtà e l’immaginazione. I retablos sono complesse pale d’altare in legno dipinto che hanno avuto una grande diffusione nei paesi del Sud America. Col tempo si sono trasformati anche in piccole scatole di legno, dentro le quali vengono ricreate scene religiose o del quotidiano. Parlano spesso il linguaggio degli ex voto, ossia scenette in cui il fantastico irrompe nel quotidiano. (Con tutta la forza di una copertina della Domenica del Corriere.) I retablos di Babas sono piccole teche larghe 20 centimetri e alte 8. Sono un inno allo spirito nomade e alle esigenze di portabilità del contemporaneo: è un’arte palmare, maneggevole, ergonomica. Minimondi, come li chiama lei. Sono piccole macchine per generare storie, juke box abbandonati dalla società di gestione e quindi utilizzabili a ufo. Devi solo fare una cosa: accendere il pulsante nella mente. Non sarai mica pigro, vero? Le storie partono uguali ma finiscono sempre diverse, perché chi se le scrive in testa è diverso dagli altri. Babas, pubblicitaria di giorno e artista di notte, ha sempre lavorato con coerenza e serietà sulla nozione di character. Ha creato una piccola legione di personaggi per Findus, fra cui lo svagato Carletto (1998). Ha inventato lo squalo con l’apparecchio per la copertina del cd Eat the Phikis di Elio e le Storie Tese (1996) e i ritratti di pongo dei membri del gruppo all’interno. Ha concepito lo straordinario libro Double-face (1996) in cui ha incollato le parti sinistre dei volti con le parti sinistre, e le parti destre con quelle destre, suggerendo che dentro di noi convivono il dottor Jekyll e il signor Hyde. È un approccio evoluto, il suo, nel solco di Andy Warhol. Non ha fatto come altri creativi, che quando entrano nell’arte cercano di uccidere la professione. Al contrario, ha lavorato sullo snodo perfetto fra i due mondi: le storie, i personaggi. L’estetica di Babas si muove nei territori del fumetto, della cultura pop, delle tinte sovraccariche al limite della parodia. Il che non significa limitarsi a visioni edulcorate della vita. Per chi scrive, i titoli lunghi delle opere suonano come un elogio della potenza della parola e della fantasia ubriaca. E ricordano le storie del film Big Fish (2003) che hanno il potere di rimodellare la vita reale. È l’assurda grandeur delle frottole, bellezza! Le scenette sono episodi in punta di forchetta, azioni teatrali congelate per sempre. Non sempre corrispondono al climax della storia, ma sempre corrispondono a un punto cruciale: un episodio senza il quale la storia non avrebbe un baricentro e il prima non porterebbe al dopo. L’effetto è leggermente comico: ogni mattina siamo condotti a rivivere la stessa scena. E viene in mente un altro film, Groundhog Day (1993), con Bill Murray che impeccabilmente sfida ogni mattina il minaccioso Giorno della Marmotta. Gli ex voto raccontano di miracoli, situazioni talmente improbabili da strappare il sorriso. Come vincere alla lotteria. Come quando il vento porta via lo schermo del drive-in dove era in programma Via col vento (è successo veramente). Come quando vai al Santuario della Beata Vergine delle Grazie, fuori Mantova, e ti trovi un coccodrillo che vola. Come nelle tavole del principe dello humour nero Joan Cornellà. I colori sono quelli del candito ma il sangue è vero e la tragedia è in agguato. Fuori dalla cornice così rassicurante dei retablos, c’è un lupo famelico che brancola e sbadiglia. Meglio non uscire. Non fidatevi troppo dei pupazzetti sorridenti. Loro sono come noi. Sorridono, e poi mordono. Chiagnono, e poi fottono. Io vi ho avvisato. D’altronde l’arte pop è nata così, mischiare l’alto e il basso, il dolce e l’amaro, la tragedia e la commedia, e vedere l’effetto che fa. (Il mio eroe preferito è il Capitano Bobson, così impacciato, perplesso e poetico di fronte a una misteriosa plancia dei comandi: non sa proprio dove c***o andare. È l’Ulisse che ci siamo meritati, e si merita un bacio sulla nuca.) Eugenio Alberti Schatz