Back and Forth
Le opere, con una produzione che va dagli anni ’60 ad oggi, verranno presentate in una mostra che si pone come obiettivo quello di proporre una riflessione sugli ultimi tredici anni di attività, provando a ritracciare i momenti più significativi del passato ma allo stesso tempo aggiungendo opere che segneranno le future tappe del percorso.
Comunicato stampa
Back and Forth inaugura il 25 settembre 2024 e apre la stagione autunnale della Galleria Raffaella De Chirico arte contemporanea, ripartendo con un’ambiziosa collettiva articolata a partire dai lavori di venti artiste e artisti.
I lavori, con una produzione che va dagli anni ’60 ad oggi, verranno presentate in una mostra che si pone come obiettivo quello di trasmetterne una visione di insieme, includendo sia le collaborazioni portate avanti in più di dieci anni di ricerca sia le new entries dei tempi più recenti. Se è vero che per guardare avanti lucidamente e immaginare cosa riserva il futuro bisogna sempre ricordarsi le esperienze del passato e coglierne i momenti più o meno significativi, allora la galleria con questa collettiva propone una riflessione sugli ultimi tredici anni di attività e prova a ritracciarne le fila, aggiungendo e prevedendo le future tappe che collaboreranno all’intreccio.
Si ricerca quindi un fil rouge e lo si trova in un dialogo che esiste sempre tra passato, presente e futuro, manifestato in questo caso nell’uso dei ‘non colori’, nella potenza del segno e del gesto artistico.
In mostra verranno esposte alcune opere di artisti storicizzati, tra cui compaiono Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) e Hans Hartung (Lipsia, 1904 – Antibes, 1989), come anche Carol Rama (Torino, 1918 – Torino, 2015) e Henri Chopin (Parigi, 1922 – Londra, 2008).
Due artiste della stessa generazione, legate da un’amicizia pluridecennale e da una stima reciproca, Mirella Bentivoglio (Klagenfurt,1922 - Roma, 2017) e Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) avranno il loro spazio con due opere nella collettiva: fu proprio Bentivoglio, artista verbovisiva, curatrice e critica d’arte femminista, a introdurre l’artista sarda nel panorama internazionale coinvolgendola alla Biennale di Venezia del 1978, nella memorabile mostra Materializzazione del linguaggio. È un filo (o più di uno) stretto quello che le lega: entrambe indagano la materia nelle sue forme variabili e non si accontentano della bidimensionalità, creando oggetti concettuali che sono luogo di sperimentazioni continue.
L’indagine che Maria Lai porta avanti con i suoi telai, con i ricami, riportano la sua arte in una dimensione mitologica (nel caso specifico quella delle Tre Parche che hanno in mano il destino degli umani), dimensione che è presente nell’opera di un altro artista che sarà esposto, il giapponese Horiki Katsutomi (Tokio, 1929- Cigliano (VC) 2021). La sua riflessione sull’epica di Omero nell’Odissea viene trasposta nelle sue tele, in cui vive l’archetipo del mito attraverso un’intimità così potente da avvicinarsi al sacro.
L’artista verbovisiva Elisabetta Gut (Roma, 1934 - 2024) è presente in mostra con una carta del 1980; anche lei aveva esposto alla Biennale di Venezia nel 1978 sotto l’egida di Mirella Bentivoglio, che scrive di lei:
Negazione e affermazione per quest’artista si identificano. Fu la prima ad usare il filo come segno di cancellazione e di scrittura musicale, pentagramma e insieme corda per vibrazioni inudibili. Ed è proprio la sua scontrosità a garantire la sua intensità. (Bentivoglio, 1989)
In mostra anche Elisabeth Scherffig (Düsseldorf, 1949), artista che vive a Milano dal 1971 e che ne indaga da sempre lo spazio urbano, realizzando delle mappe, disegni stratigrafici che sono frutto delle ricerche sul territorio.
In questa collettiva si ripercorrono tanti momenti importanti dei primi anni della galleria, attraverso artisti e artiste che ne hanno fatto la storia espositiva: Eva Sørensen (Herning, 1940 – Verbania, 2019), una delle artiste presenti nella prima mostra del 2011 e alla quale ha dedicato una mostra antologica nel 2013; il duo artistico TTozoi, composto da Stefano Forgione (Avellino, 1969) e Pino Rossi (Napoli, 1972), le cui opere metamorfiche erano state presentate nella seconda mostra della galleria; l’artista Corrado Bove (Bergamo 1974) - che nell’ultimo ventennio si è avventurato in sperimentazioni scultoree lavorando con le reti metalliche, Codice muto del 2006 è in mostra - è presente anche con le ultime ricerche, fotografie digitali delle sue sculture, sulle quali poi lavora in digitale e che vengono così rielaborate e riconfigurate in nuove opere bidimensionali.
Gisella Chaudry (Palermo, 1989) è in mostra con due opere che fanno parte della serie Traiettorie, opere disegnate dall’artista e ricamate in Pakistan, ricordando le sue origini e il lavoro di sarto di suo padre; Irina Gabiani (1971, Tbilisi) con un collage su tela in cui ha creato organismi in cui il micro e il macro coesistono interconnessi, indagando tutto ciò che ci circonda; Andi Kacziba (Budapest, 1974) con una piccola tela che è il risultato di una performance presentata per la prima volta dalla galleria nel 2023 e l’ultima volta al Ludwig Museum di Budapest.
Presenti in mostra anche un piccolo Virus di Sergio Ragalzi (Torino, 1951 - 2024) - artista al quale la galleria ha dedicato svariate mostre, solo nell’ultimo anno una dedicata ad un ciclo pittorico degli anni Ottanta e un’altra in cui era esposta da sola una scultura di grandi dimensioni – e un’opera del catanese Nunzio Fisichella (Catania, 1968), artista che lavora con la sabbia lavica e i pigmenti naturali e che ha esposto l’ultima volta il suo lavoro a Catania, in una mostra curata da Raffaella De Chirico (Intervallo, 2024, Cappella Bonajuto).
Per l’occasione la galleria presenta anche il lavoro di artisti che espone per la prima volta: un’installazione a parete di Alessandro Armetta (Palermo, 1996), una scultura polimaterica di Federica Zianni (Roma, 1993) e una tela realizzata attraverso l’uso di medium pittorici naturali di Riccardo Angelini (Fermo, 1980).