Beatrice Alici – Il primo seme
La mostra si struttura in un percorso tra quadri e sculture in cui l’artista rappresenta principalmente luoghi arcaici e senza tempo nei quali si assiste alla caduta dell’essere umano.
Comunicato stampa
Inaugurerà giovedì 2 maggio 2024 alle ore 19.00 “Il primo seme” la prima mostra personale, negli spazi della DINO MORRA_GALLERY di Beatrice Alici, mostra curata da Domenico De Chirico.
La mostra si struttura in un percorso tra quadri e sculture in cui l’artista rappresenta principalmente luoghi arcaici e senza tempo nei quali si assiste alla caduta dell'essere umano. Con l'intento di voler ricreare un senso diffuso di mistero e di meraviglia nasce quindi questo nuovo capitolo espositivo dal titolo “Il primo seme”, la cui denominazione viene presa in prestito da quella del primo quadro realizzato per l'occasione. Questo dipinto, celebrativo dello stupore originato dall'incommensurabilità del cosmo, riflette sulla storia del seme, estremamente vasta e complessa, poiché gioca, ab illo tempore, un ruolo cruciale in molte culture, religioni e discipline scientifiche, rappresentando la base dell'agricoltura e dell'alimentazione umana fin dai tempi antichi.
Il seme è stato quindi cruciale per lo sviluppo della stupefacente civiltà umana, oltre ad essere simbolo dell'importanza del sapere e della necessità imprescindibile di alimentare continuamente l'élan vital, sempre pronto a tramutarsi in creatività.
Con questa mostra Beatrice Alici intende anche rimarcare il fatto che da sempre gli alberi sono in grado di comunicare. Orbene, li si potrebbe considerare come degli antichi dei, statici eppur potenti, le cui storie, ben radicate, ci aiutano perpetuamente a comprendere che, così come le piante, anche gli uomini sono destinati ad aggrovigliarsi per poter interagire e coabitare.
In aggiunta, a seguito di un'ulteriore riflessione sul tema dell'incontro tra la morfologia umana e quella del mondo vegetale, tra le altre opere in mostra, vi è il trittico “Divenirne Parte” - costellato da una serie inedita di ceramiche – che sopraggiunge ai nostri occhi come un tributo al fantasioso e sensuale gruppo scultoreo “Apollo e Dafne” realizzato da Gian Lorenzo Bernini.
Così, la vocazione pittorica di Beatrice Alici, doviziosa eppur asciutta, oscura e luminosa, poetica e sensuale, cruda e dolcissima, unica nel suo genere, procede spedita lungo un sentiero che non fa altro che alimentarsi, quasi esclusivamente, di questo primo seme che rende ferace l'immensurabile creato.
Info Artista:
Beatrice Alici nasce a San Donà di Piave (Venezia) il 24 Agosto 1992.
Nel 2011 si diploma al Liceo Artistico di Treviso. Nel 2019 si laurea in Pittura ed Arti visive
all’Accademia di belle Arti di Venezia. Dopo dieci anni trascorsi a Venezia, ora vive e lavora a
Milano.
Dal 2016 fa parte del collettivo artistico Fondazione Malutta.
La ricerca della giovane artista veneta Beatrice
Alici, classe 1992, è legata al tema dell'Eden - inteso come luogo arcaico e senza tempo, costituito da scene notturne in cui figure e paesaggi naturali si fondono l'uno nell'altro - intende affrescare un ritorno ad uno spazio psicologico puramente primordiale. Nel suo personalissimo mondo
immaginario, la notte rappresentata è fittizia e il buio e l’oscurità sono spazi simbolici che le consentono di immergersi nel creato per arrivare alla rappresentazione degli abissi più reconditi, dal sapore profondamente introspettivo. Le figure che più frequentemente popolano il suo immaginario
sono quelle femminili, le quali vengono rappresentate con elementi enigmatici, soprannaturali, spesso legati al folclore: raffigurate come dee o streghe evocano sovente un idillico matriarcato divino. Il ricorso alla luce lunare è un ulteriore suggerimento simbolico alla sfera del sacro e del
primordiale muliebre e rende le scene rappresentate più delicate, oniriche e misteriose. Emergono, quindi, delle immagini facenti parte di un mondo interiore proprio dell’artista stessa, lontano dalla realtà e caratterizzato da riferimenti inequivocabili al magico e al surreale - dal momento che, come
diceva il letterato britannico John Milton nel suo poema epico "Paradiso perduto" del 1667: “milioni di creature spirituali si muovono, non viste, sulla terra, quando siamo svegli come quando dormiamo”. Per di più, attingendo dall'arzigogolata questione della misteriosa e perpetua ciclicità della vita.
