Bertille Bak – Mineur Mineur

Informazioni Evento

Luogo
FONDAZIONE MERZ
Via Limone 24, Torino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

martedì – domenica | dalle 11 alle 19

Vernissage
21/02/2022

su invito

Biglietti

€ 6,00 intero, € 3,50 ridotto (visitatori di età compresa tra i 10 e i 26 anni, maggiori di 65 anni, gruppi organizzati min. 10 persone, possessori di Pyou Card) - Gratuito (bambini fino a 10 anni, disabili e accompagnatori, possessori tessera Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card, membri ICOM, giornalisti con tessera in corso di validità o accreditati, amici Fondazione Merz)

Artisti
Bertille Bak
Curatori
Caroline Bourgeois
Uffici stampa
PAOLA C. MANFREDI STUDIO
Generi
arte contemporanea, personale

Prima personale in Italia dell’artista francese Bertille Bak (Arras, Francia, 1983). L’inedito progetto espositivo site-specific, curato da Caroline Bourgeois, curatrice alla Collezione Pinault di Parigi, prende il titolo dall’opera principale, la video installazione Mineur Mineur (Minatore Minorenne).

Comunicato stampa

La Fondazione Merz presenta, da lunedì 21 febbraio 2022, la prima personale in Italia dell’artista francese Bertille Bak (Arras, Francia, 1983). L’inedito progetto espositivo site-specific, curato da Caroline Bourgeois, curatrice alla Collezione Pinault di Parigi, prende il titolo dall’opera principale, la video installazione Mineur Mineur (Minatore Minorenne).

Per il progetto Mineur Mineur l’artista, nipote di minatori polacchi che venivano mandati a lavorare nelle miniere di carbone del nord della Francia fin dall’età di 13 anni, prende spunto dalla propria storia personale per raccontare il tema del lavoro minorile che ancora oggi priva dell'infanzia, della dignità e della salute circa 152 milioni di bambini nel mondo.

“Data l’empatia sincera, - commenta la curatrice Caroline Bourgeois - il desiderio profondamente onesto e rispettoso di incontrare esseri umani stretti nella morsa dell'oppressione e della povertà, il lavoro di Bertille Bak si può vedere e percepire in modo onesto. Il suo scopo non è quello di farsi conoscere, lei, l’artista, ma appunto di guardare con attenzione, con umanità, partendo dallo sguardo naturalmente sfalsato dell'artista, delle vite che avrebbero potuto essere le nostre se fossimo nati altrove.”

Lo spazio della Fondazione Merz e la sua infinita verticalità hanno ispirato l’artista, che ha scelto di contrapporre, a questa altezza monumentale la profondità abissale della terra. Tutto l’allestimento, che fa perno sull’opera principale, gioca infatti sul continuo straniamento causato da un doppio registro di lettura delle opere: una apparente regressione giocosa a cui viene condotto lo spettatore, dove però candore e efferatezza vanno a coesistere continuamente.
Si tratta ancora una volta, per l’artista, di affermare questa propensione per il linguaggio della favola, che accomuna tutti i suoi progetti, per il ricorso all'artificio, dove tra le righe si legge di una realtà di destini tragici, di una verità contemporanea, di un racconto sociale, che diventa una sorta di archivio della memoria, che intreccia la vita delle persone incontrate con la produzione di una nuova immaginazione comune.

Per produrre il lavoro principale della mostra, Mineur Mineur, l’artista ha condotto tre mesi di intensa ricerca sulle miniere e sul lavoro minorile in tutto il mondo. Bak ha affrontato il tema con l’intento di evitarne ogni moralizzazione, scegliendo di capovolgere la storia dei bambini, raccontandola attraverso immagini di oggetti legati alla spensieratezza dell’infanzia: labirinti sotterranei, spazi capovolti, passaggi attraverso pareti e soffitti, diapositive e registratori. Queste evocazioni ludiche portano lo spettatore verso lo spettacolo della scena finale, che ricalca quelli di fine anno scolastico, dove ogni gruppo di bambini sale sul palco per segnare il passaggio alla classe successiva. Ma la festa è in realtà totalmente disincantata, accompagnata dalla musica di un flauto dissonante, che spinge i bambini nei meandri della terra attraverso scivoli, per riportarli al loro stato di piccoli esseri umani invisibili.

