Binta Diaw – In Search of Our Ancestors’ Gardens
Galleria Giampaolo Abbondio inizia il nuovo anno continuando nella propria vocazione di ricerca di nuove visioni, proponendo la mostra di Binta Diaw, giovane artista italo-senegalese alla sua prima personale nella sua città natale.
Comunicato stampa
Galleria Giampaolo Abbondio inizia il nuovo anno continuando nella propria vocazione di ricerca di nuove visioni, proponendo la mostra di Binta Diaw, giovane artista italo-senegalese alla sua prima personale nella sua città natale.
La ricerca di Binta Diaw rivela due anime profondamente interconnesse: da un lato una matrice intima e autobiografica, che la spinge nella lotta continua tra la sua Italianità e Africanità, per arrivare ad uno spazio di negoziazione identitario che le includa entrambe; dall’altro una conoscenza matura e appassionata dei Black, Cultural e Feminist Studies.
Un modello fondamentale in questo senso è stato per Binta la scrittrice, poetessa e attivista afro-americana Alice Walker, autrice della raccolta di saggi “In Search of Our Mothers’ Gardens” che rappresenta ad oggi un testo simbolo del femminismo black per la forza delle rivendicazioni politiche e sociali attraverso cui la Walker ha dato voce alle sofferenze, alle tragedie, alle ingiustizie e oppressioni vissute da donne nere ieri, come oggi. La contemporaneità del testo, ha portato l’artista ad immedesimarsi nelle parole e nel continuo questioning dell’autrice: “What does it mean to be a black woman and an artist?—”.
Il titolo della mostra, “In Search of Our Ancestors’ Gardens”, sottolinea l’importanza ancestrale degli Ancestors. Questi ultimi sono l’insieme di tradizioni, rituali, corpi, storie e voci mai ascoltate in netto contrasto con coloro che invece hanno scritto a modo loro la storia.
La mostra si presenta, in una logica anti-coloniale, come uno spazio memoriale. Uno spazio che omaggia la visibilità e l’importanza della vita, attraverso la simbologia della terra che é inscritta nel corpo umano.
Questa chiave di lettura, emerge con immensa potenza visiva nell’opera “Chorus of Soil”. “Chorus of Soil” è una riproduzione di una nave da schiavi, su larga scala, di una planimetria settecentesca fatta di terra e di semi. L’installazione è concepita come spazio di memorizzazione, ma anche e soprattutto come spazio di nuova vita, perché si manifesta nel materiale utilizzato, dal quale possono crescere nuovi germogli.
La scelta di piantare semi di melone nasce da una riflessione dell’artista che l’ha portata a sottolineare il nesso tra i campi di cotone e le piantagioni mafiose del sud Italia, dove migliaia di migranti uomini e donne, sono sistematicamente sfruttati vivendo sotto la minaccia dei “caporali”. L’opera assume così una grandiosa valenza simbolica del fragile equilibrio tra vita e morte, e tra passato e presente.
Gli elementi naturali ritornano anche nelle opere “Paysage Corporel I, II e III”, in cui l’artista ha fotografato diverse parti del proprio corpo e le ha successivamente rielaborate con l’uso dei gessetti, tracciando sulla superficie fotografica tracce di colore che mutano le linee e le forme del corpo in strade, percorsi, paesaggi armoniosi e idealmente senza fine. Queste ultime, sono il frutto di un processo di questioning, di soul searching continuo che trova affinità nel movimento ciclico femminile, della natura e dell’arte.