Selezione mostre personali e collettive tra le più importanti ricordiamo:
_Pittura Italiana oggi, mostra collettiva curata da Damiano Gullì, presso la Triennale di Milano, Milano;
_Moonbath Magic, mostra personale presso la Galleria Michela Rizzo 2, Venezia Mestre;
_Cross Breeze, a cura di Domenico De Chirico, presso Oneroom Gallery, Londra;
_A Gift to the Dark, cu rata da Sayori Radda, presso VIN VIN gallery, Vienna;
DINO MORRA_GALLERY
- Alabardieri 1_ 80121 Napoli [email protected]
Beatrice Alici
“Il primo seme”
Testo a cura di Domenico de Chirico
In generale, il concetto del seme - dal latino sēmen sēmĭnis, della stessa radice se- del verbo serĕre «seminare» - è particolarmente intriso di significati simbolici e metaforici che riflettono la laboriosità della vita, l'importanza del sapere e la necessità imprescindibile di alimentare continuamente l'élan vital, sempre pronto a tramutarsi in creatività. Difatti, dal tempo dei tempi, viene universalmente riconosciuto come emblema di conoscenza, simbolo di palingenesi e di rinnovamento interiore nonché come peculiare catalizzatore di un sempre più ferace potenziale creativo. In quanto sorgente di vita, ci invita segnatamente a guardarci indietro, sino a rintracciare quel momento fatidico della creazione del tutto, considerando persino quell'ipotesi sostenuta dal filosofo greco antico Anassagora, la cosiddetta panspermia, secondo cui i semi della vita potrebbero essere sparsi in ogni dove nell'Universo. Peraltro, tale tesi, viene successivamente avvalorata dall'homo universalis Hermann von Helmholtz il quale diceva che: «una volta che tutti i nostri tentativi di ottenere materia vivente da materia inanimata risultino vani, a me pare rientri in una procedura scientifica pienamente corretta il domandarsi se la vita abbia in realtà mai avuto un'origine, se non sia vecchia quanto la materia stessa, e se le spore non possano essere state trasportate da un pianeta all'altro ed abbiano attecchito laddove abbiano trovato terreno fertile». Alla luce di tutti questi precetti, la ricerca della giovane artista veneta Beatrice Alici, classe 1992, legata al tema dell'Eden - inteso come luogo arcaico e senza tempo, costituito da scene notturne in cui figure e paesaggi naturali si fondono l'uno nell'altro - intende affrescare un ritorno ad uno spazio psicologico puramente primordiale. Nel suo personalissimo mondo immaginario, la notte rappresentata è fittizia e il buio e l’oscurità sono spazi simbolici che le consentono di immergersi nel creato per arrivare alla rappresentazione degli abissi più reconditi, dal sapore profondamente introspettivo. Le figure che più frequentemente popolano il suo immaginari sono quelle femminili, le quali vengono rappresentate con elementi enigmatici, soprannaturali, spesso legati al folclore: raffigurate come dee o streghe evocano sovente un idillico matriarcato divino. Il ricorso alla luce lunare è un ulteriore suggerimento simbolico alla sfera del sacro e del primordiale muliebre e rende le scene rappresentate più delicate, oniriche e misteriose. Emergono, quindi, delle immagini facenti parte di un mondo interiore proprio dell’artista stessa, lontano dalla realtà e caratterizzato da riferimenti inequivocabili al magico e al surreale - dal momento che, come diceva il letterato britannico John Milton nel suo poema epico "Paradiso perduto" del 1667: “milioni di creature spirituali si muovono, non viste, sulla terra, quando siamo svegli come quando dormiamo”. Per di più, attingendo dall'arzigogolata questione della misteriosa e perpetua ciclicità della vita, Beatrice Alici, ricorrendo finanche alla storia di Adamo