La mostra si compone di altre 4 opere, che fanno da controcanto a quella principale, alternando video e installazioni. This mine is mine: installazione realizzata con fili luminosi che consente allo spettatore di vedere le gallerie sotterranee attraversate dai piccoli minatori. Il video Bleus de travail (Tute da lavoro) è una metafora del lavoro minorile in tutto il mondo. L’opera Les petits chevaux du complot (I cavallini del complotto) è una giostra non praticabile, di cui lo spettatore vede solo gli elementi inferiori, animali dal disegno ingenuamente abbozzato, molto usurati dal tempo. Infine il video Tu redeviendras poussière (Diventerai di nuovo polvere) si basa sul racconto dei residenti di un'antica città mineraria nel nord della Francia che analizzano i propri livelli di silicosi nei polmoni, la malattia del lavoro che colpisce i minatori.

L’artista sceglie di confondersi nella vita delle comunità che ogni volta coinvolge nella realizzazione dei suoi lavori, per iconizzare il presente, fatto di opposte marginalità, privazioni ed eccessi, ma anche di tradizione e senso di appartenenza, per raccontare con immagini condivise condizioni che accomunano tutti anche quando sembrano distanti. Un presente che cerca un nuovo linguaggio per i diritti, le regole della convivenza, il cambiamento sociale. Dal passato prossimo passando per il presente, in cerca di un nuovo futuro da declinare.

Il progetto sarà arricchito inoltre dalla pubblicazione di un libro, co-prodotto da Fondazione Merz hopefulmonster editore, distribuito internazionalmente, che ne documenterà la genesi e lo sviluppo e che includerà i contributi del curatore e di altri scrittori provenienti da ambiti disciplinari differenti, per raccogliere svariati spunti di riflessione su un tema sociale così importante e urgente.
Bertille Bak (nata nel 1983 ad Arras, vive e lavora a Parigi) persegue una visione sociologico-politica se non addirittura, come è stato notato, da etnologa. Le sue opere sono espressione di un processo creativo e di una formalizzazione. Il processo si fonda sul modus operandi dell’artista che si interessa e condivide la vita di comunità ai margini della cultura dominante al fine di stimolare una reazione non rivoluzionaria o violenta, ma che Bak definisce “rivolta alternativa” contro le decisioni intollerabili che rendono difficile la vita ai membri di tali comunità. La formalizzazione è l’espressione di tale approccio e del sentimento di empatia che unisce l’artista ai suoi compagni di strada e si concretizza in qualcosa che si dimostra più vicino alla fiaba che al documentario.
Bak esprime un’arte di relazione rivolta a comunità di persone più o meno consapevoli delle loro caratteristiche identitarie e a minoranze spesso dimenticate o represse. Nel corso di visite e lunghi soggiorni all’interno delle comunità di volta in volta prescelte, Bak costruisce relazioni interindividuali votate a generare consapevolezza dell’utilità sociale di persone e gruppi.
Mediante la condivisione del quotidiano, lo studio del territorio, l’analisi dei legami sociali, della cultura, delle tradizioni e dell’organizzazione economica, Bak si cala nel ruolo di agitatore sociale proponendosi come coscienza critica in grado di produrre consapevolezza politica nei suoi interlocutori. Ne scaturiscono ritratti collettivi colti da un punto di vista eccentrico, spesso basato sulla ricerca di mitologie individuali, in un ostinato tentativo di serbare tracce e di preservare la memoria. Non è un caso che Bak abbia lavorato come allieva di Christian Boltanski all’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Parigi.