Battima
La mostra trae ispirazione e fa capolino alla più che nota raccolta poetica Ossi di Seppia di Eugenio Montale.
Comunicato stampa
BATTIMA
La mostra trae ispirazione e fa capolino alla più che nota raccolta poetica Ossi di Seppia di Eugenio Montale. Le opere esposte, come gli ossi tornati a riva dopo una mareggiata, si presentano come testimonianze del fare artistico di un'arte giovane e emergente che, grazie alla cura di OttoFinestre, trovano una loro collocazione, un loro porto sicuro. Così i resti, le opere di un'arte giovanissima, ritornano sul bagnasciuga di uno spazio espositivo: rimanenze di un vasto panorama di un sistema arido. Sono le testimonianze di ciò che il mondo cerca di gettare in mare, di liberare dalla propria coscienza conflittuale: sono resti o reperti risospinti sulle sponde della battigia, cocci infranti e riassemblati, proiettili e rimasugli di cibo che ritornano a riva. Una restituzione che passa attraverso la lente della realtà, che riporta fratture che tentano di ricomporsi, nostalgie e violenze che non si formano in seno a un determinato evento traumatico, ma che sono esse stesse la testimonianza di una condizione che affligge tutti e che, nonostante possa sembrare tragica o frivola, resta indissolubilmente umana.
I lavori non si presentano tanto come una rappresentazione o una messa in scena di un conflitto, interiore o esteriore che sia, ma come un ragionamento su una determinata condizione, che si riflette e riverbera attraverso il lavoro dei tre artisti: Irene Calzavara, Pietro Muggiolu e Claudia Vetrano. Non è fondamentale comprendere se queste opere siano state pensate per trasmettere un messaggio preciso e puntuale, ciò che conta è il significato complessivo che emerge, un dialogo tra lavori che trascende medium e contesto, che permea e connette le opere, dimostrando come l'arte giovane ed emergente possa percepire il mondo in modo sia unico che condiviso. Nonostante le differenze, le opere riflettono una condizione nella quale l'arte e il panorama contemporaneo riversano, caratterizzata dall'attenzione per la fragilità, la precarietà, dalla nostalgia e dall'incertezza.
Tornano come ossi di seppia queste opere, ma al contrario dei primi, le seconde non si leggono come condizioni di vita impoverite, ma come testimonianze del mare magnum contemporaneo, come ricettacoli di vita vissuta, quali oggetti che si identificano con il vivere stesso, lontano o vicino che sia, in contrasto con il degrado e la precarietà del mondo a noi circoscritto; una realtà che, come gli ossi in poesia, torna a riva e mostra un'autenticità profonda alla quale si può giungere solamente tramite uno sforzo di comprensione. Le opere non concedono parola, piuttosto palesano ciò che non sono, ciò che non vogliono, in un dialogo silenzioso che troppo spesso si consuma in sordina tramite il frangersi dell'onda e nello sciogliersi in spuma di mare.