ed Eva, ridisegna intenzionalmente il biblico Giardino dell'Eden, laddove si assiste, a suon di tentazione, peccato e redenzione, alla caduta dell'uomo. Proseguendo con l'intento di voler ricreare un senso diffuso di mistero e di meraviglia - a partire, tuttavia, da un'impostazione di stampo pressoché naturalistico, corroborato dall'utilizzo di una palette di colori più vicina possibile alla realtà visiva così da consentirle di catturare la luce e l'ombra in modo particolarmente accurato – nasce questo nuovo capitolo espositivo dal titolo “Il primo seme” - la cui denominazione viene presa in prestito da quella del primo quadro realizzato per l'occasione. Questo dipinto, celebrativo dello stupore originato dall'incommensurabilità del cosmo, riflette sulla storia del seme, estremamente vasta e complessa, poiché gioca, ab illo tempore, un ruolo cruciale in molte culture, religioni e discipline scientifiche, rappresentando la base dell'agricoltura e dell'alimentazione umana fin dai tempi antichi. Difatti, le prime civiltà agricole, come quelle mesopotamiche o egizie, svilupparono tecniche di coltivazione dei semi per coltivare raccolti vitali come grano, orzo e legumi. Il seme è stato quindi cruciale per lo sviluppo della stupefacente civiltà umana. Prendendo ulteriormente spunto dal libro “Alberi magici” della scrittrice e giornalista milanese Laura Tuan, con questa mostra Beatrice Alici intende rimarcare il fatto che da sempre gli alberi sono in grado di comunicare. Orbene, li si potrebbe considerare come degli antichi dei, statici eppur potenti, le cui storie, ben radicate, ci aiutano perpetuamente a comprendere che, così come le piante, anche gli uomini sono destinati ad aggrovigliarsi per poter interagire e coabitare. Ed è così che, attraverso miti, storie e leggende, possiamo renderci conto che gli alberi sono inconfutabilmente le forze embrionali della natura e che, consentendoci di respirare e di alimentarci, consentono alla vita di permanere. In aggiunta, a seguito di un'ulteriore riflessione sul tema dell'incontro tra la morfologia umana e quella del mondo vegetale, tra le altre opere in mostra, vi è il trittico “Divenirne Parte” - costellato da una serie inedita di ceramiche – che sopraggiunge ai nostri occhi come un tributo al fantasioso e sensuale gruppo scultoreo “Apollo e Dafne” realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Appellandosi a “Le metamorfosi” di Ovidio, la cui narrazione copre un arco temporale che inizia con il Chaos, ciò che qui più interessa ad Alici, al di là del compendio della scultura stessa, è il pathos della scena che la contraddistingue - enfatizzato da un evidente dinamismo sia fisico sia psicologico e da una sapiente alternanza tra pieni e vuoti e luce e ombra - volto a rappresentare concetti di fertilità, rinascita e vita eterna. Ebbene, come esortava Ovidio stesso, col fine ultimo di garantire lunga vita al divino seme: «cessate o mortali, dal contaminare con vivande nefaste i vostri corpi! Vi son messi, vi son frutti, che curvano con il loro peso i rami e, sulle viti, turgide uve. Vi son dolci verdure ed altri prodotti che la fiamma può far graditi e teneri. Né il liquido latte manca a voi, né il miele odoroso di fior di timo. A voi offre ricchezze la provvida Terra, ed alimenti miti, offre vivande senza stragi e senza sangue». Così, la vocazione pittorica di Beatrice Alici, doviziosa eppur asciutta, oscura e luminosa, poetica e sensuale, cruda e dolcissima, unica nel suo genere, procede spedita lungo un sentiero che non fa altro che alimentarsi, quasi esclusivamente, di questo primo seme che rende ferace l'immensurabile creato.