Bentornato Bailo
A 12 anni dalla chiusura e dopo 3 anni di lavori di recupero strutturale torna a nuova vita la sede storica dei Musei cittadini, il Museo “Luigi Bailo”, inaugurato al pubblico nel 1888 nell’ex convento degli Scalzi di Borgo Cavour, oggi in veste completamente rinnovata sia nell’architettura che negli allestimenti.
Comunicato stampa
Riapre a Treviso, dopo quasi 12 anni e dopo interventi architettonici e museografici che ne hanno completamente cambiato il volto, il Museo civico Luigi Bailo.
Rinasce il Museo Bailo - si potrebbe dire – per la straordinaria personalità e forza identitaria acquistata: grande galleria del Novecento, gioiello architettonico connotante il contesto urbano
nel quartiere storico di Borgo Cavour e scrigno di una collezione d’arte di indubbio valore, soprattutto per l’eccezionale raccolta di Arturo Martini, la più cospicua tra quelle oggi esistenti, ora pienamente valorizzata.
@ Fotografia Marco Zanta
Rinasce il Museo Bailo - si potrebbe dire – per la straordinaria personalità e forza identitaria acquistata: grande galleria del Novecento, gioiello architettonico connotante il contesto urbano nel
quartiere storico di Borgo Cavour e scrigno di una collezione d’arte di indubbio valore, soprattutto per l’eccezionale raccolta di Arturo Martini, la più cospicua tra quelle oggi esistenti, ora pienamente valorizzata.
Non una semplice ristrutturazione, ma un museo nuovo in una fabbrica antica – ex convento degli Scalzi fino al 1866 - polo fondamentale, insieme al complesso di Santa Caterina,
del sistema museale cittadino voluto dall’Amministrazione Comunale e con la riapertura
L’intervento - con un costo complessivo per i lavori di consolidamento, ristrutturazione e allestimento di 4.600.000 € - ha riguardato in realtà solo una parte dei corpi di fabbrica disponibili, ma è stato concepito -
in attesa di nuovi finanziamenti - in modo che questo primo lotto (circa 1600 mq) sia autonomo e dotato di tutti i servizi funzionali di un museo moderno, accessibile e di grande suggestione.
Filo conduttore del progetto espositivo è rappresentato dalla collezione civica di Arturo Martini (1889-1947),
riconosciuto come uno dei più grandi scultori italiani del Novecento, il “maggior creatore di immagini plastiche del secolo”.
Sono quasi 140 le opere dell’artista qui esposte: terracotte, gessi, sculture in pietra, bronzi, opere grafiche e ceramiche, tra cui il gesso originale della “Fanciulla piena d’amore” ,
le “Allegorie del Mare e della Terra” in cemento, il famosissimo bronzo della “Pisana” o l’esemplare unico e stupefacente della terracotta “Venere dei porti”.
Il percorso museale procede in senso cronologico, fra il primo piano e il pianterreno, offrendo l’opportunità d’inediti confronti e relazioni: dai prodromi dell’esperienza martiniana rintracciabili
nel verismo di alcuni artisti veneti della seconda metà dell'800, in particolare Luigi Serena e Giovanni Apollonio, ai compagni di viaggio nella sperimentazione e nell’interpretazione delle avanguardie come Gino Rossi
- di cui il Museo espone anche l’importante “Fanciulla del fiore” concessa in deposito a lungo termine da Antonio Lovisatti - fino agli eredi ed epigoni di Martini
nella difficile stagione fra le due guerre mondiali, da Carlo Conte a Giovanni Barbisan.
Studiato da Maria E. Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nico Stringa, l’indirizzo museologico - che prevede l’esposizione di oltre 300 opere delle ricche collezioni civiche - ha trovato piena corrispondenza nel progetto architettonico e di allestimento vincitore della selezione, proposto dallo Studiomas di Padova, con il team di architetti e museografi Marco Rapposelli, Piero Puggina e Heinz Tesar.
Trasparenza, apertura verso l’esterno a rendere evidente il legame tra museo e città, dialogo tra i vuoti delle arcate dei chiostri e i pieni della scultura martiniana,
mantenimento e valorizzazione delle strutture antiche e introduzione di nuovi elementi fortemente connotanti, a ridisegnare l’edificio in sostituzione delle ricostruzioni anni Cinquanta:
sono le parole chiave di questo nuovo, bellissimo museo
Nella definizione dei criteri allestitivi, la scelta è stata collocare i quadri e la grafica prevalentemente su pareti interne - anche per esigenze conservative - posizionando le opere plastiche in prossimità
delle vetrate e dei varchi, a interagire con la luce che è, con evidenza, il carattere distintivo di questa ristrutturazione museale.
L'intervento architettonico ripristina, della situazione urbana originaria, una sequenza di luoghi dotati di carattere preciso e riconoscibile.
L’atrio urbano, elevato da un podio sulla quota del rettifilo di Borgo Cavour - di cui è l’unica espansione insieme al prospiciente sagrato della chiesa di Sant’Agnese - è appropriato al ruolo istituzionale dell’edificio.
Sull’atrio si proietta il rinnovato disegno della facciata, che ha ora consistenza volumetrica e proporzioni tali da confrontarsi con gli altri edifici istituzionali presenti nell’area: la chiesa, la Biblioteca, la porta urbica di Santi XL.
Dalle sue aperture si affacciano i due spazi fondamentali chiave interpretativa del museo, ora in diretta relazione con lo spazio urbano circostante: la nuova galleria e l’antico chiostro cinquecentesco restaurato.
Il corpo della nuova galleria d’ingresso, occupando il sito di un piccolo cavedio preesistente, penetra nella consistente profondità del complesso edilizio e ne distribuisce tutti i percorsi; inserito tra due elevate cortine murarie,
è naturalmente illuminato da luce zenitale attraverso un lucernario di due metri di larghezza e dall'ampia apertura proposta sopra il nuovo portone.
Il chiostro sud retrostante, dominato dal gruppo scultoreo di Arturo Martini “Adamo ed Eva Ottolenghi” del 1931, viene invece “restituito” alla città grazie all’apertura di due arcate dell’originario portico
e ad una grande finestra collocata sulla facciata del Museo (coincidente con l’originario ingresso al complesso monastico) che consente di vedere dall’esterno la bellissima scultura di Martini.
Una scelta non casuale.
Adamo ed Eva è un’opera monumentale realizzata in pietra di Finale e concepita per l’aria aperta, ma è soprattutto un’opera significativamente simbolica
perché acquistata dal Comune di Treviso con pubblica sottoscrizione nel 1992 e per l’iconografia innovativa: i due progenitori, mano nella mano, lasciano il giardino dell’Eden e s’incamminano verso il futuro
di un nuovo giorno, “sorpresi nell’attimo irripetibile in cui l’uomo diventa uomo”.
Un gesto di speranza: “non c’è peccato né cacciata, ma solo un pausa estatica prima dell’Inizio”.
(Le immagini del museo sono state realizzate dal fotografo Marzo Zanta)